Capitolo 20
EDEN
Ho paura.
Paura di deludere. Paura di non essere all'altezza. Paura di sbagliare. Perché nella vita è come se fossi perennemente su un campo minato. Un errore e tutto potrebbe distruggersi in miliardi di pezzi.
Ecco perché me ne sto seduta in disparte su una comoda sdraio, nel grazioso giardino che si trova all'interno della villetta in mattoni rossi in cui nei giorni trascorsi ho dormito, mangiato, chiacchierato e pensato, tanto.
A poca distanza dallo steccato bianco e dai cespugli, un minuscolo laghetto artificiale dove sguazzano delle anatre e svolazzano delle libellule.
È davvero un bel posto in cui vivere, rifletto isolata dal resto delle persone che popolano questo ambiente colmo di palloncini azzurri e bianchi, di bambini festosi avvolti in mantelli da supereroi, principesse e animali della foresta; buon cibo, chiacchiere, musica e allegria.
Bevo un sorso del succo di frutta corretto con dell'alcol che la madre di Dante, Adeline, mi ha portato insieme a un piatto di panini di vari gusti e un vasetto di salsa piccante.
Non era contenta del mio auto-isolamento, anche se penso abbia capito come mi sento: talmente fuori posto da non riuscire a respirare. Si è assicurata che avessi a disposizione tutto quello che mi serve. Come non adorarla? Dante è fortunato ad averla.
È in momenti come questi che la mancanza preme ancora di più sulla ferita che ho nel cuore. Farei qualsiasi cosa per riavere mia madre anche solo per il tempo di un lungo abbraccio.
Se da una parte c'è Adeline, che mi ha accolta in casa sua senza guardarmi dall'alto in basso, dall'altra ci sono le figlie, le quali si mantengono a distanza, continuando a parlottare, a lanciarmi battute e a farmi sentire a disagio. Dalla cena disastrosa, non hanno smesso con gli insulti e le allusioni. Nessuno è intervenuto perché hanno continuato ad agire indisturbate di nascosto. Ho cercato di ignorarle il più possibile.
Non le biasimo. Avere una persona estranea, o meglio: una Rose in casa, tra i propri famigliari, non è un qualcosa da accettare alla leggera. Ma sospetto non sia questo il reale motivo a spingerle a comportarsi come due adolescenti.
Bevo un altro sorso. Ormai mi sono abituata al sapore del liquido. Assaggio un panino dando un piccolo morso. Il gusto cremoso della salsa al suo interno invade la mia bocca mentre sorrido ai due bambini che mi si avvicinano.
Sono due gemelli, uno biondo e l'altro moro, travestiti da pirati. Entrambi hanno i capelli ricci. Con quelle fossette che compaiono quando sorridono, sembrano angeli.
Uno mi offre una margherita, l'altro la incastra direttamente sul mio orecchio, avvicinandosi senza timore. Hanno occhi scuri e vispi e dei sorrisi sdentati da farmi sciogliere.
«Sei bella come una principessa», il biondino mi abbraccia e con un movimento svelto, mi ruba un panino.
Che piccolo scippatore esperto!
«Nonna dice che starai per sempre con noi», lo spinge l'altro a farsi da parte. «Dato che stai con zio Di, sarai la nostra preferita. Lui ci porta sempre dei regali fantastici dai suoi viaggi e dato che i tuoi ci sono piaciuti, volevamo dirtelo. Così diventeremo i tuoi nipotini preferiti».
«Grazie». Non so che altro aggiungere. Non voglio illuderli. Gli offro l'altro panino rimasto e lo accetta con aria tronfia. Si volta verso il fratello e sollevando l'angolo del labbro, mentre mastica, dice: «Visto? Te lo avevo detto che è perfetta per zio Di».
«Kyle, Luke, tornate immediatamente a giocare e non importunate gli ospiti», li rimprovera Regina, sedendosi proprio davanti a me, mentre i due gemelli, ridendo, si allontanano.
Occhiali da sole dalle lenti scure e allungati, giacca rossa, pantaloni a sigaretta bianchi e tacchi vertiginosi, agguanta il panino che tengo ancora in mano e guardando i nipoti fischia loro incitandoli a raggiungere il castello gonfiabile dove il festeggiato, Zac, un bambino intelligente, competitivo e molto saggio, li sta chiamando prima di rimbalzare come una pallina e ridere con gli altri suoi amichetti e cugini invitati alla festa.
«Scusali. Sono curiosi e quando mamma ha detto loro che avrebbero avuto una nuova zia sono impazziti di gioia. Più regali per loro, meno soldi per le tue tasche. Non che sia un problema per te. Gli sei piaciuta a proposito. Non ti hanno morsa come fanno solitamente con chi gli sta antipatico. Sono due demoni».
Mi agito sul posto appoggiando il bicchiere sul tavolino di legno bianco a forma di francobollo dopo avere bevuto un lungo sorso. «Mi hanno regalato delle margherite. Direi che sanno come conquistare una donna. Farò il possibile per rimanere nelle loro grazie ed evitare dei morsi, che a quanto pare sono di famiglia».
Ride, leccandosi le labbra carnose e rimpolpate dal gloss. «Mio fratello Manuel ne è orgoglioso. Lo sarà ancora di più quando lo saprà. Ma temo di non capire, cosa intendi dire che i morsi sono di famiglia?», assottiglia gli occhi accesi di curiosità.
«Storia lunga», tergiverso.
Non avrei mai pensato fosse così numerosa la famiglia di Dante. Sono rimasta sorpresa. Manuel, il maggiore, un professore abbronzato e solare, è arrivato stamane all'alba insieme alla moglie, una ragazza minuta dalla pelle perfetta, dai capelli lunghi fino al sedere, molto impostata e riservata, e dai due gemelli.
