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Capitolo 16


EDEN

Non sono pronta a permettere a qualcuno di entrare nella mia vita e di lasciarvi un segno. Ho già abbastanza cicatrici, alcune delle quali non ancora rimarginate. E non posso e non voglio averne altre da medicare, correre il rischio che si infettino facendo ammalare il mio cuore.
«Perché siamo qui?», domando per la terza volta in pochi minuti a una Joleen splendida e raggiante nel suo tubino color ambra, i capelli tirati di lato da un vistoso fermaglio pieno di lustrini, il trucco impeccabile e un tacco dodici da rendere le sue gambe toniche, slanciate e sensuali. Faron le sbaverà dietro per tutto il tempo.
A rispondere alla mia domanda, però ci pensa Seamus Blackwell, che si è degnato di farsi vivo per obbligarmi a seguirli tutti in questo posto brulicante di pezzi di merda.
«Eden, mia cara, siamo stati invitati da un uomo influente, da sempre legato alla nostra famiglia. Non potevamo di certo rifiutare. La nostra assenza si sarebbe notata e qualcuno avrebbe fatto congetture. Sappiamo come funziona nel nostro ambiente. Inoltre, non potevamo non presentare a tutti il nostro nuovo acquisto», mi sorride e con la mano premuta sulla mia schiena, mi spinge e costringe a camminare lungo il viale pieno di lanterne, fino alla sala.
«Ma io non faccio parte della vostra famiglia», mi ritrovo a ribattere. «Non dovrei essere rinchiusa in una sorta di scantinato dell'orrore?»
Seamus non si ferma, ma ho notato il modo in cui i suoi muscoli dietro lo smoking grigio si sono irrigiditi e la sua mano ha fatto maggiore presa sul pomello del bastone. Vorrebbe colpirmi? O adesso ha intenzione di umiliarmi per la mia ostinazione?
Stringo la tracolla a catenella della borsetta che ho scelto insieme al vestito lungo glicine, uno tra i miei colori preferiti, cercando di non inciampare sui tacchi che ho indossato, perché nell'invito era espressamente richiesto un abbigliamento elegante.
«Mi guarderanno come guardano la feccia che raccolgono per strada», brontolo. «Se ha qualcosa in mente la prego di dirmelo. Sono stufa delle sorprese. Vorrei sapermi difendere come si deve una volta tanto», aggiungo per concludere il mio inutile piagnisteo.
Seamus non risponde ancora. Sonda con quel suo sguardo gelido tutto quanto. «Come ho detto, sei nostra».
Joleen, sembra avere intuito l'antifona dal suo tono, mi prende a braccetto portandomi lontana da lui prima che tra noi possa sfociare una discussione. È evidente che non andiamo d'accordo.
Sorride a un paio di uomini stringendo loro la mano e dopo avermi presentata, con il palmo adagiato sulla mia schiena, come se potessi scappare, mi conduce verso la zona bar, un tavolo lungo pieno di bicchieri di champagne e stuzzichini, dove tutti sembrano affollarsi appena entrati in questo enorme giardino con luci ad avvolgere le meravigliose colonne a sorreggere il tetto a volta all'interno della sala adiacente, dal quale intravedo un bellissimo lampadario antico. L'aria profuma di fiori e spezie. Un calore piacevole insieme a un'atmosfera raffinata si diffondono e raggiungono tutti gli invitati.
Joleen prende due calici ringraziando il ragazzo, pronto a servire chiunque con un sorriso e una frase di circostanza. «Non essere sciocca. Ti stanno guardando come uno al primo giorno di dieta guarda una deliziosa fetta di pizza», ghigna bevendo un sorso di champagne. «Seamus non farà niente perché è sotto i riflettori dopo la morte di uno dei vostri. Come ha detto si fanno congetture e la gente parla e addita in fretta senza prove. Ci vogliono pochi istanti per innescare una guerra e rovinare l'equilibrio di una famiglia».
Notando la mia espressione interrogativa, tracanna il resto del liquido, comprendendo di avere appena detto più di quanto avrebbe dovuto.
Chi hanno ucciso? Perché? E se fosse successo qualcosa a uno dei miei fratelli? Se hanno fatto questo, giuro che la punizione per loro sarà dieci volte tanto. Non m'importa se mi farò male.
«Hai detto uno dei nostri... intendevi uno dei soci in affari o uno di famiglia?», provo a conoscere l'identità, Joleen però sta facendo un cenno a Faron. Si trova in compagnia, insieme a Seamus, dell'uomo dalla pelle color ebano, occhi scuri attenti e sorriso ampio. Indossa uno smoking che sembra essere stato creato su misura per lui da un bravissimo sarto; al posto della cravatta ha una bandana Versace intorno al collo. Si muove a suo agio tra la folla, dedicando sorrisi e qualche parola a chi si ferma davanti a lui. Non lo avevo ancora visto da vicino, ma so chi è.
«Dallas, finalmente posso presentarti la nuova arrivata in famiglia, Eden».
Ritrovarmi di fronte all'uomo alto due metri e imponente, un altro nemico di mio padre, mi fa sentire in soggezione, in particolare per il modo in cui mi sta scrutando come un rapace famelico.
Porgo con una certa sicurezza la mia mano, non dimenticando mai gli insegnamenti ricevuti. Dallas mi bacia il dorso con galanteria. «Le descrizioni di te non sono lontanamente vicine alla realtà. Piacere di rivederti, Eden», esclama stupendo tutti, me compresa. «Forse non ti ricordi di me, eri piccola quando ci siamo incontrati per la prima volta a una festa. Eri già graziosa allora, mentre adesso sei bella come una stella».
Arrossisco e cerco il suo viso tra i miei ricordi. Purtroppo non trovo niente in mezzo a tutte quelle macerie.
«Dallas si è appena ritirato dagli affari, lasciando il posto al figlio maggiore. Questa è la festa del suo pensionamento, se così possiamo definirla. Non è più tanto giovane come vuole far credere», mi spiega Seamus, sorridendomi in modo tirato e lasciando che Dallas gli circondi le spalle con un braccio, suggerendo il legame effettivo della loro amicizia.
