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Capitolo 24


DANTE

Dopo la morte di mio fratello tutta la mia vita si è lentamente frantumata e ogni singolo coccio mi si è conficcato nell'anima togliendomi l'aria. Ho vissuto nella premeditazione, nell'attesa di uno scontro faccia a faccia con la persona che mi ha tolto un pezzo di vita.
Ho fatto cose impensabili, raggiunto livelli estremi di dolore e rabbia, molto spesso lasciati andare sotto forma di violenza. Ero un'altra persona, convivevo con il disprezzo, l'odio, la solitudine. E mi stava bene. Non mi allontanava da quello che sono sempre stato: un mostro assetato di vendetta.
Ma lei, lei mi sta lentamente ricomponendo, sta rimettendo in ordine e incastrando di nuovo quei pezzi che credevo si fossero persi insieme al mio cuore. Sta mostrando a quel mostro sensazioni a lungo sopite. Ma ha ragione, volerla non significa niente. Perché ogni volta che mi guarda negli occhi, riponendo fiducia in me, affezionandosi ancora di più, non smetto di essere un bugiardo. Un uomo vile, che continua a mentirle.
Eden Rose, con una risposta, è riuscita ad annientarmi nella peggiore maniera possibile. Mentre fisso attonito la porta ormai chiusa, mi domando come sia possibile. Perché il destino ci abbia posizionati entrambi sulla stessa strada cambiando il nostro futuro.
La verità è che mi è sempre piaciuto giocare con il fuoco. Adesso mi sono bruciato e sto rischiando di consumarmi fino a diventare cenere.
Un messaggio in arrivo mi ridesta, allontanando la nube tossica che mi ha avvolto la mente.
Concentrandomi su qualcosa di diverso, esco in fretta dalla mia stanza.
Fuori dalla villa, fisso immobile la struttura percependo soltanto un senso di vuoto misto a indifferenza. Non è casa mia. Non lo sarà mai. Con questa consapevolezza, mi metto in viaggio.
Per la seconda volta in un solo giorno, varco la soglia del nostro covo.
Vedendomi arrivare, mi aggiornano sulle novità.
Terrence, è riuscito, con la sua straordinaria abilità, a scovare qualcosa, e spera di risalire presto alla persona che ha comunicato con Donaldson, usandolo. Non solo, anche a filtrare in quella barriera informatica dietro la quale si nascondono i Rose. La sua richiesta è quella di poterli spiare senza lasciare traccia. Qualcosa che già facevamo, ma che adesso richiede un maggiore impegno.
In parte mi sento elettrizzato al pensiero del carico di lavoro che avrò da svolgere. Ci aspettano giorni abbastanza lunghi, pieni di minacce, punti di svolta, forse di risposte alle tante domande che nel corso degli anni hanno costruito intorno alle nostre vite, dubbi, tensioni, odio, dolore. Lavorare mi ha sempre aiutato ad allontanare le cose negative dalla mia vita. Spero faccia lo stesso adesso che tutto si è un po' complicato.
Nigel, che è sempre stato quello più tranquillo del gruppo, mentre gli altri discutono, decidendo insieme una possibile strategia, prende posto accanto a me sul divano. «Sicuro di volere andare proprio in quel locale?», domanda, passando i palmi grandi e curati sui jeans.
Massaggio le nocche facendo scrocchiare le ossa. «Non sono più sicuro di niente», decido di essere sincero.
Inclina un po' la testa per scrutarmi meglio sopra le lenti scure e non nasconde la sorpresa. Nel corso della giornata, ha avuto modo di notare il cambiamento in me. Solitamente riesco a mascherare bene le emozioni.
«Ti piace?»
«Se dico di no sappi che è una menzogna».
Allora lui comprende, mi molla una lieve spallata e mi guarda come farebbe un padre con il figlio che si è appena beccato un rifiuto. «Lei lo sa?»
Sollevo il sopracciglio. «Che domanda del cazzo, Nig. È come se chiedessi ad Andrea se sa di avere un coglione nella sua vita».
Mi guarda storto, ignorando la mia risposta sarcastica. «Dante, non scappare».
Mi irrigidisco. «Io non sto scappando. È solo che non può funzionare. Che cosa siamo io e te? Che cosa sono io? Che cos'è lei? Non porterà niente di buono».
