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Capitolo 12


DANTE

Sono vestito di tagli sulla pelle e cicatrici nascoste così in profondità da non poterle mostrare. Continuano a intossicarmi come veleno, a rendermi una macchia che non passa, che segna. Sono un marchio inciso a fuoco dal diavolo su un'anima non ancora corrotta.
Ho imparato a tenere nascosto il buono che c'è in me o quel che ne rimane, dopo anni di lotte interiori, delusioni e dolore. Perché quando la gente vede e riceve più del bene che merita, continua a pretendere. Ancora, ogni giorno sempre di più. E io non ho alcuna intenzione di sentirmi usato. Preferisco incassare l'offesa per avere detto di no, piuttosto che soddisfare gli altri e ricevere in cambio solo briciole. I resti amari di una fiducia in frantumi.
«Ripetimi perché ci troviamo fermi in questo posto dall'alba, a bere caffè disgustoso e a mangiare panini insipidi. Per non parlare di quante pisciate hanno raggiunto quel povero albero», mi lamento con Faron, stravaccato sul sedile del SUV.
Ce ne stiamo nascosti da tutto il giorno, a qualche metro di distanza dalla passerella circondata da una serie di yacht e imbarcazioni di vario genere e lusso. Tra le tante, la nostra attenzione è indirizzata proprio sullo yacht più vistoso che si trova a largo.
«Perché prima o poi arriveranno. Togli i piedi dal cruscotto se non vuoi che ti spari un proiettile nelle palle seduta stante. Ho fatto pulire il SUV proprio ieri», con il suo binocolo osserva lo yacht bianco, sul quale un gruppo di ragazzi si stanno divertendo. Il loro non è altro che uno stratagemma per nascondere affari loschi che oggi avranno una battuta d'arresto.
Abbasso i piedi con un grugnito, apro il cassettone e cerco il pacchetto di sigarette di scorta. Ne lascio sempre uno in ogni auto per evenienze come questa. Non trovandone, setaccio il resto dell'abitacolo a denti stretti. «Dammi le mie sigarette o non arriverò a fine turno senza averti spezzato almeno un osso».
Faron sbuffa prendendo un sorso d'acqua. Si volta soppesando il mio sguardo.
«Che c'è?», domando sempre più innervosito dal suo mutismo. «Potevamo benissimo arrivare all'orario prestabilito e risparmiarci questa attesa».
«Non so, sembri più umano del solito in questi giorni. Ti stai trasformando senza luna piena».
Finalmente trovo quello che mi serve. Lo stronzo deve averle nascoste proprio per godersi questa scena. Pesco lo Zippo e accendo subito una sigaretta, prendendo una lunga boccata, avvolgendo l'intero SUV in una nuvola bianca di fumo. «Cosa stai insinuando?»
«Che ti stai ammorbidendo come burro. Non ti sei mai lamentato di nessun appostamento come stai facendo oggi. Sembra che hai le formiche nelle mutande».
Sollevo l'angolo del labbro mostrandogli i denti. «Hai preso troppo sole al porto nei giorni scorsi, Far».
Nega tamburellando con le dita sul volante. «Sai, in realtà penso abbia a che fare con l'incontro che hai avuto di recente con Curt», sorride, ma non c'è traccia di ilarità nella sua voce e la sua espressione è alquanto granitica.
Non so come prendere questa sua reazione. «Adesso che... un momento», mi fermo, «come diavolo fai a sapere che ho incontrato Curt?»
Faron mi suggerisce subito la risposta e sento le orecchie infiammarsi, il petto farsi incandescente. Termino la sigaretta, schiaccio il mozzicone nel posacenere dell'auto immaginando che sia la testa di Curt e mi volto verso mio fratello con aria circospetta. «È rimasto lo stronzo di sempre. Non ti sei perso niente», affermo sondando il campo.
Faron gratta il collo abbozzando un altro sorriso. «Invece tu?»
«Io... cosa?», assottiglio una palpebra. Quanto sa di quei momenti? È stato nostro padre a riferire tutto o qualcun altro ha vuotato il sacco, avviando una sorta di telefono senza fili?
«Non sono stato invitato alle nozze, proprio come Curt. Dovrei sentirmi offeso e obbligarti a pormi le tue scuse. Nostro padre si è fatto una grassa risata dopo che quel figlio di puttana lo ha chiamato con una scusa e di seguito lo ha informato di averti visto con una donna, la quale ha annunciato a lui e alla moglie della vostra relazione. Gli ha detto che era dubbioso, che si sentiva preso per il culo».