«Non annoiare la ragazza con questi discorsi da vecchio. Sei il solito. Ciò che vuole dire Seamus è che ho fatto la cosa migliore, così avrà campo libero e si sentirà meno in colpa perché mio figlio sarà obbligato ad abbassare la cresta in quanto è il più anziano ancora attaccato al potere», lo spalleggia, pur prendendolo in giro. «Questa sera non è presente perché si trova in viaggio, mi piacerebbe fartelo conoscere, magari a cena quando ritornerà».
«Non architettare niente, è già dei nostri. A Dallas piacciono le cose rare. Soprattutto colleziona vittorie, quindi non lasciarti abbindolare», soggiunge Faron.
L'uomo ride, stringendogli una spalla, brindando con lui. «Questo è vero, figliolo. Un piccolo vizio mai accantonato. Dovevo pur tentare, in fondo vale la pena avere un'alleanza con lei. A quanto pare però sono arrivato in ritardo. Be', che altro potrei aggiungere? Sarà difficile, ma finalmente potrò respirare a pieni polmoni. Non a tutti è concesso arrivare fino in fondo senza essere freddato. A proposito, ho saputo quello che è accaduto. Ci saranno ripercussioni sugli affari?»
Faron sembra preparato e nega. Nessuna traccia di sospetto o dubbio sul suo volto concentrato. Cerco allora altre risposte nell'unica persona che potrebbe darmele, ma Joleen, sempre più sfuggente, sposta la sua attenzione alle mie spalle.
«Dante», esclama Dallas, aprendo le braccia.
Mi irrigidisco e non mi muovo. Rimango a guardare mentre Dante, vestito Armani nero, abbraccia amichevolmente Dallas.
Tutto in lui trasuda potere. Impossibile spostare lo sguardo altrove, perché riempie le spalle della giacca senza il minimo sforzo. I pettorali e gli addominali fasciati dalla camicia nera, urlano di essere liberati e poi toccati. I pantaloni gli fasciano i fianchi, coprono quella V scolpita, le lunghe gambe.
Mio Dio. È una forte stretta al cuore.
«Finalmente ti togli dalle palle, vivo», gli dice sfrontato.
Dallas ride divertito, affatto offeso dal suo tono scherzoso. «Hai il campo libero per fare il mascalzone insieme a mio figlio», gli molla un colpetto alla nuca. «Vi terrò comunque sotto sorveglianza, come ai vecchi tempi», gli strizza l'occhio. «A ogni modo mi hai interrotto. Stavo per fare parecchi complimenti alle meravigliose donne che ho di fronte. Ho persino tentato di far fare coppia con mio figlio a questa bellissima creatura».
Dante guarda subito Joleen con malizia. «Hai ragione. Sei meravigliosa Jo. Ma ricordati di essere impegnata», le bacia la guancia, sussurrandole qualcosa all'orecchio e lei ridacchia spingendolo. «Sei sempre il solito», sbuffa facendolo ghignare.
Dallas si accorge che Dante non mi rivolge l'attenzione e la parola, corruga lievemente la fronte. «In realtà mi riferivo a...»
Faron, cogliendo qualcosa al volo dalla sua espressione, prima che possa porre domande invadenti o concludere la frase, si distacca portandolo a qualche metro da noi, chiedendo il suo aiuto riguardo un grosso colpo da organizzare.
«Potresti almeno fingere», dice a denti stretti al figlio, Seamus.
Dante si sistema la giacca e i polsini con nonchalance. «E tu potresti lasciarmi in pace per una cazzo di volta. Non vedo perché dovrei immolarmi ancora quando hai voluto tu tutto questo. Non ci hai messo un secondo a piazzarmi in panchina dopo l'attacco. Continua pure, tanto non me ne importa niente e non ho intenzione di accontentare i tuoi capricci. Ci penseranno Joleen e Faron a lei», si allontana, lasciando Seamus quasi a bocca aperta.
Mordo il labbro e poso il bicchiere sentendomi davvero a disagio.
«Avete assecondato quel pazzo e l'avete portata in un covo di vipere», sta dicendo sottovoce Dante, al contempo in un tono tale da permettermi di sentirlo. «Non ho intenzione di prendere parte al teatrino di mio padre. Non sono la sua fottuta marionetta».
Joleen afferra un altro bicchiere, sfoderando un sorriso finto, voltandosi nervosamente per controllare che nessuno sia in ascolto. «Eden se la caverà. Tuo padre ha richiesto la presenza della famiglia e lei ne fa parte».
Dante si volta e dopo tre lunghi giorni da quella notte in cui ha fatto traballare il mio cuore ed è stato sincero dicendomi che l'ho fottuto per poi lasciarmi da sola in cucina a fare i conti con tutte le strane sensazioni che mi ha trasmesso, ci guardiamo.
È appena accaduto qualcosa ai suoi occhi verdi con minuscole pagliuzze color grano. Dapprima si adombrano poi si accendono; sento una sensazione simile, si è appena insinuata nelle mie ossa e si sta diffondendo in ogni parte del mio corpo. È una carezza e un brivido il suo sguardo.
«Vedremo se fa parte della famiglia o è una spina nel fianco quando sarà il momento», sibila e allontanandosi lascia Joleen a pochi passi da me.
«Non dare retta a quello che dice. È solo arrabbiato perché non gli parli e anche se non lo ha espresso chiaramente lo hai lasciato senza parole».
Mi sta punzecchiando per farmi confessare. Riesce sempre a fiutare odore di verità nascoste. Ma non le dirò niente. In qualche modo, penso che quello che viviamo da soli, in privato, è compito mio custodirlo gelosamente. «Non lo farò. Lui mi odia, io cerco di stare a debita distanza. Mi sembra un buon compromesso», le spiego ancora una volta. «E non mi ha neanche notata prima. Non vedere cose che non esistono, per favore», aggiungo con una punta di delusione nel tono della voce.