Contrariato, unisce le mani prima di scrollarle. «Stai cercando una scusa. Ma sai bene che non esiste. Proprio come non esiste destino senza una scelta», replica. «Non sei un mostro come pensi. Già il fatto stesso che provi qualcosa o pensi che sia necessario tenerti a debita distanza da lei, dice chi sei», aggiunge.
Strofino il viso con una mano. «Nella mia vita non c'è più spazio per niente. A stento riesco a reggere tutto. Persino Seamus se ne è accorto. Oggi mi ha minacciato», ridacchio, innervosendomi al ricordo delle parole taglienti con cui ha osato mettere un punto al nostro precario rapporto. «Che figlio di puttana!»
Nigel non perde tempo, non si sofferma su Seamus, conosce la storia. «Potresti avere anche lei, se volessi», non indora la pillola.
Strofino il labbro inferiore con l'indice. «Sarebbe rischioso».
«Cosa? Vivere? Amare? Abbandonare tutto per potere tornare in una vera casa. Magari con lei ad aspettarti con quel sorriso che le sfugge di tanto in tanto quando tu la guardi e lei se ne accorge? È questo a cui vuoi rinunciare?»
«È un sogno che non posso realizzare», abbasso la testa, ricacciando indietro le illusioni. «Metterebbe in pericolo lei e ognuno di voi».
«Saresti disposto a lasciarla andare? A vederla tra le braccia di un altro che non potrà mai farla sentire al sicuro o renderla felice? Amico, capisco tutto, anche il fatto che vuoi proteggere ogni persona qui presente, ma voi due non sarete mai amici. Non nel modo comune. Ha bisogno di te. Proprio come tu hai bisogno di averla intorno per respirare senza mai dovere trattenere il fiato. Cosa che hai fatto per tanto tempo prima che arrivasse».
«Non ha bisogno di un disastro».
Nigel impreca sommessamente dinanzi la mia testardaggine, è abituato a scontrarcisi, anche se non in questo modo, neanche per queste ragioni.
«Ha bisogno che tu sia tutto quello che gli altri non hanno saputo essere. Sembra una frase del cazzo letta su un romanzo e fattelo dire è pure scontata, ma è la verità. E tu di conseguenza hai bisogno che lei sia tutto il tuo fottuto universo per non sentirti ancora un buco nero».
Sospiro. Non sono mai stato tanto abbattuto e pensieroso quanto lo sono adesso. Nigel sta centrando il punto. Sta scavando nella ferita.
«Mi sembra di impazzire», ammetto. «Non c'è spazio per l'amore o per tutte quelle stronzate piene di melodramma», ripeto. «Non correrò il rischio di perdere ancora qualcuno».
«Non dovrebbe esserci neanche la paura. Ma sei un gran cagasotto da quando è entrata in famiglia. E per la cronaca, non perdi gli altri per proteggerli, ma lei?»
Mi acciglio e lui perfido mi sorride, alzandosi soddisfatto. Per la prima volta è riuscito ad avere la meglio su di me.
Tutti gli altri si stanno radunando fuori, è giunto il momento di chiudere in bellezza la serata.
«Adesso proviamo a divertirci. E per favore, non complimentarti troppo con Andrea quando la vedi. Non la smette più di dirmi che dovrei fare come te. Vuole costringermi a riempirla di complimenti», sdrammatizza.
Mi fa sorridere questa cosa e Nigel accorgendosene, passa un braccio sulle mie spalle scuotendomi. «Andrea sa di essere fortunata. Ha solo bisogno che sia tu a capire di esserlo con lei accanto. A proposito, pronto per il fatidico sì?»
Sorride trasognante. «Sono agitato e più si avvicina la data delle nozze, più penso di avere fatto la cosa giusta».

* * *

Fuori l'aria è meno torrida rispetto al resto della giornata. Il cielo è una meravigliosa cupola tempestata di stelle, con la luna pallida a rischiarare intorno. Sul tardi è previsto un temporale e non vedo l'ora di appartarmi da qualche parte e poterlo ammirare.
In auto, io e Faron non parliamo. Ci limitiamo a fissare la strada fino a raggiungere il parcheggio privato all'esterno di una zona industriale piena di condomini.