Arrossisco. «Ma tu sai che non sono davvero la sua...»
Solleva l'indice azzittendomi. Lo muove e l'anello con il ciondolo a forma di cuore va da una parte all'altra. Controlla che nessuno abbia sentito. «Sssh! Vedere mia madre euforica e mio padre, il buon vecchio Phil, meno cupo da quando lei ha sganciato la notizia che il figlio sta mettendo la testa sulle spalle, ha reso tutti meno tesi, credimi», confessa guardando infine il fratello con adorazione.
Inevitabilmente, i miei occhi si spostano su Dante. Se ne sta seduto al tavolo degli uomini. Chiacchiera animatamente con Terrence, Manuel e Faron. Quest'ultimo sembra trovarsi bene con la famiglia di Dante, diametralmente opposta a quella dei Blackwell, così fredda e ligia al dovere. Mi incuriosisce il modo in cui, di tanto in tanto, Dante si sottrae alle chiacchiere per giocare con i nipoti; i quali da quando sono arrivati, non hanno smesso di lanciarsi su di lui.
Da quanto ho appreso, ha portato a tutti loro, non solo al festeggiato, qualcosa. Lo adorano. Con loro, Dante, è affettuoso e divertente. In netto constatato con l'uomo che ho conosciuto io e che ancora una volta si è allontanato dopo avere fatto qualcosa di prezioso: tirarmi fuori da quel pozzo buio.
Non è stato difficile evitarlo, dato che ha pensato proprio a tutto pur di non incrociarci se non durante i pasti, dove abbiamo retto bene la farsa. Ho solo continuato a domandarmi se fosse necessario.
Lui deve essere una sorta di strana anomalia, perché nessuno era ancora riuscito a insinuarsi sottopelle tanto in fretta, così a fondo.
«Per questo ti sei isolata?», Regina indica proprio il fratello.
Prendo a mordere il labbro, sopraffatta dalla valanga di pensieri di cui sono costantemente sommersa.
Prima che possa fraintendere, provo a spiegarle il mio punto di vista: «Avete una bella famiglia. Vedervi così uniti mi ha un po', come dire», gesticolo in cerca della parola.
«Sopraffatta e avevi bisogno di non sentirti soffocata», conclude al posto mio, intuendo chissà come il mio stato d'animo.
È così evidente?
«Mamma ci teneva davvero tanto ad avere Dante a casa. Di conseguenza non ha preso in considerazione il resto. È stato, come dire, egoista da parte sua e avventata a trascinarvi tutti qui. Ma a Dante fa bene, lo allontana dall'oscurità dei Blackwell».
Annuisco, ritenendomi d'accordo con lei. «Mi dispiace se ti hanno obbligata in qualche modo a parlarmi o ad accettarmi», le dico dopo una manciata di secondi, torturandomi le dita.
Il suo sguardo pieno di rimprovero mi suggerisce di tacere prima che possa dire qualche altra idiozia. «Eden, non mi ha mandato nessuno da te. Avevo bisogno anch'io di allontanarmi. Sono qui solo per mamma, papà e Dante», rivela.
Prendo una manciata di patatine. Sono deliziose e fatte in casa. «Andate d'accordo voi due».
Sorride sistemando gli occhiali sulla testa. La catenella che li tiene, oscilla sulle sue guance. «Dante è un po' il cucciolo di casa, prima di me. Conosce ogni mio segreto, sa che mi piacciono le donne e mi ha sempre protetta. Anche le mie sorelle lo sanno e puoi ben notare come si comportano», dice indicandole, bevendo un sorso di liquido dal mio bicchiere. Fa una smorfia buttando fuori la lingua. «Dio, ma che roba è? Qui ci vorrebbe un po' di alcol puro, non questa brodaglia per adolescenti. Ti va di alzarci e andare a prendere qualcosa per adulti?»
Valuto più opzioni e alla fine, sentendomi sola e notando lo sforzo di Regina, l'unica ad avvicinarsi e a mettermi a mio agio, accetto. È il minimo che io possa fare. «Volentieri».
Ci fermiamo di fronte al tavolo pieno di frutta distribuita ordinatamente in minuscoli vasetti riciclabili. Ci sono delle angurie intagliate, altre svuotate, dentro le quali galleggiano cubetti di ghiaccio su un liquido roseo. Prendo l'anguria e la seguo verso il tavolo, quello degli alcolici, poi in direzione del portico, dove lontane dalla cacofonia ci sediamo godendoci i colori di un tramonto che a breve sarà uno spettacolo.
Brindiamo con i nostri calici e rimaniamo per qualche istante in silenzio; avvolte dal frinire delle cicale e dal rumore di qualche auto che passa per strada.
Vedendola sospirare più volte, le offro la seconda fetta di anguria. «Sei triste per qualcosa?»
Osserva i rami dell'albero a poca distanza dal viale acciottolato, abbracciandosi le ginocchia. «Ho solo voglia di mettermi alle spalle questa giornata e tornarmene al mio appartamento dove potrò smettere di sorridere a comando», svuota il calice.
Bevo un sorso dal bicchierino. «Ti va di dirmi perché?»
«L'avrai già capito dal contesto», indica se stessa poi alle sue spalle, oltre la porta, con aria mesta.
Ho notato come le sorelle si mantengono lontane da lei. Hanno quell'aria arcigna e cattiva. Tipica di chi ha sempre tutto ciò che vuole nella vita, giudica tutto e non è abituato ad andare fuori dagli schemi. Ma c'è dell'altro.