* * *

La serata prosegue tra musica, saluti, inviti a cena, esibizioni e poi ancora cibo, alcol e chiacchiere inutili. In tutto ciò non partecipo e mi incupisco sempre di più continuando a controllare l'ora quando in sala entrano Parsival e Coleman, accompagnati da due donne.
Joleen le saluta, ma non si fermano a conversare con lei. Proprio dopo avermi vista al suo fianco, inventano banali scuse per allontanarsi il più possibile. Come se fossero state istruite.
Joleen incassa il colpo, ma io mi volto verso di lei comunque dispiaciuta. «Posso chiedere a Terrence di portarmi a...»
Mi ferma sollevando il mento con aria ostinata e fiamme in quei suoi occhi allungati, penetranti. «Non scapperemo solo perché delle stronze hanno paura di disobbedire o di non essere pagate. Rimarremo fino a fine serata e ci divertiremo con o senza di loro. Che stiano pure ai margini, ad annoiarsi e a ingelosirsi. Perché è di questo che si tratta».
Esito, intuendo il gioco di ruolo appena assunto dalla donna forte che ho accanto, che sto imparando a conoscere ogni giorno sempre di più.
«Va bene, Eden?», rincara la dose.
«Non voglio essere un ostacolo», preciso. «Mi dispiace per tutto questo. Credimi, se avessi potuto sarei rimasta ben volentieri alla villa».
Faron si fa strada tra la folla, in parte notando il modo in cui Coleman continua a tenermi d'occhio, in attesa che rimanga sola. «Che succede?»
«Succede che tutti vi evitano a causa mia e io non voglio stare qui dentro, specie con quello psicopatico di tuo cugino a poca distanza. Sono stanca di portare questi tacchi e fingere un sorriso cortese di fronte a queste persone che mi vorrebbero morta. Perché è così. Nessuno può negarlo».
Faron chiede conferma e Joleen annuisce, comunicando con lui silenziosamente.
L'orchestra posizionata su un palchetto in fondo al giardino nel frattempo intona le note di una melodia struggente, invitando i presenti a ballare. Faron, senza attendere il mio assenso mi trascina in pista.
Impacciata, adagio le mani sulle sue spalle. «Non azzardarti a farmi cambiare idea. Tuo padre sta proprio stuzzicando il cane che dorme portandomi qui con voi».
Sorride trascinando le mani sui miei fianchi. «Volevo solo allontanarti per un momento dalle persone e dai cattivi pensieri. So che non sono i tacchi il problema perché sai portarli come se fossero ciabatte», afferma con l'intento di calmare la mia angoscia. «Mio padre sa essere stronzo, questo lo abbiamo appurato. Ma dovresti guardare la cosa in maniera diversa. Portandoti qui, ha mostrato a tutti che tu, appartenente a una famiglia di cui tutti hanno il terrore, sei con i Blackwell perché sei una di noi e dovranno rispettarti».
Storco le labbra. «Non lo sono».
Stringe la presa. «Sei nostra, Eden».
«Vostra? In quale maniera? Sono stata sequestrata durante la festa del mio compleanno e non ho neanche avuto il diritto di poter dire la mia in merito o di contattare la mia famiglia per fargli sapere che sono ancora viva. Avrei rifiutato».
«Davvero?», domanda scettico.
Odio il modo in cui nasconde il sorriso. È intuitivo in maniera esasperante. «Perché mai avrei dovuto avvicinarmi a uno di voi? Praticamente tu sei legato a un carro armato con i tacchi e la lingua lunga, tuo padre al suo ego smisurato e tuo fratello... be', lui a tante cose in realtà, in particolare al suo orgoglio!»
«Hai esitato su mio fratello», ghigna facendomi volteggiare e quando mi avvicina a sé non smette di stuzzicarmi con quel sorrisetto. «In fondo ti piace proprio per questo, no? Quindi ti sbagli, avresti accettato. E sai perché ne sono convinto? Perché avresti avuto una cazzo di alternativa. Almeno saresti sfuggita a Darrell e alla gabbia che chiami ancora casa».
Distolgo lo sguardo. Sentire nominare l'uomo che mi ha terrorizzata per anni mi mette i brividi.
«È questo il vostro piano? Scenderemo sempre a patti e mi terrete all'oscuro di tutto? Far, io non posso stare in mezzo a queste persone. Non sono come voi. Non noti come mi guardano quelle donne in fondo alla sala? Vogliono umiliarmi e lo faranno quando voi sarete occupati a regalare sorrisi e parole di commiato a chiunque», mi lamento. «Succederà qualcosa, me lo sento».
Un'altra giravolta e mi avvicina premendo la guancia sul mio orecchio. «Nessuno oserà farlo. Sei stata invitata. Dallas, quando mio padre ha parlato di te, ti ha voluta qui. Certo, non sapevo vi foste già incontrati. È stata una sorpresa che mio padre non ha gradito».
«Qualcuno potrebbe fare la spia o scattare delle foto e allora... allora io sarò in guai seri», mi agito. «Dicono che siano i Rose a collezionare vittorie ma nessuno nota mai la fame negli occhi di certi uomini che farebbero di tutto pur di ottenere ciò che vogliono. Posso darti un consiglio? Non fidarti di lui. Dallas è esattamente come tutti gli altri, pronto al passo falso, a tradire, a umiliare, a vendicarsi».
Faron appare sorpreso dal mio tono concitato e dalle parole appena pronunciate. «Controlliamo chi entra e chi esce e abbiamo fatto lasciare cellulari e armi all'entrata. Le misure di sicurezza le abbiamo prese, non solo per tutelarti e tenerti al sicuro. Dallas ci teneva che fosse una serata tranquilla. Adesso prova a rilassarti per un solo minuto. Ti prometto che ti porterò a casa tra non molto con o senza il permesso di mio padre».
Non mi fido. È stato fin troppo facile ottenere quello che voglio. Mordo l'interno guancia. «Non approfittare più della mia cotta per convincermi», lo prendo in giro.