Il locale privato prenotato da mia sorella, è un magazzino riconvertito. Mi basta avvicinarmi al buttafuori e sussurragli solo due parole all'orecchio per poter entrare, dato che nessuno si era preso la briga di prenotare.
Alle mie spalle tutti i miei amici, i quali non osano dire una sola parola sull'assurdità della situazione quando sfiliamo superando la fila.
La verità è che questa sera, se dovrò giocare sporco, lo farò con ogni mezzo. Il mio piano non prevede regole. È solo dettato dall'istinto. Quello di prenderla di peso e portarla in un posto tranquillo dove parlare; venire a capo a questa situazione del cazzo che mi sta lentamente divorando.
Se all'inizio mi è sembrato plausibile, adesso che ho messo piede qui però, la mia sicurezza vacilla.
La sala è ampia, ci sono divani imbottiti di pelle disposti un po' ovunque davanti a tavolini bassi colmi di bicchieri, un posacenere, una bottiglia dalla forma irregolare con un unico fiore, usata come centrotavola.
Nella zona alla mia sinistra si trova la pista da ballo, attualmente affollata.
Il locale è chiassoso, illuminato a neon ma ha quel non so che di chic. Non è il solito posto sporco che puzza di birra stantia e sudore. Qui non c'è nessuna moquette consunta, solo pannelli di vetro, quadri davvero particolari e originali e uno stile moderno piacevole.
In parte apprezzo la scelta fatta da mia sorella che cerco tra la folla e individuo subito come un segugio.
Indossa un tubino zebrato, una giacca di pelle con maniche a tre quarti rosso fiamma e tacchi a spillo così alti da temere per le sue gambe. Ma lei li ha sempre portati senza grosse difficoltà. Mi ricordo quando ne rubava un paio a nostra madre e faceva le sfilate lungo il corridoio; beccandosi insulti dalle nostre sorelle gelose.
I miei occhi non dovrebbero farlo, eppure si adagiano sulla figura che sta ridendo e bevendo da un bicchiere a forma d'ananas pieno di liquido color fenicottero.
Se mi nota anche lei, non ha la minima reazione.
Troviamo posto in un angolo strategico dal quale è possibile vedere gran parte della sala. Non siamo qui solo per divertirci. Devo proteggere da qualsiasi pericolo Eden. Quella ragazza non ha ancora capito di trovarsi al centro di un campo minato.
Ordiniamo da bere e facciamo subito un brindisi. Non ho intenzione di ubriacarmi. Voglio essere lucido quando la affronterò. Nel frattempo le lascio lo spazio che vuole, pur continuando a seguirla a ogni passo con la coda dell'occhio.
Presto, sul tavolo si accumulano bicchieri, le chiacchiere vengono portate avanti tra le risate. Ogni mio proposito di non ubriacarmi svanisce quando Faron mi piazza l'ennesimo giro di shot sotto il naso. Sta mettendo alla prova la mia capacità di reggere l'alcol? O il suo obiettivo è minare completamente il mio autocontrollo?
«Hai tanto l'aria di averne bisogno», risponde alla mia domanda inespressa, mandando giù il suo. «Per una sola volta, lasciati andare. Sei sempre così rigido e controllato», biascica, ha le guance rosse e Joleen a pochi metri ci sta osservando con uno strano cipiglio. Le faccio l'occhiolino, lei sbuffa visibilmente, alzando gli occhi al cielo infastidita. Poco dopo mima: «Fallo smettere!»
Ridacchio. «Non ne ho nessuna intenzione», le rispondo. Poi mi sollevo e trascino i tre in pista. Ho bisogno di controllare una cosa.
Non so come sia possibile, questo non lo avevo calcolato ma a un certo punto, mentre scruto la folla, voltandomi, me la ritrovo davanti.
Trattiene il fiato, fermandosi. Rimango imbambolato anch'io, mentre intorno a noi tutti continuano a muoversi, ad agitare le mani e i fianchi.
Faccio un passo avanti e mi ritrovo a premere il palmo sul suo fondoschiena nudo, a schiacciarla al mio petto e a muovermi per sentire il suo corpo strusciarsi sul mio. Mi abbasso all'altezza del suo orecchio sentendo l'erezione premere nei boxer. «Ti stai divertendo?»