«E fammi indovinare, nostro padre gli ha riferito che non era vero. Che teniamo uccellino come ostaggio per far pagare a Rose un debito che non ha mai estinto con la famiglia Blackwell». Vorrei dire, al contrario mi limito a mollargli un pugno sul braccio, facendolo ridere. «Non fare il coglione con me, Far. Ho dovuto prendere una decisione su due piedi, prima che quell'idiota riconoscesse Eden e facesse la spia al nemico per soldi. L'ho coinvolta in un gioco di ruolo», ghigno perfido. «In fondo, si stava annoiando, perché incapace di scegliere e trovare un vasetto di yogurt alla vaniglia».
Faron si rimette composto. La schiena dritta. «Non puoi usare Eden per queste stronzate».
Mordo l'interno di una guancia. «Non ha disdegnato. Anzi, è stata persino brava. Terrence aveva ragione, non bisogna sottovalutarla».
Strabuzza gli occhi. «Dante, non si tratta di questo. Eden è sotto la nostra protezione, e nonostante sia una prigioniera non puoi usarla a tuo piacimento. Non puoi rischiare tutto il lavoro svolto fino ad ora. Curt potrebbe benissimo avere fatto finta di non averla riconosciuta. E se oltre a nostro padre si fosse già messo in contattato con uno dei Rose o uno dei suoi amici con cui fa affari? Se escogita qualcosa per prenderla? Prima di agire mirando all'orgoglio personale, rifletti la prossima volta», si volta e torna a controllare lo yacht. «Non è da te abbassarti a tanto per una scaramuccia. A meno che...», prende di proposito una pausa, «non fosse il tuo piano sin dall'inizio per averla», conclude.
Mi sento messo sotto torchio e giudicato da mio fratello; soprattutto accusato di qualcosa che in fondo, anche se partendo dal sottoscritto, alla fine abbiamo fatto in due.
Passo la mano tra i capelli. «La prossima volta allora porti tu a spasso uccellino. Ho notato come ti guarda. Non mi stupirebbe sapere che ha una cotta per te. Joleen ne sarà entusiasta quando se ne renderà conto. Fate ancora cose a tre, vero? Potreste sempre proporle di partecipare».
Faron si trattiene all'inizio, ma ha assunto quell'espressione da fratello maggiore che fuoriesce dai suoi occhi sotto forma di gelo. Poche sono le volte in cui l'ho visto così. «Ma quale cotta? Finiscila di fare il bambino. Attieniti al piano e non avere colpi di testa. In meno di qualche settimana lei tornerà alla sua vita e noi avremo la nostra vendetta».
Guardo fuori dal finestrino. Sto evitando di pensare a quel momento. «Sei stato tu a prendere l'argomento».
«Solo perché pensavo che avresti compreso. Stiamo eseguendo un ordine, non giocando una partita a scacchi. Le cose possono sfuggire di mano in un secondo se non stiamo attenti».
Gli faccio il gesto militare. «Ai suoi ordini, padrone. Da ora in avanti non mi avvicinerò più alla tua principessa. Come ho più volte ribadito, non sono un fottuto baby-sitter e ho del lavoro da svolgere. Sbrigatela da solo con nostro padre. Ah e la prossima volta che ti inseguono, offri loro più di un gelato o fingi di non vedere il pericolo, proprio come fai sempre. In questo modo lei si farà male e noi non avremo nessun vantaggio su suo padre», gli faccio l'occhiolino ed esco dall'auto. Sento sbattere l'altra portiera, ma sto avanzando e prendendo la giusta distanza da mio fratello, prima che possa esplodere o dire qualcosa di stupido. Sono sempre stato impulsivo.
Faron mi raggiunge, adagia la mano sulla mia spalla per ritrarla subito dopo essersi reso conto che mi sono irrigidito. «Non so che diavolo ti frulla per la testa. Sai che ci sono e ti sto dando lo spazio e il tempo che ti serve per poterne parlare. Ma tieni fuori da ogni tuo problema personale Eden. E per favore, togli dalla testa di potertela portare a letto solo perché è stata definita tua da nostro padre».
Sto per replicare e rettificare quanto ha appena detto ma non ha ancora finito.