Sollevo il sopracciglio. «Non rifilarmi questa mezza risposta perché è evidente che manca un pezzo e non c'entrano niente le tue sorelle. Sei triste per qualcos'altro».
Sgrana gli occhi. Con le labbra forma una "O", prima di pronunciare: «Okay detective, da cosa l'hai capito?»
«Ti agiti, continui a guardare lo schermo del telefono come se aspettassi una chiamata e sbuffi. Prima che neghi, lo fai. Succede quando osservi le tue sorelle abbracciate ai mariti. Vuoi che continui o mi dici il suo nome?»
Stende le gambe reggendosi sui gomiti. «Sei perspicace. Joleen mi aveva avvertita», nervosa, accende una sigaretta, aspirando subito una lunga boccata. «Ma avevo già capito che sei tosta dietro quello sguardo da angelo non appena ci siamo incontrate. Per questo sei perfetta per Di», adagia la mano sulla mia spalla.
Notando che non demordo, storce le labbra. «E va bene, confesso. Ho litigato con una persona alla quale tengo molto. Risolverò non appena sarò uscita da qui».
Chiudo gli occhi. «Ho solo osservato. Proprio come tutti voi».
Arrossisce lievemente. «Mi dispiace per il loro comportamento».
Mi stringo nelle spalle. «Non è una grossa novità per me. Ci convivo da quando sono nata. A ogni modo, spero riuscirai a risolvere davvero con lei».
Regina mi dà una spallata affettuosa, spegne la sigaretta buttando fuori una nuvola di fumo. «Mi piaci, Eden. E se conosco ancora un po' mio fratello, piaci anche a lui. Solo... non spezzargli il cuore».
«È sempre stato così?», domando d'impulso.
«Iperprotettivo? Arrabbiato con il mondo? Spietato?», Regina conta tutto sulle dita della mano a ogni parola pronunciata, più che pronta a continuare.
«Direi stronzo».
Le sfugge una mezza risatina gutturale. «Pensi che lo sia solo perché ti tratta male? Si è sempre comportato come un bambino dispettoso. Pronto a tutto pur di primeggiare sugli altri».
In realtà credo lo sia perché mi sta facendo impazzire il suo modo di fare. «Ci sono attimi in cui penso di averlo raggiunto, di essermi insinuata nella sua vita e di avere trovato una sorta di tregua con lui. Poi però dice o fa qualcosa e subito dopo mi sento... così spaesata da spaventarmi», libero tutti i pensieri avuti nel corso delle settimane vissute insieme a lui.
«Dante è bravo a nascondere i propri sentimenti. Lui sente tutto, eppure si rifiuta di avvicinarsi ulteriormente a quelle sensazioni perché pensa che facendole entrare nel suo cuore, lo distrarranno fino a fargli commettere altri errori».
«Non so che cosa ho fatto per meritarmi la sua ira».
«Tu?», sgrana gli occhi. «Non hai fatto niente».
«Allora perché è così crudele?»
Regina indugia un po' troppo nel formulare una risposta coerente. Cosa mi nasconde?
«Dante non funziona come tutti. Lui dimostra di tenerci in altri modi».
«E come faccio a capirlo?»
«Se ti protegge anche quando non lo meriti perché lo hai ferito. Se si avvicina anche quando ti urla addosso di scappare. Se ti minaccia, lui...», smette per un momento di parlare per osservare la mia reazione. Con voce bassa, ridotta quasi a un sussurro, conclude: «Lui... lui non vuole altro che tu reagisca».
Il cuore prende a battere all'impazzata. Un tumulto che mi scalda il petto, le guance, ogni parte del mio corpo mentre rifletto sul significato delle parole di Regina.
«Pensi davvero che ci sia dell'altro a parte l'odio?»
«Per quanto tu sia attenta, sei un po' tarda quando si tratta di te, vero?», ghigna. «Dante non mette mai gli occhi addosso a qualcuno per cui non vale la pena lottare. Sei la sua Nemesi. Tu sei sua, lui vuole essere tuo. Ma non glielo permetti e questo lo manda fuori di testa».
Corrugo la fronte. Le guance ormai hanno preso il colore di un pomodoro maturo, le orecchie sono così calde da poterci cuocere un uovo. Perché mi sto agitando così tanto? Lui è il mio rapitore, non un amico, non un uomo di cui infatuarsi o fidarsi. Non posso lasciarmi convincere dalle parole della sorella.
«È così incoerente! Un vero casino».
Ridacchia. «Mettiti in fila, non sei l'unica a non capirlo fino in fondo. Adesso però devo proprio ubriacarmi. Parlare dei miei problemi sentimentali e di mio fratello mi ha messo a disagio. Che schifo!», arriccia il naso portando fuori la lingua in una smorfia tanto buffa da farmi quasi ridere. «Non voglio immaginare niente di inopportuno tra te e lui. Anche se è inevitabile dal modo in cui vi guardate».
«Cosa? Noi non ci guardiamo in nessun modo», ribatto, ignorando il batticuore che torna più energico di prima.
Regina inarca un sopracciglio con scetticismo evidente. «Non ci credi neanche tu», dice a denti stretti, guidandomi lungo il corridoio per tornare alla festa. Passiamo dalla cucina. Il ripiano dell'isola è colmo di buste e vassoi pieni di cibo. C'è un odore gradevole e invitante, un'aria accogliente che mi fa venire voglia di chiedere di restare.
«Nei sei attratta».
Non si sbaglia e non lo posso negare.
* * *
Dopo il taglio della torta e l'apertura dei regali, con Regina e Joleen ci spostiamo dal barbecue verso le sdraio per goderci il resto della serata. Phil e Terrence, aiutati da Dante e Faron, stanno accendendo alcune lanterne e un piccolo falò.
