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Capitolo XXXI: Harry

Fidnemid, 16 Giugno.

   Hereweald e Gideon caddero fra l'erba alta e tendenzialmente secca. Un ruscello solitario scorreva poco distante dal luogo del loro atterraggio. Erano apparsi nella penombra del pomeriggio. Gideon rotolò gemendo e ansimando; la punta della freccia che gli si era ritorta contro era penetrata nelle sue carni.

— Aspetta...

   Sussurrò Harold alzandosi per correre in suo aiuto. Subito dopo afferrò l'asta esposta con una mano e - premendo l'altra appena sopra il punto dolente - estrasse violento la cuspide in metallo.
Durante quella rapida azione Gideon urlò digrignando i denti e soffiando per trattenere parte dei suoi lamenti. La fronte era imperlata di sudore e il sangue - già presente sul braccio ferito - aumentò il suo denso flusso. Non c'erano dubbi che Lilith lo avesse creato come un delicato essere umano.

— Non guarirà in fretta...

   Ammise Hereweald, che era rimasto in ginocchio a studiare la freccia nella sua mano. Scrutò poi il luogo circostante; le fronde delle piante, l'aria che andava a raffreddarsi e il sole che tendeva a sparire all'orizzonte.

— Dannazione!

  Si morse il labbro incurante delle fitte che avrebbe alimentato. Queste gli ricordarono la brutale umiliazione che aveva subito da poco. Il pulsare continuo e il calore che avvertì alla guancia sinistra lo rese pazzo; arrabbiato con il suo essere indeciso e frustrato per non aver concluso ciò per cui si era battuto. Ciò per il quale molti demoni avevano sacrificato loro stessi: quel qualcosa che mostrava un principio di bontà anche fra le tenebre della morte.

O almeno così riteneva fosse giusto pensare. Dal pensiero tornò in un baleno alla realtà e si accorse di non aver focalizzato la sua meta prima di scappare. L'agitazione era stata troppa e i rumori in sottofondo lo avevano distratto ulteriormente. Non sapeva dove si trovavano. Sbuffò rumorosamente e prese l'orlo dei brandelli di ciò che doveva essere la sua maglia, strappandolo con decisione. Strinse poi la fascia ottenuta poco sotto la spalla dell'altro, legandola con un nodo molto stretto. In quel modo sperava di far arrestare lo scorrere del sangue. Si accasciò poco dopo a terra, sbuffando e ragionando.

— Abbiamo fallito... Dobbiamo trovare Abegail.

   Gideon lo guardò truce prima di esplodere assieme ai pensieri, maturati in quei pochi minuti.

— Se abbiamo fallito è stato a causa tua, del tuo stupido cuore smielato! — lo aggredì veemente, spostandosi e trascinandosi con il braccio non ferito fino al fusto di un albero vicino. Lì poggiò meglio la schiena. — L'avevi in pugno! Possedevi l'unica arma in grado di ferirla e sei riuscito a vanificare ogni sacrificio compiuto!

   Sbraitò, sputando e tendendo l'indice verso le lame angeliche, abbandonate a loro stesse fra l'erba rigogliosa. Aveva ragione; dannatamente ragione. Tuttavia nessuno poteva comprendere le motivazioni che avevano bloccato Hereweald. Il suo corpo aveva tremato dinnanzi a quella possibilità di vittoria. Il suo stesso sangue si era gelato nelle vene e gli occhi gli avevano mostrato un inaccettabile futuro.

Le sue mani sarebbero state sporche di sangue; avrebbe avuto delle macchie indelebili nell'anima e sarebbe letteralmente stato incatenato al sottosuolo. Quello non era ciò che voleva. Riconobbe però di esser stato egoista. Aveva riflettuto troppo pensando ai suoi interessi, quella era l'unica verità e il risultato si era rivelato peggiore di qualsiasi altro pensiero. Hereweald si tirò a sedere sbattendo furioso le ali e spezzando qualche stelo d'erba. Le articolazioni e le piume bruciacchiate contribuirono a ricordargli il commento esaltato di Lilith.

   — Il loro colore richiama la morte. Non aveva scelto lui di vivere in quel modo, ma purtroppo - quella volta – era stata sua l'idea di interagire con il padre e di conseguenza tutta la battaglia che ne era scaturita. Era stata rapida, pazza; troppo incentrata sulla vendetta personale. Successivamente una terribile immagine lo assalì.

Più potente di qualsiasi altra fiorì florida. Si trattava di una landa sconfinata e desolata, priva di vita. La Terra avrebbe pagato caro il prezzo della sua esitazione.

— Pensi che non lo sappia?

   Esalò sconfitto poggiando la testa su di una mano. I capelli gli caddero sugli occhi lucidi nascondendo la sua espressione colpevole. Guardò poi la ferita di Gideon e comprese di non aver rimediato a niente: il tessuto era intrinseco di sangue. Deglutì sospirando poi affranto.

— Andiamo da Alexander, quanto meno hai bisogno di disinfettarla.

   Decretò mettendosi in piedi e compiendo lenti passi verso il compagno. In quel breve tragitto, le sue ali gli fecero perdere l'equilibrio. L'adrenalina della battaglia era scemata e non era più abituato a quel peso divenutogli persino estraneo. Arrestò momentaneamente il suo cammino, scorgendo ai lati della testa le sue piume maledette.