«Ho anni di esperienza, Dante. Non prendere in giro la mia intelligenza. So riconoscere un semplice interesse per puro diletto come quello per Trisha, da una fatale attrazione. Anche se non lo ammetterai mai, neanche sotto tortura, so che Eden ti ha colpito. Non è caduta ai tuoi piedi e dentro la tua testa incasinata si è aperta la caccia. Perché sei un fottuto animale selvaggio che ha sentito l'odore della sua preda preferita».
Faron è sempre stato un buon ascoltatore e sa osservare come un falco, certo, eppure non riesco a capacitarmi di come abbia fatto a capire. Credevo di avere nascosto bene ogni cosa.
La verità è che ha ragione, non lo ammetterò mai, ma continuo a ripetere a quella parte di me ostinata, di non permetterle di insinuarsi nella mia vita, di metterla a soqquadro, di raggiungere il mio cuore. Perché ho imparato a mie spese la lezione.
Una piccola imbarcazione si avvicina allo yacht. Avvistandola in tempo chiudo il discorso indicandola a Faron con un cenno. Richiamo anche i nostri uomini appostati intorno e pronti al fuoco contro una delle bande di Rose, giunte nei nostri confini.
Lo scopo è quello di depistarlo dalle ricerche su sua figlia, oltre a sottrargli il carico che ha trasportato senza permesso in una zona non sua.
Una bella lezione non gli farà male. Capirà presto chi è che comanda veramente e l'errore che ha commesso quel giorno.
Passiamo all'azione raggiungendo furtivi il molo. La nostra barca è già pronta e saliti a bordo non ci rimane che spingerci verso lo yacht come se fossimo semplici turisti che stanno per fare un giro, mentre gli altri attendono il segnale.
Sto osservando tutto con attenzione.
Non appena siamo vicini, l'azione si svolge talmente in fretta da cogliere impreparati i tizi da poco saliti sullo yacht e i ragazzi che stavano festeggiando; i quali però riconoscendoci, mettono da parte l'allegria, sfoderano le loro armi e fanno partire i primi colpi.
Tiro dal fodero la mia pistola, quella appartenuta a mio fratello e come un cecchino colpisco parti non vitali delle guardie mettendole fuori combattimento.
I nostri uomini raggiungono lo yacht e fronteggiano le persone rimaste e armate.
«Arrendetevi e nessuno si farà male!», urla loro Faron. «Vogliamo fare solo quattro chiacchiere».
«Figli di puttana!», sputa fuori qualcuno.
Altri colpi di pistola partono e le pallottole sono dirette nella nostra direzione. Mi lancio verso mio fratello schiacciandolo a terra, facendogli scudo con il mio corpo, poco prima che una raffica di proiettili si conficchi nel legno forandolo in un zig zag storto, colpendomi di striscio la spalla.
Dopo essermi accertato che Faron non sia ferito, infuriato, in parte dolorante e sanguinante, salto sullo yacht e cerco i sei che sono scappati dentro.
Buttarsi in acqua sarebbe stata una fortuna per loro. A quanto pare lo sarà per me quando gli avrò fatto vedere chi stanno attaccando.
Nigel compare con il primo. L'ha pestato per bene e lo schiaccia contro una parete, mentre Terrence ne ha appena atterrato un secondo. Le ragazze, scosse ma illese, vengono spinte e condotte verso un'altra imbarcazione, per essere portate via dallo scontro e messe sotto torchio. Alcune di loro potrebbero avere informazioni utili. Non possiamo lasciare niente al caso.
«Nella cabina», mi fa cenno Nigel, affannato. «Portiamo via questi due bastardi», prosegue rivolgendosi a Terrence, tornato dalla villa dei Rose solo poche ore prima per fare rapporto e unitosi alla mischia. «Dante, sei ferito?»
«Adesso tocca a me», rispondo, ignorando l'ultima domanda.
Arma in pugno, calma omicida, mi avvio verso la direzione indicata da Nigel. Mi schiaccio alla parete e avanzo senza fare rumore; dopo avere controllato di essere munito di proiettili a sufficienza.
«Chi è stato? Chi ci ha tradito?», urla uno di loro. «Cazzo!»
«Siamo circondati! Che cosa facciamo?»
«Nessuno di noi dirà niente, intesi? Rose... noi non lo conosciamo e non facciamo affari con la sua famiglia. Soprattutto nessuno sa niente del rapimento della figlia. Se qualcuno lo viene a sapere, avremo più di un problema. Chiunque inizierà a cercarla per mettere in ginocchio il nostro capo. Soprattutto i fottuti Blackwell. Non aspettano altro quei bastardi».