Alcuni degli invitati se ne sono già andati, altri rimarranno ancora per la grigliata.
«Zac ha adorato il tuo regalo. Come hai fatto a capire cosa gli piace? Non lo conosci neanche».
«Ho pensato che macchinine ed elicotteri fossero la giusta soluzione per un bambino», dico, ripensando ai miei assurdi compleanni in cui mi regalavano quasi sempre cose di cui non mi importava.
«Anche se non vuole darlo a vedere, mia sorella Gloria ha apprezzato. Penso si stia già pentendo di avere spalleggiato stronza numero due».
«Regina, smettila di giudicare il loro comportamento. Non è un problema per me, davvero», sfodero un sorriso dolce. «Non starò ancora molto qui con voi. Presto tornerete tutti alla vostra routine e vi dimenticherete di me».
Adagia il palmo sul mio braccio. «Lo è un problema. Lo vedo il modo in cui ti stai impegnando e ci resti male. Dovrebbero farsi una dose di sana bontà e capire che fai parte delle nostre vite. Soprattutto dovrebbero farlo per il bene di Dante. Ha fatto tanto per tutti noi. Dovrebbero essere felici per lui. E per la cronaca, non penso andrai via. Mia madre sta già pensando ai biglietti di nozze, fidati».
Ancora una volta i miei occhi lo cercano e come se lo avessi richiamato, lui ricambia brevemente il mio sguardo.
La potenza pulsa da ogni poro, da ogni fibra del suo corpo.
Indomabile. Imprevedibile. Talmente perfetto ai miei occhi da provare una certa invidia per chi un giorno riuscirà a entrare nel suo cuore impenetrabile.
Sto odiando ogni singolo istante. Odio quello che mi provoca dentro. Non sono farfalle. Quelle non pungono tanto brutalmente. Non sono neanche comuni vespe. Dentro ho uno sciame di calabroni.
Sono stata stupida e così cieca da non accorgermi di non avere la minima speranza di poterlo in qualche modo conquistare; di poter essere vista da uno come lui. Avrei dovuto arrivarci e godermi di più quei pochi minuti in cui ho intravisto la sua anima. Se non fossi stata talmente spezzata dal dolore e dal panico, probabilmente ci sarei arrivata da sola. Avrei capito di non essere che un granello di sabbia dentro la sua clessidra.
«Lo state facendo di nuovo», brontola divertita Regina, ammiccando. «Perché diavolo non siete appartati?»
«Dovresti vedere in casa. Si crea sempre quella nuvola piena di elettricità a dir poco preoccupante», le regge il gioco Joleen. «Dovrebbero chiudersi dentro una stanza e porre fine alla sofferenza».
«Voi due, smettetela! Tra me e Dante non c'è niente».
Adeline, di passaggio e con un vassoio di dolcetti che posiziona su uno dei tavoli vicini, per fortuna non sente la mia risposta e interrompe Regina prima che possa mettermi ancora in difficoltà, affermando tutta elettrizzata: «Tesoro, un regalo davvero originale l'elicottero telecomandato. E tutti gli altri che hai fatto trovare al resto della ciurma? Non dovevi, ma grazie a nome dei miei figli e dei miei nipoti», si allontana soddisfatta per andare a giocare con loro. Il tutto dopo avere urlato: «Avete una zia meravigliosa!»
Vorrei potermi nascondere, ma Regina e Joleen me lo impedirebbero.
«È ora di andarci a cambiare. Inizia a fare freddo».
Alcuni degli invitati se ne stanno sulla soglia tra il meraviglioso soggiorno e il giardino. Chiacchierano tra loro e al momento stanno ridendo. Proviamo a entrare proprio da quel lato per salire di sopra.
«Io me la scoperei ovunque», sta dicendo uno di loro un po' troppo ad alta voce. Si tratta del tipo arrogante, capelli castano ramato e barba curata che da quando è arrivato, non ha fatto altro che ghignare e fissarmi o fare battute sconce al mio passaggio.
Sto evitando di replicare per non mettere in mostra la mia indole, per non mancare di rispetto a Adeline e Phil e perché sembrano alticci. Non ho speranze di vittoria contro l'alcol.
Regina, dapprima mi fa passare creando un varco tra loro, poi affronta il tizio senza darmi il tempo di fermarla. «Qualche problema, Buz?», pronuncia il suo nome con arroganza, come se fosse uno scarafaggio.
Lui scuote subito la testa, continuando a ghignare, a squadrarla da capo a piedi come se volesse mangiarla. Lo ha infastidito. È evidente.
«No, stavo solo dicendo ai miei amici come potrebbe rendersi utile la tua compagna. Piegata in avanti, intendo. Ha proprio un bel culo. È uno spreco se solo tu puoi vederlo».
I tre si guardano e ridono sguaiatamente. Uno di loro, avvicinandosi alle mie spalle, piazza le sue mani sul mio sedere. «È pure sodo», esclama.
Lo scaccio, facendolo barcollare a seguito di una poderosa spinta. «Toglimi le mani di dosso!»
«Ehi!», gli urla contro Joleen.
«Che cazzo fai?»
Fermo Regina. «È solo ubriaco. Andiamo».
Non mi accorgo che intorno c'è silenzio fino a quando non mi volto e gli occhi di tutti sono puntati su di me e su Regina, la quale scansandomi sbatte il ragazzo contro la parete in maniera aggressiva. «Stammi bene a sentire lurido maiale perché non lo ripeterò: solo perché non sei riuscito a convincermi a venire a letto con te, non significa che ogni donna che incontri o che si trovi insieme a me sia disposta a soddisfare le tue inutili fantasie da pervertito o a sopportare le tue parole sporche da segaiolo», picchia l'indice sul suo petto. «E vi consiglio di tenere le vostre sporche zampe lontane da lei se non volete ritrovarvi senza».
