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«Dhara, che stai facendo? Attiva l'affumicatore!»
«L'affumicatore? Ah sì, scusa»
Cerco di scuotermi dai miei pensieri mentre afferro l'attrezzo metallico e faccio fuoriuscire il fumo che in men che non si dica riempie l'alveare.
Dovrei aiutare Vies ad ispezionare la colonia, ma per quanto cerchi di concentrarmi la mia testa continua a tornare alle parole del forestiero.
«Si può sapere a che cosa pensi? È tutto il giorno che sei distratta e combini solo guai»
«Scusa, devo essere ancora spossata da ieri sera»
La scusa non sta in piedi, me ne rendo conto benissimo e anche Vies non se la beve. Continua ad osservarmi curioso, poi improvvisamente inizia a sorridere.
«Credo di aver capito a cosa stai pensando»
«Eh?»
Suono più allarmata del previsto e mi mordo subito la lingua, ma temo che abbia capito che nascondo qualcosa. Non posso dirgli dell'incontro con quell'uomo, so che insisterebbe per venire assieme a me, ma il forestiero è stato fin troppo chiaro: «Vieni sola e avrai le risposte che cerchi». Non posso sprecare questa occasione, potrebbe sapere la verità sul mio passato. Potrebbe addirittura venire dallo stesso luogo in cui sono nata. Non posso assolutamente dirglielo, ma non ho mai nascosto nulla a Vies e lui deve essersi accorto che qualcosa non va.
«Ci ho pensato anche io tutta la notte...»
Lo guardo confusa non capendo di cosa stia parlando e, nonostante lui distolga lo sguardo, mi sembra di vederlo arrossire.
«Senti... Vorrei parlarti questa sera, da soli. Ieri è successo tutto così in fretta che... Insomma, se ti va potremmo vederci»
Sentendo l'imbarazzo nella sua voce capisco improvvisamente di cosa sta parlando. Ero così presa dal forestiero e dal marchio da dimenticare completamente quello che è successo tra me e Vies al lago. Lo vedo guardarmi speranzoso e al tempo stesso a disagio non avendo risposta da parte mia.
«Magari stasera al tramonto?» incalza.
No, al tramonto no.
«Questa sera ho un impegno, ma domani se vuoi sono libera»
«Un impegno?»
«Sì, devo... aiutare papà a sbrigare quel lavoro di cui ti avevo parlato. Ti ricordi? Te ne avevo parlato, ne sono sicura»
Perché devo essere così incapace nel mentire?
«Ma tuo padre non è di guardia stanotte?»
Diamine!
«Ho detto papà? Intendevo mamma» lo vedo rabbuiarsi mentre torna a prendersi cura delle api.
«Ho capito. Non preoccuparti»
«Vies!»
«No, va bene così. Torniamo a lavoro»
Non ho tempo di replicare, chiude l'arnia e si allontana verso il prossimo alveare. La giornata scorre lenta e silenziosa e nonostante io cerchi di avvicinarmi per rimediare, Vies continua ad evitarmi. Le ore sembrano non passare mai e per quanto mi ostini a guardare il cielo attraverso il soffitto di vetro, il sole pare non essersi mosso di un millimetro, è sempre alto, restio all'abbassarsi sull'orizzonte. Quando finalmente odo i rintocchi della campana mi sembra essere passato un secolo. Per quanto vorrei sistemare le cose con Vies, un altro pensiero più incombente si fa spazio dentro di me: manca poco al tramonto, devo raggiungere il luogo stabilito dal forestiero il più in fretta possibile. Lascio alla rinfusa gli oggetti da lavoro su un tavolo vicino all'uscita, mi tolgo la tuta protettiva e mi lancio di corsa verso il lago.
Per raggiungere il punto di incontro non posso evitare di passare attraverso la periferia del villaggio. Mi costringo a rallentare il passo per non dare nell'occhio, non voglio che qualcuno mi fermi e mi faccia perdere tempo prezioso. Proprio in quel momento passo davanti casa di Vies e un enorme senso di colpa mi attanaglia il petto. Deve pensare che io sia senza cuore. Vorrei tornare indietro e spiegargli tutto, ma so che non si presenterà mai più un'occasione del genere. Devo farlo anche per lui, magari quell'uomo ha informazioni anche sul padre di Vies e sul gruppo di spedizione scomparso. Domani gli spiegherò tutto, non ci saranno più segreti. Sono sicura che mi capirà.