Non ne sarei tanto sicuro.
Con un calcio butto giù la porta e senza attendere premo il dito sul grilletto. Quattro colpi in tutto, sparati con precisione: uno sulla gamba, uno sul braccio, uno sul piede destro e uno sulla spalla sinistra. I quattro uomini non hanno il tempo di reagire e urlano di dolore accasciandosi al suolo. Afferro quello pronto a fare fuoco, lo disarmo senza grosse difficoltà e gli pianto una ginocchiata sulle costole, poi gli stringo il collo con una mano e lo minaccio con la pistola piantata sulla tempia. «Per chi lavorate esattamente e cosa ci fate qui? Voglio un nome e lo voglio subito», fingo di non avere ascoltato la conversazione.
Non ricevendo risposta, sfodero un sorriso. Uno di quelli che suggeriscono poco e mettono quasi sempre in soggezione chi si trova dall'altro lato. Con un calcio, chiudo la porta alle mie spalle. «Risposta sbagliata. Vediamo se con le cattive tra poco sarete disposti a parlare, sacchi di immondizia che non siete altro», mi avvento su ognuno di loro.

Appena cinque minuti dopo, esco dalla cabina, insanguinato, sudato e con un ghigno trionfale stampato in faccia.
Nigel e Faron entrano nella cabina emettendo entrambi, in contemporanea, un verso carico di disgusto. Pur essendo abituati, non riescono ancora ad accettare il mio metodo quando agisco.
Trascinano i due uomini ancora vivi e privi di sensi verso la barca che li porterà in uno dei nostri magazzini. Luogo in cui subiranno ulteriori torture e forse avranno l'onore e il dispiacere di incontrare mio padre e mio zio Parsival.
Salgo anch'io sulla barca, mi siedo stravaccato sul divano insozzandolo di sangue, il mio e quello di quei maiali che ci hanno messo davvero poco a cantare, dopo avere visto quello di cui sono capace sui loro compagni.
Osservo e ripongo nel fodero la pistola, chiedendo a uno dei miei uomini di passarmi una sigaretta.
Faron si siede al mio fianco, lo sguardo preoccupato rivolto alle mie mani, alla spalla ferita, ai vestiti lacerati e insanguinati. Ha distolto subito lo sguardo quando lo ha posato sulla pistola. So a cosa sta pensando. So a cosa ha pensato quando l'ho salvato: che ho ragione quando affermo che non presta attenzione e rischia di farsi male.
«Uno dei due è ridotto uno straccio. Se arriva a mettere piede a terra è già un miracolo», mi fa notare, formulando bene la frase per non usare le parole sbagliate.
Come se non lo sapessi. Mi dico internamente.
Muovo le dita e provo con la spalla ma il dolore mi attraversa in un lampo facendomi sdoppiare la vista e con una smorfia lascio perdere. Mi occuperò della ferita una volta essere ritornato a casa.
«Almeno hai cavato qualcosa dalla bocca che hai ridotto senza denti?»
Fisso le dita sporche di sangue sempre più asciutto e flettendole arriccio il naso.
Non vado fiero della violenza di cui sono capace. Non nego di avere sempre provato un certo piacere nell'estorcere qualsiasi tipo di informazione utile, con metodi non consoni. So che non dovremmo abbassarci a tanto, ma è a questo che servo nella squadra che si è creata ormai da diverso tempo. Se non lo avessi fatto, non avremmo quello che ci serve per raggiungere più in fretta i Rose.
«Abbastanza da preparare il prossimo colpo», così dicendo, racconto tutto a Faron, poi mi godo la mia sigaretta e una notte di meritato riposo. Ciò che mi serve, oltre a una medicazione e una fasciatura, è alcol, sesso e una lunga dormita.

* * *

Tornato alla villa, finalmente mi butto sotto la doccia e dopo avere medicato la ferita da arma da fuoco, che si rivela superficiale, mi ritrovo con un dolore sopportabile su tutto il braccio e la spalla, in uno dei club situati nella periferia. Qui dentro mi aspettano Nigel, Terrence e Faron, euforici, carichi e pronti ad affrontare le prossime missioni.