Ride, intuendo di averla avuta vinta. «Se solo fosse così facile con te», mi dà un buffetto. «Non dire a Joleen che hai una cotta per me. In qualche modo si è affezionata a te e pure io. Anche se non mi dispiacerebbe vedervi lottare per il mio cuore», regge il mio gioco.
«Non voglio lottare per un cuore di pietra», replico, i miei occhi si dirigono verso Dante.
Faron se ne accorge, prima che possa sputare fuori qualcosa di assurdo e mettermi in imbarazzo, per fortuna, veniamo interrotti.
«Posso rubarti la dama?»
Terrence attende speranzoso. Indossa uno abito senza cravatta. La camicia a scollo a V gli dona e gli conferisce uno stile sbarazzino.
Faron mi lascia tra le sue mani e raggiungendo Joleen, la porta in pista facendomi l'occhiolino.
«Che cosa ti ha promesso?»
«Di tornare a casa. Ma non lo faranno perché sono la scimmia da sfoderare davanti a tutti, vero?»
Solleva impercettibilmente le spalle mentre oscilliamo. «Vogliamo solo non vederti spaventata e che tu viva in maniera normale per il tempo in cui starai con la nostra famiglia. Sembra assurdo, ma sei più al sicuro con noi. Sei bella a proposito».
Mi avvicino a lui, cercando conforto nel calore del suo corpo. Terrence trattiene il fiato, mettendosi in allerta. «Potrei estrarre dal fodero la pistola e puntartela alla tempia proprio adesso che sei distratto dalla mia bellezza. A te l'hanno fatta tenere e non la nascondi neanche».
Ghigna. «Principessa, non sai con chi hai a che fare».
«Ah no?»
«Sono un cecchino e sono addestrato. Ti disarmerei immediatamente e saresti spacciata nel giro di una manciata di secondi».
«Sicuro?»
La sua convinzione vacilla. «Lo faresti davvero?», torna serio.
Mi avvicino ulteriormente e trattiene il respiro. I muscoli si contraggono e si prepara a fermarmi quando sfioro il suo petto. «Prima miro a te in questo modo», fingo di tirare fuori l'arma, di tenerla con le dita, puntandogliela alla tempia. «Poi sparo in direzione delle galline».
Terrence batte le palpebre, infine ride e io insieme a lui sentendo un po' della pressione iniziale abbandonarmi. «Dio, per un attimo ho avuto il dubbio che fossi seria».
Arrossisco. «Non penso di sapere usare un'arma», mento. Per la prima volta lo faccio per non destare sospetti e per non farmi controllare ulteriormente a vista. Se sapessero che sono brava con le armi o nel combattimento mi terrebbero a debita distanza.
Terrence si ferma. «Mi stai dicendo che non hai mai usato una pistola?»
«Donne e armi nella mia famiglia non devono avvicinarsi. Ho avuto un'antenata che a quanto pare era abile e ha massacrato la famiglia di suo marito per salire sul trono e metterci di seguito suo figlio», racconto. «Poi... è successo che...», mi interrompo. Non riesco ancora a parlarne a distanza di così tanto tempo.
Terrence, curioso, ascolta con attenzione, facendomi oscillare. Un passo a destra, uno a sinistra. Una sequenza che seguo senza problemi.
Odora di talco, tabacco e qualcosa di dolce. Ha rasato di nuovo i capelli e i suoi occhi controllano tutto mentre mi guida in questo tango.
È pure abile nel ballo. Sono piacevolmente stupita.
«Quando ti annoi chiedimi di portarti al poligono», si offre volontario, percependo la mia tristezza. Quanto sa della mia storia?
Credo che il suo sia anche un tentativo per allenarsi e non stare impalato tutto il giorno. Pertanto accetto. «Magari uno di questi giorni in cui verrai alla villa puoi rapirmi puntandomi una pistola alla tempia. Vogliono farlo tutti ma tu avrai l'onore».
La musica si conclude e le persone si fermano intorno a Dallas il quale con un calice in mano, sopra il palchetto, sta richiamando l'attenzione per un discorso. Terrence rimane a bocca aperta, stranito dalla mia risposta.
«Non dirmi che non ci hai pensato almeno una volta», sollevo entrambe le sopracciglia.
Ci affianchiamo a Faron, Joleen e Dante che se ne sta un po' più in disparte, appoggiato alla colonna, un bicchiere con ghiaccio e un liquido ambrato che fa oscillare apparentemente annoiato. Non ha bevuto neanche un goccio e non ha parlato più con nessuno dopo essere entrato in questo spazio e avere parlato con Dallas e discusso con suo padre; quest'ultimo riunito al fratello e a Coleman.
Di tanto in tanto, Dante controlla le porte e io di spalle percepisco il suo sguardo addosso e annuso come una tossica le zaffate del suo profumo che mi raggiungono.
Dallas comincia a parlare, a pronunciare nomi e ringraziamenti. Io approfitto del varco libero e vado a prendere un bicchiere d'acqua, accompagnata da Terrence, la mia ombra. «Finita questa serata andrai a ubriacarti, immagino», indago. «Provo un po' d'invidia. Posso venire con te?»
Ci riflette. «Forse. Sempre se avete qualcosa di buono in casa?»
«Sarai di guardia?», chiedo a bassa voce.
«Può darsi».
«Stai già facendo troppi turni. Farò la brava e me ne andrò a dormire».
Noto che apprezza. «Gentile da parte tua. Ma è il mio lavoro».
«Allora ti preparerò qualcosa da mangiare mentre starai di guardia e quando non se ne accorgerà nessuno ti passerò una bottiglia da condividere. Che ne dici?»
Inumidisce le labbra. «Non sei obbligata».
Appare a disagio. Perché? Nessuno aveva mai fatto qualcosa per ringraziarlo?
Prima di tornare indietro dal nostro gruppo, vengo raggiunta da altri bisbigli. Una donna in particolare la riconosco. La chioma folta, il seno prosperoso. È la stessa che Dante ha portato alla villa.