«Te ne occuperai tu personalmente?», la sfida. «Potrei anche starci».
«No, lo farò io».
Una montagna di muscoli si frappone. Dante aggira la sorella, afferrando il ragazzo per il bavero della camicia. «Hai toccato mia sorella senza il suo consenso, Buz? Non ti è proprio passata la cotta per lei, vedo».
Il suo tono basso, cavernoso, fa tremare Buz. «N-N-No», balbetta arrossendo. «Non lo farei mai. Stavamo solo scherzando».
Dante lo lascia andare, pur continuando a guardarlo storto. «Fuori di qui. La festa per voi è finita», ordina, e i tre si guardano stralunati.
«Amico, rilassati era solo un gioco! Sta' calmo!»
«Non rivolgere mai più la parola a mia sorella o ti cavo gli occhi e ti taglio la lingua».
«Dante, hai frainteso. Erano rivolti a Eden i loro commenti», replica Regina a denti stretti e a bassa voce, creando una brutta tensione intorno a noi. «La stavo difendendo. Nessuno dovrebbe offendere in questo modo la tua donna», si interrompe di proposito per un lungo secondo. «Lei non ha voluto dire niente, ha cercato di farmi ragionare. Adesso però fa parte della famiglia e ci si protegge, sempre», afferma, scoccandomi una breve occhiata di gelida intesa.
«L'altro le ha messo le mani addosso», la spalleggia Joleen. «Per questo abbiamo reagito. Eden non voleva creare scompiglio, ha cercato di placarci. Come ha detto tua sorella, ci si protegge in famiglia», rimarca le ultime parole di Regina.
«È la tua donna?», chiede Buz, sbattendo le palpebre. Un misto di incredulità e sospetto sul suo volto paonazzo; nonché paura. «Amico, io non lo sapevo. Credevo fosse la compagna di tua sorella», afferma agitato. «Non volevo dire quello che ho detto. Era solo un apprezzamento sul suo culo. Lo giuro».
«E io non volevo toccarla», afferma spaventato l'altro.
«Non avreste dovuto fare niente a prescindere, pezzi di merda!», li addita Regina.
Dante, all'inizio non dice niente. Io vorrei solo sprofondare, perché mi accorgo di Adeline che si è avvicinata e sta ascoltando tutto con aria disgustata.
«Tua madre non ti ha cresciuto in questo modo!»
«È colpa del giro di cui fa parte», interviene Regina. «Non sono più i ragazzini che conoscevi. Adesso sono solo dei pezzi di merda!»
Ha iniziando un gioco pericoloso, mi rendo conto troppo tardi. Provo un'ultima volta a placare gli animi adagiando una mano sul braccio dell'uomo che sprizza rabbia da ogni poro. Si irrigidisce al mio tocco. «Dante, non è necessario. Hanno solo bevuto troppo. Non roviniamo la festa a Zac. È più importante».
«No. Prima deve scusarsi», sibila tra i denti Regina. «Ti ha mancato di rispetto».
«Non è necessario», la imploro silenziosamente.
«Lo è! Allora? Nessuno offende una donna in casa mia. Regina ha ragione».
A parlare, il patrigno di Dante. Phil, si è presentato in maniera cortese e mi ha trattata bene. Non ha preso in disparte Dante quando ha saputo chi sono, né ha fatto scenate. Di tanto in tanto mi si è persino avvicinato per parlarmi. Ho apprezzato le sue attenzioni.
In questo istante però è come se avessi davanti altre persone. Sembrano tutti usciti da uno di quei film western, pronti ad attaccarsi in un logoro bar in mezzo al deserto per un filo di vento.
«Chiedo scusa», mi dice Buz, poco convinto e affatto contento di essere stato obbligato.
«Mi dispiace», lo segue a ruota il tizio che mi ha toccato il culo.
Raddrizzo la schiena. Dante, infastidito, spinge i tre fuori. «Ci penso io, papà», ringhia. «Lascia fare a me».
Phil lo segue con i suoi occhi scuri, scuote la testa, poi lanciandomi uno sguardo penetrante, come a dirmi di calmarlo, si allontana borbottando: «È questo che mi preoccupa, figlio mio».
«Mi dispiace», dico agitata a Regina. «Io non... io... forse dovrei seguirlo».
«Tesoro stai bene?», mi chiede Adeline, abbracciandomi. «Dante se ne occuperà», accarezza le mie braccia coperte di brividi.
«Non è quello che voglio».
La musica riprende. Provo a scusarmi ancora, ma vengo afferrata per un polso e trascinata dentro.
«Dante, fermati! Non c'è bisogno di trascinarmi in questo modo. Ho capito, me ne vado di sopra».
Dante non replica e mi fa entrare nel minuscolo bagno di servizio, chiudendo a chiave la porta. Furioso, mi schiaccia contro il mobile del lavandino. Il calore del suo corpo sta bruciando il mio.
«Non cercare di intimidirmi», lo avviso, mantenendo la giusta distanza creandola con i palmi a sfiorargli il torace.
Rabbia. Esasperazione. Dolore. Desiderio. Tutto passa sul suo volto talmente in fretta da farmi agitare. Alla fine però, prevale come sempre il suo maledetto autocontrollo.
«Non riesci proprio a stare fuori dai guai, vero?», la sua voce rimbomba come un tuono.
«È il prezzo da pagare quando sei una con un bersaglio sulla tempia».
Stringe la mascella e io riuscendo a divincolarmi, esco dal bagno sopraffatta.