Luci soffuse, una lieve calotta di fumo, candele accese posizionate al centro dei tavoli più appartati; la pista da ballo piena di gente con le mani alzate, i corpi che si muovo a tempo, le braccia che ondeggiano e i sorrisi sbilenchi da dedicare ad amici, amanti e sconosciuti disposti a un'avventura. Sentore di sudore e profumi mischiati tra loro, raggiungono e pizzicano le mie narici.
Ordino subito una birra e vado a sedermi su uno dei divani imbottiti in velluto verde smeraldo che occupano parte della zona nord del locale.
Faron mi dà una pacca sulla spalla buona prima di indirizzare tutta la sua attenzione verso Joleen la quale, appena arrivata al locale, dopo avere controllato che sia tutto intero, gli si lancia addosso come una piovra.
Mi sento di troppo quando arriva anche Andrea, preoccupata e in lacrime per il suo Nigel, il quale non ha neanche un graffio. Terrence invece non si vede nei paraggi.
Lascio la birra sul tavolo e sguscio dal divano ritrovando davanti lei.
L'impatto è una devastazione naturale, seguita dal ruggito del mio cuore.
Eden indugia appena un momento sulle mie mani ancora una volta ridotte un ammasso di lividi ed escoriazioni, si limita a distogliere lo sguardo e si avvicina a Faron.
«Stai bene?»
Mio fratello glielo conferma con un cenno della testa e allora lei impacciata, facendo un passo avanti, lo abbraccia.
Vengo affiancato da Joleen mentre una fitta di velenosa gelosia mi morde il petto, annebbiando la mia mente.
«Ho appena saputo quello che hai fatto. Grazie per avermelo riportato a casa intero. Ti devo un grosso favore», mi abbraccia e glielo lascio fare, pur cogliendo un bagliore negli occhi di mio fratello. Gli sorrido sfrontato facendogli l'occhiolino, provocandogli la stessa gelosia che lui ha fatto emergere dentro di me.
Sciolta la presa da Joleen, mi sposto verso il bancone, ignorando la sequenza di sensazioni che mi ha colpito quando ho visto mio fratello avvolgere un'altra donna tra le sue braccia: la mia.
La mia, cazzo!
Pochi istanti dopo, Eden prende posto sul bordo dello sgabello, un po' troppo alto per lei; le gambe nude accavallate, il braccio destro adagiato sul bancone marmorizzato per reggersi.
Indossa una minigonna di pelle nera, un top floreale con corpetto a cuore e una giacca di pelle simile a un chiodo ma molto più leggera adagiata sulle spalle. I suoi capelli sono legati in una crocchia ordinata e sta sorridendo ai due ragazzi che le si sono appena avvicinati per chiederle il nome e se è sola.
Avvoltoi del cazzo!
«No, non lo è», ruggisco, facendoli allontanare.
Affino l'udito per cogliere il tono della sua voce mentre nei minuti a seguire inventa una scusa dietro l'altra, sorseggiando da un bicchiere di plastica un liquido rosso che il barman le ha servito dopo averle detto chi glielo offriva: un uomo seduto in fondo al locale con un sigaro in bocca che continua a sorriderle come un pervertito.
Vuole morire per caso? Potrebbe essere suo padre!
Per assurdo, mi irrigidisco. Non tengo più a freno la lingua e l'irritazione. «Sai, dovresti semplicemente dire di no. Sarebbe anche meglio se tornassi alla villa».
Si volta come se mi vedesse per la prima volta e volesse schiacciarmi con il tacco a spillo che indossa. «E tu dovresti smettere di fare il guardone e farti gli affari tuoi. Nessuno ti ha dato l'incarico di farmi da balia stasera, pertanto non hai voce in capitolo. Non dovresti essere a pavoneggiarti con la tua amica per avere fatto l'eroe?»
«Quale amica?», chiedo dubbioso.
Seguo l'indicazione del suo dito affusolato e trovo Trisha seduta a qualche tavolo di distanza, in compagnia del futuro marito e delle sue amiche. Porta una coroncina con il velo sulla testa e un sorriso perfetto per l'occasione, ma i suoi occhi scuri sono puntati addosso a noi due.
Tracanno la birra chiedendo qualcosa di più forte, offrendone un giro anche a Eden, vedendo il suo bicchiere quasi vuoto.
«Che t'importa?»
«Francamente? Niente. Ma non vorrei ritrovarmi in una rissa. È evidente la sua gelosia», si concentra su di lei osservandola con la coda dell'occhio. «Dio, come può farlo mentre se ne sta seduta con il suo futuro marito e le sue amiche? Devi averle proprio fatto il lavaggio del cervello».