«Non avrebbero dovuto permetterti di entrare», mi dice approfittando del fatto che Terrence è appena stato fermato di proposito da uno di loro.
«Ah no?», mi ritrovo a ribattere, per capire dove sia disposta ad andare a parare. Anche se ho già qualche sospetto.
«Non sei una di noi. Tu appartieni alla feccia. Ci stai mettendo in pericolo e in ridicolo», mi sussurra girandomi intorno come una pantera.
Il suo profumo fruttato, mischiato all'alcol, è aberrante. Arriccio il naso. «Non lo sono, ma hanno voluto la mia presenza. Che a te piaccia o meno, non stare qui a discuterne con me, vai da chi mi ha invitata personalmente e fai un reclamo se ne hai il coraggio». Le parole mi escono veloci e senza controllo dalla bocca. Sarà che sono stanca di incassare o del modo in cui lei mi sta fissando come se volesse strapparmi i capelli uno a uno e graffiarmi lo scalpo con quelle unghie ad artiglio.
Le sue guance si tingono ancor più di rosso, assume presto una posizione di attacco. «Per colpa tua siamo controllate a vista. Non possiamo...»
«Che cosa?», la interrompo, incrociando le braccia al petto in maniera poco signorile. «Cosa non puoi fare? Puoi muoverti, puoi bere, ridere e stare con la tua gente, cosa che al contrario a me è stata negata. O forse la ragione è un'altra?», adocchio il suo promesso sposo, poi Dante e lei si irrigidisce. Allora sogghigno. «Pensavi davvero di potertela svignare con lui?», quasi rido di fronte alla sua impotenza e al suo immediato imbarazzo. «Allora sei davvero stupida come dicono».
Stringe le labbra e la presa sulla borsetta. L'amica accanto, dai capelli a caschetto, piena di lentiggini sul petto e sul viso, occhi nocciola, si frappone. «Vattene», mi ordina mostrando i denti dritti. «Adesso», aggiunge.
Non indietreggio. «Perché? Ti do fastidio qui?»
Trisha mi si piazza di nuovo davanti. «Credi davvero che lui sia disposto a lottare per una come te?», domanda sprezzante.
Sento il cuore battere forte per la rabbia. Non mostro a nessuna di loro che rischio di avere un crollo. Sono una Rose, dopotutto.
«Credi che voglia problemi? Oppure sei così illusa che si innamorerà di te prima o poi?», ride in modo falso e calcolato. «Lui ama solo se stesso, il sesso e chi riesce a farlo sentire un uomo. Tu sei solo una ragazzina. Allontanati da lui prima di farti male al cuore».
«Mi stai forse minacciando?»
«No. Ti sto solo dando un ultimatum».
«Dante non è una tua proprietà. Devo forse ricordarti che stai per sposare un suo sottoposto? Come la prenderà quando verrà a conoscenza del fatto che ti sei scopata il suo capo?»
Avvampa. «Piccola stronza, tu non sei niente per lui», si agita.
«Questo niente, adesso tornerà a casa con lui mentre tu cosa farai?», sollevo una spalla con un sorriso perfido, non indietreggio, pur aspettandomi che mi attacchi fisicamente.
Replicare in questo modo non mi ha fatto sentire meglio come speravo. Era solo necessario per stabilire un confine.
«Potranno pure averti invitata, ma dubito che Dante sia così stolto e coinvolto da correrti dietro. In fondo, ti ha ignorata per tutto il tempo, nonostante Seamus Blackwell abbia detto a tutti che sei di proprietà del figlio. Sei solo un giocattolino che tutti useranno per poi rispedirti al mittente», mi sibila orgogliosa all'orecchio. La sua spinta alla spalla, la sento appena. Non reagisco. Rimango stoica, lo sguardo fiero. «Quella che è stata usata sei proprio tu», le aggiusto la collana di diamanti falsi e le sussurro all'orecchio: «Sai che non sarà mai tuo, vero?», tiro indietro la testa. «Ti ha persino mollata alla porta mentre ti rivestivi. Davvero patetico», mi allontano usando un portamento da stronza, sculettandole davanti.
Terrence si libera dei tre che lo hanno circondato, mi raggiunge impedendo a Coleman di fare qualsiasi mossa. «Tutto bene? Ti ha fatto qualcosa?»
«So difendermi da sola», ribatto con un tono aspro. Accorgendomi di averlo ferito, adagio il palmo sul suo braccio. «Scusa. È solo che tutto questo è un po' troppo per me».
Terrence mi sfiora una guancia dopo essersi assicurato che nessuno ci veda. «Torniamo dagli altri. Si staranno chiedendo dove siamo finiti. Dobbiamo restare uniti. Per quanto riguarda Trisha... hai intenzione di dire qualcosa a Dante?»
«Non sono una spia», aumento il passo, innervosita quando ripenso a quella stronza, al modo in cui ha fatto attecchire quelle parole dentro di me. È stata pura manipolazione, mi dico.
A un certo punto, il passaggio mi viene bloccato. A sbarrarmi la strada, mentre parte un applauso in sala, ci pensa un ragazzo affiancato da Coleman. Altezza da giocatore di basket, capelli lunghi raccolti in un codino e occhi allungati, mi sorride in modo perfido, leccandosi le labbra sottili piegate in un ghigno. Sembra un demone. «Bene bene... cos'è questo odore? Abbiamo qui una Rose?»
«Ti correggo, amico, la puttanella di Blackwell. A quel bastardo piace infilarsi in mezzo alle cosce del nemico».
Mi agito. «Non so di cosa tu stia parlando». Provo a superarlo e Coleman mi sovrasta, la sua mano vicina al mio braccio, pronto ad afferrarmi. «No, sai bene di cosa sto parlando, piccola stronza».
Terrence lo spinge. «Spostati, idiota. La lezione al magazzino non ti è bastata? Vuoi davvero essere freddato qui davanti a tutti?»
Cos'è successo?
L'altro prova a colpirlo, Terrence intercetta il pugno e gli torce il polso dandogli uno strattone per farlo allontanare. Il ragazzo solleva subito i palmi dopo l'urlo che ha creato un certo silenzio in sala.