«Dannazione, perché sei qui?»
«Chiedilo alla tua amica», dico d'impulso e sulla difensiva. «O a tua madre». Quest'ultima cosa non avrei dovuto dirla. Me ne accorgo quando il danno ormai è fatto.
«Dovevi restare alla villa. Sorvegliata dagli uomini di mio padre. Mi hai messo in una posizione difficile per tutto il tempo da quando sei arrivata», mi urla addosso. «Non mi hai permesso di rilassarmi e godermi il compleanno di mio nipote perché hai avuto gli occhi di tutti puntati addosso. Ho continuato a stare in allerta, ma non hai sbagliato un solo colpo. Mi chiedo come mai. Cosa pensi di ottenere?»
Spalanco la bocca offesa, indicandomi. «Io? Forse non te ne sei accorto perché eri troppo impegnato a comportarti da idiota. Sono rimasta ore in disparte per lasciarti con la tua famiglia. Ho evitato qualsiasi approccio diretto, restando per i fatti miei. Ho solo comprato dei regali ai tuoi nipoti per non presentarmi a mani vuote e non ho replicato una sola volta alle offese di quei tre stronzi che mi hanno persino messo le mani addosso, credendo di poterlo fare senza ripercussioni», sbotto indicando la porta. «Credi che a me piaccia stare qui o essere sballottata da una parte all'altra da ognuno di voi? Credi che mi senta a mio agio con le tue sorelle che mi minacciano o con te chi mi fai sentire costantemente sbagliata?», mi trema la voce.
Riprendo fiato. «Chiariamo un concetto, io non volevo venire. Non voglio neanche invadere la vita di nessuno. Tantomeno essere un problema solo perché non hai saputo dire la verità a tua madre, che per inciso è una donna meravigliosa, merita più rispetto e affetto da parte tua. Vale lo stesso per tua sorella. Lei ti adora e si trova qui solo perché ci sei tu», asciugo la lacrima che maledetta è scivolata senza permesso, rivelando la mia debolezza.
Non riesco a calmarmi. Tremo e continuo a spingerlo. Mi fermo solo quando sono al centro del corridoio.
«Uccellino, io...», gratta la nuca, forse accorgendosi di avere esagerato a prendersela con me.
O sta cercando di manipolarmi?
Dio, è sempre più complicato.
Ormai è tardi per fare marcia indietro.
«Se hai finito di fare lo stronzo con me, solo perché mi odi per il cognome che porto, lasciami in pace».
«Dovresti andare di sopra, adesso», raddrizza le spalle, ficcando i pugni dentro le tasche.
«Farò di più. Toglierò il disturbo immediatamente. Con o senza il tuo permesso».
Distolgo lo sguardo dal suo. Non riesco a nascondere il dolore sordo che mi ha appena colpito il petto. Sbuffo e mi avvio alla porta. Sul mobile avevo lasciato il telefono, la afferro. «Non era mia intenzione tutto questo», apro la porta con una certa foga. «Saluta tua madre e ringrazia tua sorella da parte mia. Inventa pure che ho avuto un imprevisto, se proprio ti imbarazza dire loro che la prigioniera non può stare con te. Di' pure ciò che vuoi. Sei bravo con le bugie».
Con la coda dell'occhio mi accorgo del movimento intorno a noi. Abbiamo catturato l'attenzione. Ma non me ne starò ancora qui a farmi offendere o a fingere che sia tutto perfetto. «Addio Dante che-tu-sia-dannato-Blackwell!»
«Eden, dove cazzo stai andando? Fermati immediatamente!»
Non mi volto, non replico, raggiungo in fretta la strada dove comincio a camminare svelta senza sapere dove dirigermi. Non conosco nemmeno le strade.
Pur sapendo che presto mi verranno a prendere, approfitto comunque del breve momento di libertà mettendomi a correre. Corro lontano, un metro dopo l'altro. Lo faccio per riportare un po' di ordine nella mia testa.
Il mio telefono a un certo punto ronza. Pensando che sia Faron, accetto la chiamata senza guardare. «Ti prego non farmi anche tu la paternale perché è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Concedimi cinque cazzo di minuti di pace».
Una risata stridula che conosco bene mi interrompe facendomi gelare il sangue nelle vene. Arresto la mia corsa, arretro di un solo passo e guardo nell'immediato alle mie spalle.
Non c'è nessuno per strada, eccetto la sottoscritta.
«Ho sempre adorato quando sfoderi gli artigli, gattina mia. Tranne quando osi lanciarmi qualcosa addosso. Su questo lavoreremo, non preoccuparti».
Continuo a guardarmi intorno spaesata. Adesso che faccio?
«Darrell?», soffoco un singulto pronunciando il nome dell'uomo che ha infranto ogni mio sogno, proprio mentre Dante mi raggiunge. Pronto a darmi una lezione.
«Hai finito di fare la ragazzina ribelle, zuccherino. Ti stai divertendo con i tuoi nuovi amici, vero? Uhm... direi un po' troppo per i miei gusti», non nasconde la gelosia.
Respiro a fatica. «Co-ome hai fatto... cosa vuoi?», provo a ricompormi. Purtroppo sono terrorizzata.
«Mi sembra ovvio. Non giriamoci intorno. Voglio te».
«Non puoi avermi».
Ride. «Non sfidarmi. Ti troverò. Proprio come ho trovato il tuo numero. Sai bene che quando ho un obiettivo lo raggiungo», afferma. Lo immagino con quel ghigno perfido. «Be', è stato facile sorprenderti», aggiunge quando non ribatto. «Credevi davvero di essere libera? Sei ingenua e presto tornerai da me. Al posto che ti spetta».