«Chi ti credi di essere?», sbuffo risentito.
«Di sicuro non il borioso pieno di orgoglio che mi ha appena offerto da bere. Che c'è, ti stai annoiando perché non puoi raggiungerla? Potresti avere di meglio se solo ti impegnassi un po' di più ad essere gentile».
Stringo il pugno sul bancone, sollevando lo sguardo non resisto all'improvvisa sensazione che ho di metterla a tacere e di allontanarla da me, perché la tentazione di trascinarla da qualche parte per farle qualsiasi cosa è forte. Soprattutto vendicarmi per la sensazione di prima e tapparle quella boccaccia con la mia.
«Quella che se ne sta sola su uno sgabello sei tu. Che c'è, ti sei accorta di non avere nessuno qui ad adularti o a trattarti come una principessa? Finalmente ti è entrato in quella bellissima testolina che sei un ostaggio e non in villeggiatura?»
Fra noi c'è una forte reazione chimica, che puntualmente cerchiamo di ignorare comportandoci in modo incoerente e del tutto calcolato. Motivo per cui adoro metterla a tacere, usare mezzi subdoli per farla sentire in difficoltà.
È come se fossi sempre più tentato dal modo in cui reagisce a ogni singolo urto, mirato a quella sua straordinaria e resistente corazza. Ormai non riesco a farne più a meno.
Le sue guance diventano del colore di una pesca matura. E lo so nell'esatto istante in cui solleva quel dannato bicchiere che ho appena innescato una bomba a orologeria. Sono nei guai.
Osserva i cubetti di ghiaccio collidere tra loro prima di lanciarmi in faccia il contenuto del suo drink e picchiare il bicchiere vuoto sul ripiano. «È stato un piacere parlare con te, come sempre», dice a denti stretti provando ad allontanarsi. «Coglione».
Nel petto mi si è appena aperto un intero cratere ed è sul punto di esplodere. Mi tolgo dalla faccia il liquido, mi piego in avanti e la fermo afferrandole un braccio. Lei si divincola, con quell'espressione carica di disagio. È come se qualcosa l'avesse lesionata talmente tanto al suo interno da rischiare di ritrovarsi rotta in un milione di pezzi al minimo contatto. Che cosa le è successo?
«Perché non mi affronti, invece di scappare. Non mi sembravi una codarda prima con i tuoi spasimanti o quando mi hai lanciato addosso il drink che ti ho offerto. Nemmeno quando la prima volta hai tentato di fuggire accecandomi», le ricordo, non con tanto piacere. Anche se ammetto che è stata geniale. «O dovrei aggiungere quando ti sei finta mia moglie?»
«Non ho niente da dirti e francamente non voglio più parlare con te. Continui ad attaccarmi senza ragione. Ma ricorda che la tua gloria è grazie a me che la stai ottenendo», prova a superarmi e le sbarro  ancora il passaggio.
Sono consapevole degli sguardi alle nostre spalle. Ma non me ne fotte un cazzo. «Oh, ma davvero? Però hai raccontato tutto a Joleen, eh? Cosa speravi di ottenere da lei? So che hai qualcosa in mente e ti sconsiglio di attuare qualsiasi piano tu abbia elaborato, perché non funzionerà e ti farai male».
Avvampa. «Con lei posso parlare di tutto ciò che mi pare e piace, a prescindere che mi abbia rapita o meno. Non devo di certo chiedere il permesso a te, uomo delle caverne con problemi costanti di malumore e fiducia. Datti una cazzo di regolata e smettila di comportarti come una bestia».
Sollevo l'angolo del labbro. «Sai, ho avuto una piacevole conversazione con Faron prima di salvargli il culo. Mi ha chiesto di non spezzarti il cuore perché adesso sei la piccola di casa. Ma non credo che sarà possibile».
Morde il labbro senza mai guardare verso quei due. Noto però come ha raddrizzato la schiena. «So badare da sola a me stessa. Da quando sono con voi, non ho chiesto nessun trattamento di favore. E tu... faresti meglio a stare alla larga da me perché potrei essere io quella a spezzarti. Avvicinati ancora e lo vedrai».
Rido, divertito dalla sua forza. «Davvero?»
Sentendosi derisa stringe i denti. «Davvero», prova ancora a superarmi.