«Sei la sua guardia del corpo o il suo tappetino? Quando finirai con lei puoi passarmela?», sorride, scuotendo la testa, rimettendo in posizione gli anelli alle falangi dopo avere scrocchiato le dita.
Coleman mi punta addosso lo sguardo da squilibrato. «Sai che prima o poi saremo soli», mi strizza l'occhio.
«Torna tra i tuoi simili, cagna traditrice», tossisce per coprire l'insulto l'altro. Ma lo sentono tutti nel raggio di qualche metro. Qualcuno scoppia a ridere, mentre lui raggiunge a passo molleggiato Trisha. Coleman, dopo un momento fa lo stesso con l'aria di chi ha vinto un mucchio di soldi. «Visto? È stato facile rimettere in riga la stronzetta», dice a Trisha. «Dovevi solo affidarti al migliore tra i cugini».
Intorno non vola una mosca per quanto? Due secondi?
Il mio cuore prende a battere forte, sento un enorme peso addosso che schiaccia e schiaccia. Mi guardo intorno e non trovo un appiglio, ci sono solo estranei e le orecchie iniziano a fischiare e la testa a girare. Barcollo. Terrence si accorge del panico e mi sorregge. «Non dare peso a quello che dicono. Respira e cammina. Non abbassarti al loro livello. Un Blackwell non lo fa mai, rimane a testa alta, comanda in qualsiasi situazione. Coleman si trova nei guai. Seamus ci teneva d'occhio e ha sentito tutto. Suo padre questa volta non potrà evitare che venga punito».
Seguo il suo ordine, inspiro ed espiro lentamente. «Possiamo andare a casa, per favore?»
«Sì, tornatene a casa, troietta, e fatti scopare da...»
L'ennesimo insulto dell'idiota supportato da Trisha, viene interrotto da qualcuno che ci supera come una furia. Prima ancora che riusciamo a fermarlo, Dante lo raggiunge, lo afferra per il collo e lo sbatte contro la colonna ringhiandogli: «Ripeti ad alta voce e davanti a me ciò che hai detto se hai le palle!»
Il ragazzo sbianca, provando a divincolarsi, cerca aiuto in Coleman che si sta nascondendo dietro un calice con finta indifferenza, mentre io tremo e non riesco più a respirare.
Terrence raggiunge Dante per strapparlo via dal ragazzo sempre più agitato e terrorizzato dal suo attacco o per aiutarlo a farlo fuori, non so dirlo. Abbiamo troppi occhi puntati addosso e sono ancora nel panico.
«Io...»
«Conosci le regole, vero?», spinge la lingua tra i denti emettendo quel suono sinistro. Le sue nocche intorno al colletto dell'idiota sbiancano. «A quanto pare qualcuno deve ricordarti il tuo posto».
Vengo affiancata da Trisha, tiene gli occhi puntati sui due, proprio come il resto dei presenti. «Adesso sarai contenta. Tre maschi che litigano per te», sussurra con voce stridula al mio orecchio. «Non era quello che volevi da quando sei arrivata? Avevi già i riflettori addosso, dovevi proprio creare tutto questo scompiglio?»
Mi volto lentamente. «Come, scusa?»
Ridacchiano le due accanto a me. Trisha non molla l'osso e ancora una volta mi si piazza davanti. «Vattene», mi spinge. «Lui non è tuo. Questo non è il tuo posto».
Riesco a non cadere e a non urtare nessuno.
«Dirò a Dallas che mi hai appena minacciata se non lasci immediatamente questa festa», sibila, tenendo un bicchiere davanti.
Un cenno e l'amica estrae dalla borsetta una lima per unghie parecchio affilata. Così tanto da essere usata come un minuscolo pugnale. Non gliel'hanno confiscata perché apparentemente inutile o ben nascosta, rifletto, mentre mi si avvicina premendomela sul fianco. Oppure era previsto sin dal principio?
«Vattene ho detto. E se ti incontro di nuovo, prega di morire prima di avere provato quello che ti infliggerò».
Il sangue mi arriva al cervello bruciando per un momento la ragione, disarmo caschetto rosso in una manciata di secondi, la lima cade sul marmo provocando un forte fragore e punto su Trisha, incredula. «Mi farai fuori tu o lascerai il lavoro alla tua amica? Non sembri di certo una che si sporca le mani», ribatto ad alta voce, raddrizzando la schiena, guardandola altezzosamente. «Conosco quelle come te e fanno tutte una brutta fine. Manda pure il conto a casa mia la prossima volta che vai ad affiliarti le unghie, ma trova un centro capace di nascondere la merda che tieni dentro», mi avvicino alla sua faccia. «E prova a toccarmi una sola volta, a puntarmi ancora un'arma addosso, e assaggerai davvero l'ira di una Rose. Non di un Blackwell, di una Rose. A casa avranno sicuramente un fascicolo su di te. Sarà divertente vedere che cosa ti faranno o cosa succederà, magari prima del matrimonio. Sempre se ti sposerai dopo questo spettacolino», sfodero un sorriso maligno e mi allontano lasciandole attonite, scoccando un'occhiata gelida al suo uomo, rimasto impalato.
Con la coda dell'occhio osservo la ragazza con il caschetto agitarsi e strillarle: «Ti avevo detto di non fare niente di azzardato. Adesso avremo tutta la sua famiglia alle costole!»
«Non ci farà niente, rilassati. Mi lavorerò Dante».
«Ma hai visto come ti ha guardata? Hai dimenticato che il tuo futuro marito ha appena sentito tutto?»
Non sento il resto perché un attacco di panico violento mi raggiunge e mi appoggio alla colonna cercando di tranquillizzarmi. Ho appena minacciato qualcuno come farebbe mio padre. Io non sono così, mi dico disgustata da me stessa.
«Bene bene».
Raggelo.
Coleman mi si avvicina sfiorandomi l'orecchio con il fiato. «Bella e pericolosa. Sei addestrata ma fingi di essere indifesa, vero? Mi hai fatto eccitare parecchio, dolcezza».