Da lontano inizio a scorgere gli alberi che circondano il lago, mentre mi avvicino le fronde iniziano a sembrare sempre più alte tanto che ad un certo punto arrivano a nascondere il sole, ormai basso sull'orizzonte. Ad ogni passo sento l'ansia crescermi dentro, è come se un laccio mi stesse stringendo la bocca dello stomaco. Il cuore mi batte all'impazzata e non riesco a non chiedermi se l'uomo non sia già lì ad aspettarmi. Nella testa ripenso a tutte le domande che mi assillano, sono così tante che i pensieri mi si confondono, sono impaziente di avere risposte. E se lui non si presentasse? Se avesse già lasciato il villaggio? La disperazione mi assale al solo pensiero. No, non avrebbe senso. Quell'uomo sembrava tanto interessato al mio marchio quanto io lo sono ad avere risposte. Sono così in ansia che anche respirare mi sembra difficile, ma nonostante tutto c'è un'altra sensazione che si fa spazio dentro di me: finalmente saprò. Saprò chi sono, che ne è stato dei miei veri genitori, perché mi hanno abbandonata. Ed ecco che improvvisamente mi rendo conto da dove vengono tutte queste paure: quanto dolore mi causeranno le risposte che cerco? I miei piedi si bloccano di colpo all'improvvisa rivelazione. Sono ormai al limitare del bosco, ancora pochi passi e otterrò quello che cerco da sempre. Ho paura di non essere abbastanza forte per affrontare la verità, ma non ho altra scelta. Qualsiasi cosa mi dirà quell'uomo sarà meglio di una vita all'oscuro e nel dubbio. Raccolgo tutto il coraggio che ho ed entro nel bosco.
Mi guardo intorno ma tutto ciò che mi circonda sono solo i grossi tronchi degli alberi che proiettano lunghe ombre sull'erba umida. Uno scricchiolio alle mie spalle mi fa voltare, mi sembra di vedere qualcosa nascondersi dietro una delle querce al limitare del bosco.
«C'è qualcuno?»
Sto per fare un passo in quella direzione quando una mano vigorosa mi afferra il braccio facendomi sussultare. Mi giro e due vivi occhi rossi mi scrutano da cima a piedi.
«Sei venuta sola?»
Mi chiede sporgendosi a guardare oltre la mia spalla.
«Sì, come promesso. Ora sta a te mantenere la parola data»
Come la sera precedente, mi afferra il polso premendo con il pollice sulla sporgenza delle vene. La stessa strana sensazione mi attraversa per un brevissimo istante. Dopo pochi secondi di silenzio mi lascia andare, sì volta e inoltrandosi ulteriormente nel bosco mi fa segno di seguirlo. Quando finalmente si ferma ci troviamo lontani dal lago, siamo nel bel mezzo della foresta, nessuno può disturbarci qui, siamo soli.
«Chiedi»
Mi fermo ad osservarlo decidendo da dove iniziare. Lui attende in silenzio, senza mettermi fretta. Lo vedo sedersi su una roccia sporgente e abbassare il cappuccio. Osservo il suo viso completamente rigenerato, non sembra la stessa persona che vidi davanti al falò. L'unica cosa rimasta immutata sono quegli occhi di fuoco che anche ora non la smettono di scrutarmi. Distolgo lo sguardo. Prendo fiato e cerco di reprimere quella sensazione di disagio che mi si sta creando nello stomaco.
«Come hai fatto a far scomparire le bruciature dalla tua pelle?»
«Mi pare di aver già risposto a questa domanda»
«Sì, ma l'ultima volta mi hai dato una risposta assurda»
Sorride quasi come se si stesse divertendo. Lentamente scende dalla roccia e con passi lenti ma decisi mi si avvicina. Vorrei indietreggiare ma mi obbligo a non muovere un passo. Devo mostrarmi sicura di me.
«È normale che tu sia scettica dato che sei cresciuta così lontano da Deringar» dice mentre si aggira attorno a me come un avvoltoio.