Dimena i fianchi, la vista si appanna e la pressione mi si innalza.
«Molto».
«Anche adesso?»
«Soprattutto adesso», ribatte sincera, facendomi sorridere e scrollare un po' di dosso la tensione della giornata.
Sento sciogliersi dentro qualcosa. Le sfioro la guancia arrossata. Con il pollice traccio lievemente il bordo del labbro inferiore. «Volevo solo un ballo con te. Divertiti».
Mi tocca la mano, riesce in qualche modo a bloccarmi giusto il tempo per leggerle il labiale: «Grazie».
Non resisto e in un gesto avventato e impulsivo, mi avvicino abbastanza da percepire le sue labbra sulle mie. Tengo la mano affondata tra i suoi morbidi capelli. Sussulta ma non mi respinge. Trattiene soltanto il fiato mentre il suo cuore batte frenetico.
«Non pensare che sia finita», le sibilo all'orecchio. «Ti devo ancora una bella sculacciata e le mie mani continuano a prudere».
Le sue dita premono sul mio petto. Il suo respiro è appena cambiato. «Prima...»
«Mi stavo solo riscaldando e ti stavo preparando. Ma sono un uomo paziente. Ti concedo questa serata, uccellino. Poi affronteremo il resto», aggiungo. «Basta scappare».
Sporgendomi, le bacio l'angolo del labbro, proprio come ha fatto lei in camera mia e con la voglia sempre più intensa di sentire il suo sapore, mi perdo tra la folla.
Raggiunto il bancone mi siedo su uno sgabello e dando le spalle a tutti, picchietto il dito sulla superficie, chiedendo al barman un altro giro.

* * *

La musica martellante ben presto inizia a darmi sui nervi. Con un po' d'acqua fredda sul viso e una boccata d'aria nel retro del locale, sono di nuovo vigile. Rientro meno sbronzo e consapevole di avere corso dei rischi nel tentativo di stordirmi abbastanza da non cadere in una piacevole tentazione.
Faron se ne sta avvinghiato a Jo come un adolescente arrapato. Nigel ride con Andrea, i due sono comodamente seduti su un pouf, con lei sulle sue ginocchia. Terrence sta ballando con mia sorella.
Raggelo.
«Dove cazzo è Eden?»
Mi faccio strada come un lupo inferocito tra la folla e mi fermo di colpo, sperando di non essere sveglio, che sia solo un fottuto incubo. Che mi abbiano appena freddato con un colpo in fronte.
Ma Eden è ancora qui e con lei, Coleman.
Se ne stanno a distanza dalla pista. Lei regge tra le mani un bicchiere pieno di ghiaccio e un liquido bianco con delle foglie di menta, lui ha una sigaretta spenta tra le dita, il braccio appoggiato al pannello, proprio sopra la sua testa.
Sulla fronte di Coleman, un cerotto per richiudere una ferita e qualche segno a indicare che ha lottato quest'oggi per salvarsi la pelle.
Visti da questa prospettiva sembrano due che si conoscono da tanto tempo.
Il sangue mi arriva dritto al cervello quando le sorride con malizia e le sfiora una guancia, facendola arretrare. A niente serve dare al mio corpo il comando di fermarmi, di non fare il coglione geloso. In poche falcate sono in mezzo a loro, proprio davanti a lui.
Lo allontano da lei piantandogli una mano sul petto e lo schiaccio al pannello di vetro alle sue spalle, proprio come lui stava per fare con Eden.
«Fattelo dire, il tuo istinto da masochista non ha proprio limite. Non hai rischiato abbastanza per oggi, piccolo Cole?»
I suoi occhi sono sbarrati, prova a dire qualcosa ma sto già stringendo la mano sulla sua gola avvicinandomi al suo orecchio. «Cosa cazzo ti avevo detto?», sibilo. «Sai bene che non avverto più di una volta».
«Dante, fermati», prova a dire Eden, spaventata dalla ferocia con cui sto per ammazzare questo animale. Si guarda intorno, ma sono tutti impegnati per notarci.
«Sei un maledetto stronzo!», risponde Coleman. «Non riesci proprio a farti da parte».