«Scordalo!»
«Sto venendo a prenderti. Con o senza il tuo benestare. È stato piacevole sentire la tua voce. Riferirò a tuo padre che stai bene. È rimasto... come dire, un po' colpito quando ha visto il video di te legata a un palo mentre ti facevi toccare da quei figli di puttana. Hai gradito le mani di quel bastardo sul tuo bel corpo, vero? Non illuderti, lo dimenticherai quando ti avrò infilato quell'anello al dito e ti avrò fatta mia. Salutami tanto Faron e di' a Dante Blackwell che è un uomo morto. Ti ha toccata e non avrebbe dovuto farlo».
Riaggancia ed emetto un singulto. Il mondo gira, porto la mano alla tempia. Sto per svenire.
«Chi era al telefono?»
«Terrence», bisbiglio. «Dov'è Terrence?»
«Uccellino, stai tremando. Che cosa succede?»
Le mie gambe non reggono e mi siedo sul bordo del marciapiede fissando lo schermo spento. «Puoi chiamare Terrence o Faron, per favore? Ho bisogno di loro due».
Dante si agita. «Uccellino...»
«Cristo, puoi per una sola volta fare quello che ti chiedo?», strillo. «Non voglio la cazzo di luna! Ho bisogno di Terrence e di Faron, qui, adesso!»
Si trattiene dal replicare, dopo qualche istante si allontana spedito verso la villa. Passano i minuti e quando ritorna, con lui ci sono Faron e Terrence.
Accorgendosi che sono a terra, si abbassano. Il primo mi afferra il viso. Il secondo adagia i palmi sulle mie ginocchia.
«Che è successo?», domandano all'unisono a Dante. Quest'ultimo scrolla una spalla, il volto una maschera di indifferenza. «Non ha voluto parlare con me. Credete che vi avrei trascinati qui altrimenti?»
Scosto le loro mani irrigidita. «Mi ha trovata», sussurro. «Lui mi ha trovata».
Faron sgrana gli occhi capendo al volo. Terrence afferra il mio telefono iniziando a smanettare con la tastiera. «Che cosa?», urla. «Ti ha chiamata? Cazzo!»
«Dovevamo aspettarcelo».
«Non le avevi sistemato quel telefono?», domanda confuso e sospettoso Dante.
«Era a prova di bomba quel sistema! Non ho idea di come abbia fatto».
Faron passa le mani tra i capelli. «Stai dicendo che quel farabutto è riuscito a trovare il tuo nuovo numero e ti ha chiamata? Cosa ti ha detto esattamente?»
Raccolgo i pensieri. «Sa che sono con voi perché hanno ricevuto un video».
«Quale video?»
«Quello della notte in cui mi avete rapita. Il palo, vi ricorda qualcosa?»
Scambiano tra loro una conversazione silenziosa.
«Troverà il posto in cui mi state tenendo prigioniera. Ormai ho le ore contate. Ha anche detto che riferirà a mio padre che sto bene e...»
«E... cosa?»
«Vi ammazzerà, Far. Dovete lasciarmi andare o vi ammazzerà», singhiozzo. «Io... io non posso permetterglielo. Non voglio che qualcun altro muoia a causa mia».
Molla una pedata a un sasso lanciandolo lontano, continuando a imprecare a denti stretti.
Dante, sentendosi di troppo, rimbalza con gli occhi da Faron a Terrence. «Mi spiegate com'è possibile che qualcuno dei Rose l'abbia chiamata? Adesso ci facciamo fottere in questo modo?», prende a massaggiare la fronte, poi pesca lo Zippo e comincia ad aprire e chiudere il coperchio d'argento.
Faron fissa qualcosa in lontananza, di colpo prende in mano la situazione. Sembra Seamus, suo padre, quando comincia a impartire ordini. «Terrence, occupati del telefono, rintraccia quel figlio di puttana. Io avverto il resto della squadra. In quanto a te, puoi restare un momento con lei? Portala sul portico e non perderla di vista. Te lo chiedo da fratello a fratello».
Dante sgrana gli occhi cambiando subito postura e umore. I muscoli sotto la camicia a maniche corte bianca che indossa sui jeans neri aperta sul davanti, guizzano. Non ha preso bene il passaggio del testimone. È lui il capo. «Va'», gli dice infine, facendomi strada dopo avermi porto la sua mano che scanso d'istinto. «Penso io a lei».
Torniamo indietro in silenzio. Dante ha attivato la modalità guardia del corpo. Controlla ogni angolo e segue ogni mio respiro. Si siede accanto, su uno dei comodi divani in vimini con i cuscini giallo sole, lanciandomi un'occhiata. «Spiegami», non perde altro tempo, prende un cuscino portandolo in grembo.
«Prima promettimi che non mi urlerai più in quel modo. È stato... umiliante», attendo.
I suoi occhi verdi lampeggiano facendomi sentire un tuffo al cuore. Si solleva un momento appoggiando le mani alla staccionata. «Non faccio promesse, cercherò di rispettare la cosa come se fosse un patto. E per la cronaca, ci sei andata giù pesante non fidandoti di me. Hai permesso a Faron di gestire la situazione, pur sapendo chi è il capo».
Prendo un respiro e mi avvicino a lui, dando le spalle alla strada. Ignoro il suo rimprovero. Non pensavo di ferirlo chiedendo l'aiuto di Terrence e Faron. Ero nel panico e troppo arrabbiata con lui. L'orgoglio ha avuto la meglio.
«Quella notte, siete riusciti a prendermi fuori dalla villa perché stavo scappando. Non avete mai chiesto la ragione».