«Deringar?» non riesco a trattenermi.
«Una cosa per volta» mi zittisce, «Sta a vedere...»
Si ferma davanti a me, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo, sempre marcato da quel ghigno divertito, si volta e si allontana di qualche passo. Lo vedo piegarsi verso terra improvvisamente serio, le sue labbra si schiudono leggermente inspirando. Le mani sono protese in avanti e lentamente si abbassano verso il suolo fino a toccarlo, vedo le sue dita intrecciarsi con la terra e i fili d'erba. I suoi occhi si chiudono e per quanto sia distante riesco a percepire un forte calore provenire dal suo corpo. Sto per domandare cosa stia cercando di fare, ma non ne ho il tempo perché in un battito di ciglia mi trovo obbligata a cercare un appiglio per non cadere. Il bosco e tutto ciò che mi circonda trema come scosso da un improvviso terremoto, solo il forestiero sembra non subirne l'effetto. Rimane immobile, sempre accovacciato in quella strana posizione, aggrappato a quei ciuffi d'erba come se fossero il suo unico appiglio alla vita. Vorrei urlare, dirgli di smetterla, ma ancora una volta non ne ho il tempo. Avviene tutto in un secondo: quando gli occhi dell'uomo si aprono un'enorme lingua di terra spunta dal suolo sfrecciando verso l'alto. Così come è iniziato, il terremoto si placa improvvisamente e se non fosse per l'altissimo muro di fango che si innalza davanti a me, crederei di aver avuto un'allucinazione.
Non ho il coraggio di allontanarmi dal grosso tronco che sto abbracciando, continuo a guardare incredula l'uomo e quell'ammasso di terra spuntato dal nulla. Lui ricambia il mio sguardo sorridendo ancora più compiaciuto di prima.
«Chi o cosa diamine sei tu?»
Riesco infine a chiedere in un bisbiglio allentando un po' la presa dall'albero ma senza allontanarmene.
«Mi hanno chiamato in molti modi, mia cara, ma penso che per rendere le cose più agevoli tu possa semplicemente chiamarmi Zogor»
Abbozza una specie d'inchino, terminato il quale mi volta nuovamente le spalle per tornare a sistemarsi sulla stessa roccia sporgente come se nulla fosse accaduto.
«Zogor... come hai...» non riesco a terminare la frase, nulla di ciò a cui ho assistito ho senso.
«Come ti ho già detto: noi ibridi siamo in grado di fare cose. Abbiamo poteri che i normali esseri umani possono solo sognare»
«Quindi sei in grado di piegare tutto ciò che desideri al tuo volere?»
Lo sento sghignazzare mentre piega la testa, scuotendola come farebbe un maestro con un allievo non proprio sveglio.
«Non sono così potente purtroppo, sono in grado di controllare solo due dei quattro elementi, ma a mio vantaggio posso dire di essere il migliore nel mio campo» indugia per un attimo osservando la mia espressione sbigottita, «Acqua, fuoco, terra e aria. Ogni cosa presente in natura può essere piegata al volere di un ibrido. Solo alcuni, i più potenti, riescono a controllarli tutti e quattro, ma non senza allenamento e disciplina»
Ascolto a bocca aperta ogni singola parola, mi sembra di essere entrata in uno dei racconti di Gil con l'unica differenza che tutto ciò che vedo e sento è pura realtà. È così assurdo che faccio fatica a comprendere.
«Continuo a non capire... come puoi far spuntare una montagna di terra così dal nulla?»
I suoi occhi si alzano al cielo e un sospiro esasperato gli esce dalla bocca.
«Non ricordi un accidente? Anche tu vieni da Deringar... Ero convinto che avessi recuperato almeno parte dei tuoi ricordi ormai!»
Lo continuo a fissare a bocca aperta senza avere la minima idea di che cosa stia parlando. Ancora una volta la sua testa si abbassa e con un gesto che sa di disperazione finisce tra le sue mani. Quasi subito però si riprende e i suoi occhi ardenti tornano a incrociare i miei.
«Tanto meglio così! Il paese da cui tu ed io proveniamo è Deringar, la città donata agli ibridi»
***
Angolo scrittrice
Finalmente arrivano delle risposte! 😱😱😱
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