Il suo viso si arrossa sempre di più sotto la mia stretta. «Tu non hai proprio capito. Questa volta non ti salverà nessuno!»
«Perché non mi fai spiegare?»
«Perché non c'è niente da dire. Pensi di essere furbo, ma non lo sei. Hai superato quel limite e purtroppo per te so come metterti di nuovo sulla giusta rotta», sollevo l'angolo del labbro allentando di poco la presa. Coleman prende ad annaspare, ad ansimare e ad agitarsi.
«Dante, stava solo...»
«Con te farò quattro chiacchiere a breve. Con lui non ho ancora finito», entro nel bagno dopo avere spalancato la porta con un calcio.
«Uscite!», urlo.
Tutti corrono fuori, quasi come se fossero abituati a scene di questo tipo.
Lascio andare Coleman e senza aspettare che si sia messo del tutto in piedi, gli mollo una ginocchiata sull'addome. Si piega in due, lasciando uscire tutta l'aria e si lamenta appena lo colpisco ancora sullo stesso punto.
«Aiuto!», sento gridare qualcuno.
«Non è tua, cazzo!», mi provoca sputando a terra del sangue, poi urla provando a reagire, a colpirmi a sua volta. Ma ogni suo tentativo è vano. Sono più forte a causa di quello che mi scorre nelle vene.
«Non lo sarà perché commetterai un altro passo falso e il testimone passerà al sottoscritto. Hai capito? Non sarà mai tua perché ha già chi le riscalderà il letto, e faresti meglio a smettere di illuderti che prima o poi vincerai questa guerra. Ricordati che sei un bastardo, non un vero Blackwell».
Non vedo e non sento più niente. Perdo il controllo, come se dentro si fosse spezzata una catena che credevo fosse ben salda e pronta a trattenere la bestia. La bestia acquattata all'angolo della mia anima, che esce fuori dal buio, feroce in un modo talmente bruciante da cogliermi di sorpresa.
In un attimo mi vedo reagire. Sono spettatore della mia stessa furia. Mi avvento su di lui, lo colpisco un paio di volte totalmente annebbiato da non sentire neanche il dolore alle nocche quando impattano sulla pelle. «Continua pure a illuderti che un giorno erediterai tutto quello che mi appartiene, a metterti contro di me. Provaci. Fallo. Imparerai prima di quanto pensi cosa significa avere il terrore».
A un certo mi trascinano indietro, mentre Coleman viene strappato dalla mia morsa da Nigel e Terrence.
Faron, a fatica, mi spinge fuori dal locale, in direzione del parcheggio. Qui vengo sbattuto contro lo sportello della mia auto. «Cosa cazzo ti passa per la testa?», sbraita, tenendomi fermo per le spalle. «Hai idea di quello che stavi per fare lì dentro? Era questo che avevi pianificato? Una rissa in un locale che chissà come ci ha permesso di entrare senza prenotazione? Cristo, Dante!»
«Non ti sei lamentato nel corso della serata. Ti stavi divertendo con la tua donna mentre quel maniaco si prendeva libertà che non doveva, prego», ringhio. Mi scrollo le sue mani di dosso. «L'ha puntata sin dal primo istante. Non giustificarlo e non metterti in mezzo, mai più», urlo a mia volta, ignorando i passi e le persone che ci stanno raggiungendo. «Lei è affar mio! Non permetterò a nessuno di farle anche solo una carezza che non sia voluta!»
Faron affonda una mano tra i capelli. Gratta la cute poi scrolla i palmi. «Se solo ti fossi fermato un momento avresti capito che Coleman stava chiedendo scusa a Eden», sbotta. «Per la prima volta nella sua vita quel coglione era persino convinto di fare la cosa giusta».
«E tu ci credi? Sei così illuso che possa cambiare, da non avere sentito cosa mi ha detto proprio davanti a lei?»
«Prima che gli cambiassi i connotati? Sì, ho sentito abbastanza. Adesso vattene a casa e cerca di calmarti», dice, camminando avanti e indietro. «Qui me ne occupo io».
«Non ho bisogno che lo fai! Ho bisogno che ti comporti da fratello! Che la smetti di starmi addosso come se non fossi capace di prendere da solo le mie decisioni o non fossi all'altezza del compito e cominci a fare la tua cazzo di parte, perché ne ho abbastanza di tutto questo».