«Perché?», l'avvicino.
Trattiene un po' il fiato e deglutisce a fatica. «Perché... l'odio è reciproco», mi spinge piantando la mano sul mio petto.
Il sangue mi arriva dritto al cervello e la trattengo. Le mie dita le circondano il polso minuscolo, lasciandole il segno.
Sta ansimando. Inclina il capo e mi punta addosso quegli occhi come piombo liquido. La sua bocca, una curva morbida circondata da due graziose fossette che fanno capolino costantemente, mi distrae per un lasso di tempo breve eppure infinito.
È più forte, più oscuro di qualsiasi desiderio io abbia mai provato. Ed è pericoloso. Una condanna a morte certa.
«Ti diverti proprio a torturarmi, vero? Ti fa sentire meno insicuro? Più uomo? Potente?», mi attacca, gli occhi un po' lucidi. «Ne hai bisogno perché desideri qualcosa che non puoi avere?», prosegue spietata, un colpo dietro l'altro che va a segno. «O la tua più grande paura è che quel qualcosa possa averla qualcun altro al posto tuo?»
Porca puttana!
Per un breve istante mi domando: come, come posso essere suo nemico se so di esserne attratto come una cazzo di falena impazzita per il tocco della luce? Poi però i ricordi bastano per darmi lo schiaffo di cui ho bisogno, e la consapevolezza di non potere provare niente, a parte un odio profondo, brucia tutte le fantasie perverse che generano dentro di me i suoi sguardi.
«Sai perché non avrai mai amici leali o persone accanto pronte a beccarsi un proiettile per te come io ho fatto per mio fratello? Perché sei figlia di tuo padre. Uno stronzo che ammazza la gente per puro diletto, a cui non piace ricevere un no come risposta e se lo fai ti ritrovi con una pallottola piantata in fronte», premo due dita proprio su quel punto, toccando la sua pelle. «Un uomo pieno di vizi e di ossessioni, privo di ogni affetto. Un uomo sposato con gli affari. Sei una piccola viziata che crede di poter ottenere qualsiasi cosa semplicemente schioccando le dita o sbattendo le palpebre. Non ti accorgi che chi ti circonda sta mettendo in pericolo il proprio culo. Quando hai saputo quello che è successo oggi, ti sei fermata a chiederti se anch'io ero intero? Non Terrence. Non Nigel. Non Faron. Io», ringhio, lascio uscire quello che mi ha fatto male, attendendo pochi secondi in cui lei si immobilizza. «Rispondo al tuo posto: NO! Sei una ragazzina dalla bellezza mediocre, hai scarsa capacità di adattamento e sei incredibilmente fastidiosa. Finita questa storia, tornerai dritta all'inferno. Sempre ammesso che avrai ancora una famiglia in cui tornare. E sempre che tu non faccia il doppio gioco. In fondo sarebbe proprio nel vostro stile».
Mi avvicino a lei abbassandomi all'altezza del suo orecchio. Le sfioro il lobo con le labbra. La sento tremare e mi eccito. «Goditi questi giorni perché rimarrai sola e tutti ti guarderanno con disprezzo quando sapranno cosa o chi sei veramente».
Le ultime frasi vengono fuori d'impulso, mio malgrado. Non faccio neanche in tempo a rendermi conto di avere pronunciato parole tanto dure se non quando è tardi per provare a rimediare. In ogni caso, lei non si aspetta niente di diverso dal gelo che le sto offrendo, facendola sentire a disagio, sola e insignificante. Soprattutto in pericolo.
Consapevole di averla ferita e di essermi spinto oltre, lascio andare la presa facendo un passo avanti.
L'ombra di un'emozione fragile e al contempo indecifrabile, guizza sul suo volto.
Pur essendo in maniera evidente ferita dal mio attacco, si ricompone e con dignità si allontana sotto lo sguardo curioso dei presenti che si aspettano il suo pianto isterico; raggiunge Terrence sussurrandogli qualcosa all'orecchio. Dopo appena pochi minuti, li guardo andare via. Insieme. Mano nella mano.
È uno schiaffo in faccia. Anzi, peggio. È l'ennesima pugnalata al cuore da parte sua. Pur sapendo di meritarla, mi fa infuriare.
Mi allontano anch'io dal locale. «Non permetterò a nessuno di far saltare i miei piani. E tu, piccola stronza, preparati perché non ti darò pace».

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