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«Tanto meglio così! Il paese da cui tu ed io proveniamo è Deringar, la città donata agli ibridi»
«Cosa sono questi ibridi?»
«Noi siamo ibridi» risponde con decisione, le sue mani battono sul petto come un gesto di fierezza, «Siamo i figli nati dall'unione di Derin e Silva. Nel nostro sangue scorre il sangue degli dei, per questo ognuno di noi è in grado di governare su uno o più elementi»
Così tanti nomi, così tante informazioni, sento che la testa sta per scoppiarmi. In pochi minuti le mie domande sono triplicate. Le ginocchia iniziano a tremarmi come sopraffatte da un peso troppo grande. Zogor deve vedere la confusione nel mio sguardo perché continua a parlare senza che io chieda nient'altro.
«Due dei esistevano agli inizi dei tempi, due fratelli: Derin e Deimos. Tutti i territori dell'ovest li veneravano e vivevano in prosperità grazie al loro favore. Ma è chiaro che per compiacere un dio sono necessari dei sacrifici»
La sua voce si ferma come per accertarsi della mia attenzione.
«Che tipo di sacrifici?» incalzo.
«Umani...» ignora la mia espressione inorridita ma al contempo curiosa e prosegue, «Ogni anno venivano scelti tra la popolazione dieci individui da sacrificare a Derin e Deimos, in cambio la vita scorreva in pace e armonia. I prescelti facevano parte di una cerchia ristretta di persone: quelle nate con il marchio»
Un'altra pausa. La mia mano scende istintivamente sull'avambraccio destro, come a voler coprire il disegno rosso. Alzando lo sguardo noto che anche Zogor si sta accarezzando il collo.
«Nessuno si è mai ribellato?»
«Ribellato?» una risatina gli sfugge dalle labbra, «E perché mai? I marchiati vivevano in condizioni migliori di chiunque altro. Erano considerati sacri e per questo venivano venerati quasi al pari degli dei. La morte arriva per tutti prima o poi. Quella che spettava ai sacrifici era semplicemente già prestabilita e accompagnata da sfarzosi rituali. Prezzo più che onesto da pagare in cambio di una vita vissuta come un dio, non trovi?»
Improvvisamente con un balzo scende dalla roccia e mi si avvicina a grandi passi. Una mano scatta nella mia direzione afferrandomi il braccio destro.
«Però non tutti i sacrifici erano uguali, alcuni erano più fortunati, vedi...» le sue dita si muovono sfiorando delicatamente l'avambraccio segnato, il contatto mi fa rabbrividire, «Alcuni nascevano con un marchio leggermente diverso: invece di essere blu, era rosso!»
«Cosa significa?»
«Non è chiaro per quale motivo, ma il vostro sangue è più apprezzato del nostro» il suono delle sue parole sembra quasi infastidito, «Gli dei riservavano trattamenti speciali a quelli come te. Era addirittura permesso loro di vivere affianco a Derin e Deimos per un periodo»
La sua mano non si stacca dal mio braccio, ma i suoi occhi salgono, cercando i miei.
«Ed è proprio a causa di uno di questi sacrifici che tutto cambiò...»
«Cosa successe?»
«Successe che Derin si innamorò di una marchiata. Silva era il suo nome e nessun umana più bella aveva mai varcato la soglia del mondo degli dei. Derin impazzì! Per salvare la donna ingannò il fratello, che mai avrebbe rinunciato ad uno dei sacrifici. Con la complicità di Silva, riuscì a privarlo dei suoi poteri, Deimos venne intrappolato nel corpo di un mortale e quando ciò avvenne Derin lo uccise»
«Uccise suo fratello per salvare una mortale?»
«Già, ridicolo, non trovi? Ironico come un dio sia caduto tanto in basso. Da quel giorno i sacrifici cessarono, ma nulla accade senza conseguenze: il mondo in cui aveva sempre regnato la pace conobbe per la prima volta la guerra, la fame e la disperazione. Tutto per colpa di un dio troppo debole. Derin aveva agito da vigliacco e se ne rendeva conto, aveva ceduto a dei desideri a cui solo gli uomini sono inclini e per questo decise di rinunciare alla sua immortalità»
«Divenne un semplice mortale?»
«Oh no... Era pur sempre un dio e l'orgoglio degli dei non conosce limiti. Non rinunciò ai suoi poteri. Si ritirò con Silva in una terra disabitata, grazie alle sue abilità vi creò un grande regno, più prosperoso di qualsiasi altro. Nacque così Deringar, qui i due consorti regnarono come sovrani fino alla fine dei loro giorni. Dalla loro unione nacque la stirpe degli ibridi»
Un lungo silenzio cala nel bosco. I suoi occhi sono tornati ad esaminare il mio marchio con una curiosità che finalmente trovo giustificata.
«Ma se i sacrifici non esistono più perché nascono ancora persone con il marchio?