«Bene, lo farò».
Eden, superando mia sorella e Jo, immobili e incapaci di fermarci, mi si avvicina. Barcolla lievemente, ma riesce a restare in piedi. «Potete darci due minuti?», interrompe il diverbio tra me e Faron. Forse lo fa per impedirmi di dire qualcos'altro che possa ferirlo.
«Sei sicura di volere restare qui con lui, da sola? Non è in sé», Faron mi indica con il pollice. «Potrebbe essere pericoloso».
Che stronzo!
Sono sul punto di dire la mia, ma lei è più veloce. «Sì», non esita. «Sono sicura. Coleman lo era di più. Lui, non mi farà del male».
Davvero?
Dopo essersi allontanati tutti con disappunto, Eden si appoggia allo sportello accanto a me, evitando il mio sguardo.
«Io non capisco, Dante», mi dice dispiaciuta dopo appena un istante. «Che cosa ti passa per la testa? Perché non mi hai lasciato spiegare e hai reagito in quel modo quando ti ha provocato?»
Accendo una sigaretta aspirando velocemente. Le sue dita, scattano a una velocità esorbitante. Me la toglie e la schiaccia con il tacco. «Non risolverai i tuoi problemi in questo modo», mi rimprovera.
«E come?», fletto le dita doloranti. Le nocche erano guarite da poco. Merda!
«Volevi parlare? Bene, siamo qui. Ma quello che hai fatto», smette di farmi sentire la sua voce, scuotendo la testa. Non trova le parole.
Soffio aria dal naso. «Sono un mostro, Eden», dico per toglierla dall'impaccio.
«Mi hai spaventata», confessa. «La tua esplosione non è stata programmata. Era come se avessi accumulato troppo e la provocazione fosse quella miccia che ti serviva per far saltare tutto in aria».
Lecco le labbra. «Okay», tiro su con il naso. Non me ne faccio niente dei suoi discorsi.
La colpisce la mia improvvisa freddezza e picchia i palmi contro il mio petto. «Okay? Hai spaccato la faccia a tuo cugino, Di. Io non lo so perché continui a negarlo, ma quella, quella sembrava gelosia. C'era anche qualcos'altro, ma continui a mentire e lo fai con te stesso».
Facendo un passo indietro, porto la mano tra i capelli, poi sul volto riscaldato dalla furia.
È talmente brava a farmi incazzare, da mandare su di giri il mio cuore, a riempirlo di una voglia di cui prima non avevo il sentore, né il bisogno. Adesso che ho scoperto quando sia eccitante cercare di minare al suo equilibrio, non posso farne a meno. Proprio come non posso fare a meno di temere il momento in cui mi farà a pezzi l'anima. Perché è inevitabile. Perché il dolore me lo porto cucito nelle ossa, come segni di una frattura scomposta.
«Vuole scoparti. Ti avrebbe abbindolata come fa sempre con le minorenni. Non cambierà mai uno come lui».
«E allora? Non ho di certo ceduto alle sue lusinghe. Ho il terrore di quel viscido pezzo di merda? Sì. E ribadisco: stava solo chiedendo scusa nel suo modo subdolo e contorto. Non gli avrei creduto, tantomeno avevo intenzione di seguirlo quando mi ha invitata a prendere qualcosa da bere con lui. Ho ascoltato con educazione ciò che aveva da dire, solo per potermelo togliere di torno. Aspettavo il momento giusto per liberarmene. Erano tutti occupati quando è riuscito a cogliermi di sorpresa e tu... non c'eri», la voce le si affievolisce.
Adesso la colpa è mia?
Sorrido. «Davvero? Quanto sei ingenua, piccola Eden Rose. Sai quante volte l'ho visto in azione? Sai cosa ti avrebbe fatto con o senza il tuo consenso? Hai dimenticato quella notte quando ti ha messo le mani addosso?»
Si irrigidisce guardando ovunque. Le sue piccole narici fremono e il naso le si arrossa. «Ti stai comportando da stronzo».
«È quello che sono. Non l'ho mai nascosto», mormoro fissandomi le scarpe, prendendo a giocare con lo Zippo.