La mia attenzione si sposta su Dante. Molla un pugno al ragazzo. La folla creata intorno a loro urla, gli uomini lo incitano a dare una lezione al ragazzo che ha osato commettere l'errore di trattarmi come una inferiore. Dante ride con il sangue tra i denti dopo averlo messo al tappeto. «Ti avevo avvertito già una volta di non fare più il bullo davanti a me. Soprattutto con una donna. Con la mia», voltandosi cerca qualcosa. Invece di puntare verso Faron, mi si avvicina. Coleman indietreggia, gli occhi sgranati. «Non ho fatto...», prova a giustificarsi come un bambino. In breve si ritrova a terra, colpito alla mascella da un pugno.
«Credi di poterla fare franca? Non sai quello che ti aspetta dopo stasera!», mentre ringhia a Coleman, Dante mi afferra la mano. Le nostre dita si intrecciano e una fitta mi colpisce il basso ventre. Senza salutare il padrone di casa, divertito dalla piega presa dalla serata, forse orgoglioso dalla dimostrazione di forza e potere, mi porta fuori, cerca con la mano libera qualcosa dentro la tasca interna della giacca e recuperando il telefono parla con qualcuno.
«Ci penso io. Fidati per una cazzo di volta e manda qualcuno dove ti ho detto con quello che mi serve per stemperare questo cazzo di fuoco», fornisce un indirizzo poi riaggancia.
Attendiamo la sua auto e quando arriva aspetta che entri per mettersi alla guida e premere il piede sull'acceleratore tra i vicoli silenziosi, semi-bui e le stradine affollate di turisti, che al nostro passaggio si scansano.
Non parliamo. Lui rimane concentrato sulla guida, io a fissare fuori dal finestrino chiedendomi dove mi stia portando e quando esploderà.
Mi ritrovo al porto. Ci siamo fermati in un ampio piazzale pieno di auto e persone festose. Ammiro la serie di yacht con le
luci e le lanterne accese, i locali colmi.
Dante mi guida verso il ponte dove ad attenderci c'è una guardia. Non ho mai visto l'uomo alla villa.
«Sembra che qualcuno abbia appena perso il controllo», ridacchia stringendogli la mano, poi guardandomi con gentilezza china il capo.
Rughe intorno agli occhi chiari, quasi trasparenti come acqua baciata dal sole, barba brizzolata e altezza nella media, l'uomo mi stringe la mano. «Sono Enver. Finalmente ci conosciamo».
«Eden», mi presento. Anche se presumo lo sappia già.
«È tutto pronto?», ci interrompe brusco Dante.
«State bene?», indaga l'uomo, concentrandosi maggiormente su di lui. «Non voglio problemi lì sopra».
«La solita confusione. Diciamo pure che gli animi si sono un po' accesi e io ho pareggiato qualche conto in sospeso», spiega soddisfatto. «Ho anche messo su lo spettacolino che mio padre voleva sin dall'inizio per compiacere Dallas, facendo credere a tutti che sono un uomo impegnato ormai».
Mordo il labbro. «Non è stato lui a iniziare», mi preme intervenire. «Le offese erano rivolte a me. Avrei dovuto difend...», la voce si affievolisce quando Dante si allontana rispondendo a una chiamata.
«Non è colpa tua», ribatte Enver. «Ma penso che per lui ne sia valsa la pena», mi fa cenno di seguirlo e si ferma di fronte uno yacht bianco con gli interni in legno scuro.
Dante mi aiuta a salire sulla passerella, saluta Enver e mettendosi al timone, ci fa allontanare fino a fermarsi a distanza dalla costa. In un punto in cui è possibile vedere la luna, l'acqua scura e le luci della città. In lontananza la musica dei piccoli locali e le risate attutite.
È incantevole.
C'è qualcosa che però mi turba: Non ha paura che io possa avere intuito dove ci troviamo? O il suo è solo un piano per freddarmi senza lasciare traccia?
Una coperta mi viene adagiata sulle spalle e mi volto di scatto. Dante indietreggia, accorgendosi in ritardo di avermi spaventata. «Avevi bisogno di respirare».
«Pensavo dovessimo stare a distanza l'uno dall'altra per riuscirci».
«Lo pensavo anch'io», mormora scontroso andandosi a sedere sul divano color crema con i cuscini dal tessuto animaliè e un tavolo circolare davanti con una candela dentro un bicchiere di cristallo e un laccetto a tenere contro il vetro un piccolo fiore. C'è una vaschetta di gelato con il logo inconfondibile della gelateria del signor Bee. Presumo fosse quello l'ordine urgente al telefono.
Mi siedo accanto a lui. Notando il sangue sul labbro e sulle nocche, recupero una salvietta dalla borsa e senza chiedere mi avvicino.
Strizza l'occhio, non mi ferma. Mi guarda soltanto e continua a farlo per tutto il tempo.
Non riesco a decifrare i suoi pensieri. «Perché l'hai fatto?»
Caccia in bocca una cucchiaiata di gelato. «Avevo un conto in sospeso con il bastardo, proprio come ho detto prima. E ho fermato Cole prima che potesse stuzzicarmi abbastanza da ammazzarlo a mani nude. Gliel'ho promesso e mantengo sempre la parola. Mentre tu... hai dato dimostrazione di essere all'altezza della famiglia difendendoti. Sei stata brava».
Butto la salvietta controllando di avere pulito le ferite. La mia mano tiene il suo mento e il suo palmo grande afferra il mio polso trattenendolo.
Avvicina il cucchiaio alle mie labbra per imboccarmi. «Non puoi fare a botte con chiunque non sia caduto ai tuoi piedi o non abbia attirato la tua simpatia. Potevi semplicemente sgridarlo per l'insubordinazione», biascico.
Lecca il labbro e dalla sua gola fuoriesce un suono roco. Una risatina tetra fa increspare le sue palpebre. «Non è così che funziona. Anche tu sei nella mia lista», prova a intimidirmi.