«Non rientrava nel nostro piano sapere i tuoi, fino a oggi a quanto pare», ribatte aspro.
«Io, ecco io stavo scappando per non accettare la proposta di un uomo disgustoso che mi crede sua sin da quando mio padre per affari mi ha venduta», racconto. «Ha venduto la sua unica figlia femmina a un viscido pezzo di merda», mi abbraccio. «Non è stata una decisione facile. Ma dovevo correre il rischio. Io... dovevo allontanarmi da lui, prima che potesse farmi qualcosa di brutto. Una volta succede e credi che smetterà. Ma quando arrivi a perdere il conto, capisci di dovere fare almeno un tentativo per salvarti».
Le sue pupille si sono appena dilatate. La vena sul collo pulsa muovendo visibilmente il tatuaggio. «Uccellino...»
«È difficile da spiegare. Dentro la mia testa, pensavo che scappando sarei stata libera, un po' più al sicuro. Avrei in qualche modo anche potuto incastrare mio padre e il mio futuro marito. Per vendetta ho elaborato la fuga è così tante altre cose, da non riflettere sulle conseguenze. Adesso però mi rendo conto che è stata una follia. Lui, mi ha trovata. Lo farà sempre. Perché mi crede di sua proprietà. Non so più che cosa fare e se sarà possibile fermarlo, Di».
Guarda il cielo con sguardo serio, mordicchiando l'interno guancia. Chiude a pugno le mani picchiandole sul bordo. «Quindi era lui al telefono», la sua voce è affilata come una lama. Ragiona con se stesso.
«Non so come abbia fatto a trovare il numero o ad avere quel video. Se voi non siete stati, credo allora che qualcuno stia facendo il doppio gioco».
«Forse. Lo scoveremo».
Si posiziona davanti, sovrastandomi con la sua enorme stazza e io mi sento così piccola e così stanca da avvicinarmi a lui, nonostante abbia messo in chiaro dal primo istante che non saremo mai amici.
Vorrei allontanarlo. A volte però la persona che ti tortura, che ti fa a pezzi il cuore senza mai chiedere scusa, può essere quella pronta a riparare il danno, a salvarti da quei cocci affilati.
Dante si abbassa all'altezza del mio viso.
«Perché non me l'hai detto? Ti ho fatto delle domande in spiaggia».
«Perché ho paura, Di. E tu non mi permetti mai di avvicinarmi a te quel tanto che basta per poter andare d'accordo. Forse hai ragione a mandarmi sempre via. Metterò in pericolo chiunque mi stia vicino. Non posso più stare qui».
Muove la testa allontanandomi dal suo calore. «No, no, uccellino. Non funziona così».
«Non è una cosa che ti riguarda. Nulla di quello che mi succede è affar tuo».
«Lo pensi davvero?»
«Non importa cosa penso. Sei stato chiaro in queste settimane. Avviserò tuo padre e...»
«Non ti immolerai!», urla. «Scordalo, cazzo!»
Ancora una volta mi si avvicina. Adagia la mano sotto il mio mento, una leggera pressione e sono costretta a guardarlo.
Potrei convincere me stessa di essere lucida, vigile e pronta ad affermare di non provare niente. Potrei formulare parole cariche di risentimento nei suoi confronti per poterlo allontanare quel tanto che basta da poter prendere un lungo respiro. Guardarlo come si guarda qualcosa di poco conto. Ma continuerei a ferire quel minuscolo angolo di cuore in cui lui si è cucito con particolare precisione. È un punto di sutura, una cicatrice perenne, un segno tangente della sua presenza nella mia vita. Non so come sia successo o come sia possibile. Ma è capitato.
E quei suoi dannati occhi, continueranno ad avere il potere di dilaniarmi le viscere tutte le volte in cui mi si poseranno addosso. Mi faranno sentire piccola, esposta... indifesa.
«Ricorda attentamente quello che sto per dire, Eden», usa un tono ruvido, con una mano mi afferra il gomito poi la sposta sulla mia schiena avvicinandomi. Abbassa il viso all'altezza del mio orecchio. «Tutto quello che ti capita è affar mio. Tu sei affar mio».
Avverto una forte scossa in più punti del mio corpo. Non sono certa di cosa voglia dire, ma l'effetto è quello di una coperta calda mentre fuori nevica.
Le sue mani grandi, da artista, si posizionano ai lati delle mie guance, scendono giù lungo il collo e le spalle per poi risalire; facendomi perdere il respiro quando con il pollice prende ad accarezzarmi il labbro inferiore.
La punta del suo naso dritto sfiora il mio. Inavvertitamente sollevo la testa e le nostre labbra si sfiorano.
«Uccellino», mi avverte.
È uno di quei momenti che in apparenza durano poco, ma dentro sanno tanto di eternità. Lo senti fin nel midollo.
Vorrei di più.
Il bisogno mi spinge a fissarlo negli occhi, a chiedere silenziosamente. Dante abbassa le palpebre, massaggia la mia nuca con i polpastrelli mentre mi avvicina a sé. Al suo corpo statuario, solido. È così caldo da farmi salire il febbrile desiderio di lasciarmi abbracciare ancora e non solo per una manciata di minuti.
Le mie mani, con presa disperata, si artigliano alle sue spalle. Sollevandomi sulle dita dei piedi, mi ritrovo vicina. La sua bocca si sposta sulla mia fronte e per poco non mi sciolgo.
Dante, come se avesse intuito, mi stringe a sé. Le sue dita si artigliano alla mia nuca, mi piegano a suo piacimento. Divento creta, lascio che mi modelli al suo corpo.
«Nessuno minaccia ciò che è mio», sibila contro la mia bocca, facendomi gemere.
♥️
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