«Mi dici qual è il tuo problema?»
«Tu».
«Io?», spalanca gli occhi incredula. «Io?», urla ancora irata.
«Proprio tu», confermo. «Tu che continui ad avvicinarmi e ad allontanarmi neanche fossi una fottuta onda. Nel cuore mi stai lasciando detriti mentre trascini tutto il resto che c'è di importante nei tuoi abissi», passo le dita tra i capelli, afferrandoli, scompigliandoli nervosamente. «Adesso dovresti lasciarmi andare. Qui abbiamo finito».
Il suo sguardo... uno scorcio di cielo in tempesta, capace di trapassarmi fino a lasciarmi inerme. Mi inchioda sul posto e mi entra dentro, raggiungendo posti che non dovrebbero essere risvegliati.
Più che delusa, si allontana senza combattermi, senza darmi quello che cerco: una via d'uscita.
Furioso e non del tutto scarico, accendo una sigaretta e fumo avidamente, appoggiando i palmi sul tettuccio dell'auto.
«Dante?»
Cazzo, adesso ci pensa pure Trisha a spuntare dal nulla e a mettersi in mezzo?
Da quanto tempo se ne sta in un angolo a osservarmi?
«Non è il momento, gira sui tacchi e vattene!»
Al contrario si avvicina. «Ti ho visto discutere con tuo fratello, poi con quella. È sangue quello che hai sulle mani e in faccia?», prova ad abbindolarmi con voce suadente. Un tempo per portarmela a letto le avrei fatto credere qualsiasi cosa. Adesso mi sento solo disgustato da me stesso.
Stringo due dita sul dorso del naso. «Non sono cazzi tuoi. Ho detto di andartene».
Ovviamente non lo fa. Mi sfiora un braccio. «Mi manchi. Mi mancano le nostre serate. So di avere commesso molti errori, ero solo insicura e gelosa».
Continua a toccarmi e provo ribrezzo. Non sono le sue mani che voglio sentire addosso.
Con questa consapevolezza che arriva simile a un pugno dritto sullo stomaco, le afferro i polsi e l'allontano, ma lei torna sui suoi passi e si riavvicina come se il mio fosse solo un tentativo per stuzzicarla. Sorride infatti, accarezzandomi la guancia. «Sto pensando di lasciarlo. Dovresti farlo anche tu con lei», sporgendosi prova a baciarmi ma lo fa perché c'è qualcuno a osservarci.
Spingo via Trisha proprio quando Eden corre dentro il locale, sbattendo l'enorme porta d'emergenza.
Troppo tardi.
Non faccio niente per fermarla. Che pensi pure quello che vuole. Sono stanco di dovermi giustificare. Tra noi non c'è niente, quindi perché dovrei sentirmi in colpa?
Ma i miei occhi continuano a fissare lo stesso punto. «Vattene e non avvicinarti mai più a me. Ricordi la minaccia? È ancora valida. Anzi, sai che c'è? Inizierò proprio mandando quel video al tuo futuro sposo. Gli renderò le cose facili prima che si faccia prendere in giro da te. Ti rovinerò».
Sbuffa mollandomi uno schiaffo. Lo intercetto prima che possa impattare sulla mia guancia e le stringo il polso, abbastanza da farle male.
«Tutto questo è per lei?», strattona la presa.
«È per me, cazzo!», le urlo così forte da farla sussultare. «E se solo ti azzardi ad avvicinarti ancora a me o a Eden, assaggerai davvero la furia di Dante Blackwell. Vattene ho detto!»
«Sei un bastardo! Morirai solo e infelice». Rossa in viso, umiliata, si allontana.
Rimasto solo, guardo ancora la porta secondaria del locale, impreco ed entrando in auto chiamo un amico.
«Sono io», dico quando risponde al terzo squillo.
«È ora?»
«Sì».
È l'unico modo che mi resta per tenerla al sicuro. Non mi fido più di nessuno e penso sia giunto il momento di passare all'azione.
Avvio il motore mentre le prime gocce di pioggia si abbattono sul parabrezza. Soddisfatto torno alla villa, dove attendo il suo arrivo.
«Questa volta non mi sfuggirai, uccellino».

♥️

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