«Peccato, non sono un avversario come quello di poco fa», nascondo un sorrisetto soddisfatto. «O come Coleman».
Lui piega la testa di lato allontanandosi dalla mia stretta. «No, non lo sei», mormora.
«Anche se so che non lo ammetterai mai, ho capito cosa hai fatto. Quindi ascolta attentamente perché non lo ripeterò: grazie», mi allontano da lui e raggiunta l'inferriata guardo le acque increspate dalla corrente.
Dante si affianca. «Non devi dare peso a quello che dicono. Solo così riuscirai a vivere davvero».
«Facile per te dirlo, non sei un Rose. La gente non ti sputa addosso quando ti vede», replico risentita. «Quel che è peggio è che nessuno sa quello che abbiamo passato. O hanno paura e ci venerano o ci odiano. Non ci sono vie di mezzo».
Si solleva e mi sovrasta. Il suo odore mi avvolge e le gambe per poco non cedono davanti allo sguardo di fuoco che mi sta aizzando contro. «Dimostra che non sei tuo padre. Solo così puoi essere indipendente».
Mi appoggio con la schiena dando le spalle alla città. «Ce l'hai anche tu con lui. Scoprirò mai perché?»
Fa una smorfia. «Tuo padre ha nemici ovunque. Di conseguenza tutti quelli che lo circondano».
Tiro indietro la testa e sospiro. «Non sai quante volte ho immaginato di vederlo strisciare a terra», sussurro.
«Magari un giorno di questi il tuo sogno si realizzerà».
Osservo il cielo. «Forse», sussurro.
«Posso chiederti se i miei fratelli stanno bene? Joleen si è lasciata sfuggire dell'attacco».
«Sì. Gli affari un po' meno».
«Sono sicura di non avere problemi economici, sono una Blackwell adesso», dico con sarcasmo.
Dante si sporge, mi annusa, trasmettendomi un'altra valanga di piacevoli brividi lungo la schiena, le braccia, più giù fino al basso ventre. «Uhm, no», ghigna. «Puzzi ancora di Rose», detto ciò sparisce per pochi secondi.
Poco dopo una musica si diffonde e quando mi raggiunge togliendosi la giacca dello smoking, fermandosi davanti a me piega le maniche della camicia fino agli avambracci e mi porge la mano.
Sollevo il sopracciglio. «Stai cercando di chiedere una tregua?», adagio la mano nella sua. Il contatto fa tremare entrambi.
«Io e te non saremo mai sullo stesso campo di combattimento. Ma non significa che continueremo ad attaccarci. Ci saranno momenti come questi in cui solleveremo bandiera bianca».
Mordo il labbro poi sorrido e lui mi guarda intensamente. Non c'è odio. Non c'è rancore. «Bene», deglutisco a fatica.
Inumidisce le labbra. «Bene», ripete a bassa voce.
Restiamo sospesi per qualche minuto. Non c'è più musica. Siamo soli. Soli e avvolti dal tepore di uno sguardo carico di promesse.
Le sue dita scivolano solleticandomi la spina dorsale attirandomi a sé, le mie si arpionano alle sue spalle.
Il suo tocco... il soffio di un alito di vento caldo, la fiamma di un inferno che inizia a sciogliere ogni barriera intorno a noi, a cibarsi di ogni pensiero proibito.
Siamo soli. Soli e senza paura. Soli e consapevoli. Perché io e lui siamo destinati a sfiorarci e a lasciare un segno l'una nell'anima dell'altro.
Il cuore mi arriva in gola e sulle guance percepisco il soffio caldo del piacere che ha appena invaso la mia pelle.
«Cosa fai?», sussurro.
Abbassa la testa. «Niente».
«Niente?»
Dovrei allontanarmi. Invece continuo a provarci. A raccogliere briciole di qualcosa che mi è stato strappato per tanto tempo dal cuore e di cui ho bisogno per sentirlo battere di nuovo.
A lungo ho allontanato le persone perché i miei genitori, mi sono stati strappati via. Mia madre per un brutto incidente, mio padre in conseguenza dello stesso, pur avendo la fortuna di respirare ancora.
Ma vivere non è anche questo? Non è correre il rischio di soffrire, di provare sottopelle qualcosa di nuovo? Non è forse liberarsi dal torpore di una vita solitaria, silenziosa? Non posso più precludermi la possibilità di essere felice o di provare qualcosa che mi faccia sentire ancora viva.
Il mio petto si adagia al suo. Le mie mani premono su di esso e percepisco il battito vivo del suo cuore.
La punta del naso sfrega sulla mia e chiudo gli occhi. «Niente», ripete premendomi a sé.
Il tocco lieve delle sue dita... è inferno e paradiso inciso sulla mia pelle. Diventa incandescente quando con i polpastrelli sfiora e poi prende con decisione il mio viso. Le mie mani si adagiano sulle sue. Mi tocca la bocca con il pollice e il mio respiro si spezza imitato dal suo.
«Sarai il mio segreto?»
Non attende nemmeno la risposta, le sue labbra si abbattono sulle mie.
Non c'è niente di delicato nel suo bacio. È violento, una sferzata di brividi sul cuore a minacciarlo, un morso alla mia anima che ha appena dichiarato la sconfitta.
Non ho più alcun controllo. Il mondo sembra privo di gravità. Dante si prende la mia bocca, la mia lingua, un pezzo essenziale della mia anima, con possesso. E so che non me lo restituirà tanto presto.
Ci baciamo per un tempo lungo, eppure incredibilmente breve per le nostre labbra sempre più avide. Sicure. Appassionate.
Mi gira la testa perché sto apprezzando più del dovuto questo momento, il modo in cui la sua mano mi tiene ferma per la nuca, mentre con l'altra mi avvicina al suo corpo solido, uno scoglio a cui mi aggrappo per esercitare una certa resistenza e al contempo per non perdere del tutto la ragione.
Perché lui, lui potrebbe essere l'inizio di una lenta fine. La mia fine. Il mio tormento. Quel tutto di cui ho paura.

♥️

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