«Finalmente inizi a fare domanda intelligenti... Vedi a quanto pare Derin fece un errore di calcolo quando tradì suo fratello, perché parte di Deimos riuscì a salvarsi»
«Deimos è ancora vivo?» la mia voce incredula riecheggia tra gli alberi.
«Sì, ma è troppo debole per imporre la sua volontà su noi mortali. Per questo ha bisogno del nostro aiuto»
Noto qualcosa cambiare nel suo sguardo, c'è una nuova luce che brilla nei suoi occhi. Il mio braccio è ancora stretto tra le sue dita, la cosa mi mette a disagio così cerco di allontanarlo ma la sua presa si fa più forte.
«Che cosa vuoi dire?»
«Il mio signore crede che procurando a Deimos abbastanza sangue egli potrà tornare a governare come un tempo»
È come se quella frase mi risvegliasse: mi rendo improvvisamente conto di non riuscire a muovermi. Guardo a terra e noto che qualcosa mi incatena le caviglie tenendo i miei piedi ben saldi contro il suono. Cerco di liberarmi ma Zogor aumenta la stretta attorno al mio braccio.
«Cosa vuoi da me? Cosa sei venuto a fare ad Espaor?»
«Tua madre fu estremamente abile! Quando il mio signore riuscì ad ottenere il controllo su Deringar, tu eri già scomparsa. Non hai idea di quanti anni ci siano voluti prima di riuscire a rintracciarti. Se non avessi pronunciato il suo nome probabilmente questa città sarebbe rimasta nascosta ancora per tanto tempo, ma ora finalmente ti ho trovata»
Mi guardo attorno disperata, ormai è calata la notte e non c'è nulla attorno a noi se non grossi alberi e cespugli. Tento di gridare in cerca di aiuto, nella speranza che qualcuno dal villaggio possa sentirmi, ma appena la mia bocca si spalanca qualcosa mi afferra per la gola togliendomi il fiato.
«Sarebbe preferibile se ti riportassi indietro tutta intera, quindi non obbligarmi ad usare le maniere forti. Meno sangue viene sprecato, meglio sarà»
Lascia la presa dal mio braccio e sento la stretta attorno al mio collo allentarsi un po'. Con mio grande sollievo torno a respirare, istintivamente mi porto le mani alla gola cercando di strappare le corde che mi tengono ferma. Con mia grande sorpresa sento schegge di legno pungermi la pelle mentre tento di liberarmi, realizzo che quelle che credevo essere delle funi altro non sono che i rami degli alberi che ci circondano. In preda al terrore rivolgo nuovamente lo sguardo ai miei piedi e, scrutando più attentamente nell'oscurità, noto che delle radici spuntano dal terreno e si avvinghiano attorno alle mie caviglie, immobilizzandomi. In preda al panico tento il tutto per tutto e con uno slancio cerco di colpire Zogor, ma che abilmente schiva il mio pugno.
«Ridicolo! Il mio signore mi aveva parlato di un ibrido potente, di una donna dalle grandi potenzialità. Invece sei solo una povera ragazzina che non ricorda un accidente del suo passato»
Scoppia in una risata lugubre mentre ad un gesto della sua mano altri due rami scendono rapidi, bloccandomi le braccia, quello attorno al mio collo torna a stringere in maniera soffocante.
Mi dibatto con l'unico risultato di rimanere ancora più avvinghiata in quella morsa. Il legno mi graffia, sento le schegge conficcarsi nella carne. Annaspo cercando un po'd'aria. I polmoni mi vanno a fuoco. Mi agito disperata ma sento le forze venirmi meno. Mentre la vista mi si annebbia noto un movimento fra gli alberi, qualcosa di avvicina rapidamente alle spalle di Zogor. Un rumore sordo, come di un legno spezzato, rimbomba nel silenzio del bosco. Improvvisamente i rami lasciano la presa e mi ritrovo in ginocchio sull'erba umida. Tossisco, divorando grosse boccate d'aria. Mi porto le mani al collo e mi accorgo di sanguinare. Ho la gola indolenzita e gli occhi mi lacrimano. Ho ancora la vista offuscata ma vedo lunghe dita avvinghiarsi attorno al mio braccio, istintivamente vibro un fendente verso l'alto e la mia mano si schianta contro qualcosa di duro. Il mio braccio si libera. Credo di averlo colpito perché sento dei gemiti provenire dalla stessa direzione. Cerco di raccogliere le poche forze che mi rimangono per rimettermi in piedi: mi aggrappo ad un albero e con fatica ce la faccio. Sento dei rumori alle mie spalle, forse delle parole, ma sono ancora troppo stordita per coglierne il senso. Le ginocchia mi tremano, ma con mia grande sorpresa riesco a camminare. Azzardo qualche passo nella direzione opposta rispetto al mio aggressore, ma i miei piedi inciampano in qualcosa di ingombrante e cado nuovamente a terra. Cerco di rimettermi in piedi ma due mani mi afferrano, questa volta bloccandomi saldamente le braccia per evitare altri colpi inattesi.
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