Successivamente ringhiò come un animale, dando inizio ad una lotta interiore. Combatté contro la sua coscienza; contro le svariate possibilità che questa gli stava offrendo e – vincendo – le ritrasse. Raccolse infine le lame e le ripose nelle rispettive fodere, aiutando subito dopo Gideon ad alzarsi.

— Se proteggiamo ciò che ci è caro non avremmo perso...

   Dichiarò con lo sguardo basso.
Sapeva che non sarebbe mai bastato per fare ammenda del suo errore, ma in quale altra maniera si poteva comportare? Non aveva un'anima impura, ma – in compenso – sarebbe stato responsabile della morte di miliardi di innocenti: aveva fallito.

I due lasciarono il bosco e comparvero nel salotto di Alexander. Subito l'ambiente fresco li rinvigorì. Hereweald vide Abegail che sedeva al tavolo, in soggiorno. Lei stava leggendo qualcosa con meticolosa attenzione e – nel mentre – giocava con la collana di sua nonna che Alex le aveva restituito. Il demone fece un passo in avanti per non far cadere Gideon e fu in quel momento che lei si voltò e lo vide.

— Hereweald! Cosa è successo?

   Indossava i suoi soliti abiti scuri, jeans e una maglia sbracciata e larga. I capelli erano invece raccolti disordinatamente in uno chignon e gli occhiali le ricadevano quasi sulla punta del naso. Hereweald rimase improvvisamente senza parole. Dopodiché arrivò Alex con in mano due bicchieri di acqua e si ritrovò a stringere involontariamente le mani in pugni affamati.

— Gideon ha bisogno di cure.

   Riuscì infine a dire con occhi sbarrati dalla rabbia. Abby si immobilizzò. Sicuramente prima di quel momento non aveva notato le condizioni del ragazzo. Si era soffermata sugli abiti stracciati, la polvere, i capelli spettinati e sporchi di Hereweald. Persino i piccoli tagli sul volto e sul torace scoperto l'avevano resa una statua.

Tuttavia la vista del sangue di Gideon le dette il colpo finale: tremò e i ricordi la assalirono come visioni maledette.

— V-vado a prendere delle garze.

   Tentò avviandosi in direzione del bagno. L'angelo fu però più veloce e la bloccò, afferrandola bruscamente per un braccio.

— Non ha bisogno di cure. — con sguardo fermo sfidò Hereweald, mantenendo ferrea la stretta sulla giovane che era diventata pallida. — È un demone, guarirà ugualmente senza troppe problematiche.

  Gideon deglutì sonoramente, avvertendo il suo corpo perdere energie e il fastidio della ferita aperta aumentare.

— Mia madre ha preso spunto dagli umani. L'unica qualità fisicamente demoniaca che posso avere è riuscire a mutare forma.

   Spiegò esanime poco prima di lasciarsi cadere sul divano. Non gli importava se il suo sangue avrebbe imbrattato la stoffa di questo: il dolore - mai provato prima - era insopportabile.

— Delle cure accelererebbero la guarigione.

   Senza esitazioni Abegail strattonò il braccio liberandosi dalla morsa possessiva di Alex per andare a recuperare qualche benda e disinfettante. Tornò poco dopo, cedendo quel poco che aveva trovato a Hereweald: dello spirito e un po' di garza. Il tremore delle sue mani tradì lo sguardo serio e apatico. Si stava sforzando affinché le memorie non prendessero possesso anche delle sue azioni.

— Grazie. — esalò flebile Gideon, voltandosi in modo che l'altro potesse aiutarlo quanto meno a far smettere la fuoriuscita di sangue. — Fai piano!

   Si ribellò poi ai modi di Hereweald non sapendo come sopportare il dolore. La ragazza boccheggiò nel mentre che il demone imprecava. Successivamente lei intravide la ferita: un foro informe e dai bordi frastagliati e lo stomaco le prese a vorticare.

— Serviranno anche dei punti. — osservò Alexander prendendo per le spalle Abby e invitandola ad andarsene. — Prima è meglio che ti accompagni a casa.

   Decretò per poi afferrare il foglio che Iside gli aveva concesso di tenere. Era stata costretta, accortasi delle ultime righe e della firma. Anche lei pensava fosse meglio che il documento lo tenesse Abegail, a patto che non lo facesse vedere ad estranei. Era suo, ma non avrebbe dovuto esistere. Alexander si avviò a passo svelto in direzione della porta, ma non ci arrivò perché Hereweald si intromise.

— La accompagno io. — la sua presenza - fattasi lacerante e insolente - fece arrestare i passi dell'altro. — Devo parlarle.

   Proseguì frettoloso, sussurrando e allungando una mano per chiedere il foglio che Alex teneva in mano. Aveva chiarito le sue intenzioni lasciando increduli gli altri. Abegail uscì quindi dall'appartamento rassegnata e poco dopo Hereweald la seguì studiando il vecchio documento che gli aveva passato l'angelo.

Lei lo guardò nel mentre che scendeva le prime due rampe di scale, ma la curiosità la stava divorando: aveva bisogno di scoprire l'esito del sottosuolo. Vide poi che Hereweald si stava fermando aggrottando le sopracciglia. Abby pensò che stesse leggendo quello che aveva lasciato il suo antenato. Era però talmente impaziente che il respiro le gonfiava il petto e arrossava le sue gote.

Abbassò per un attimo lo sguardo e allora si accorse delle due spade che lui reggeva ai fianchi. I suoi occhi passarono poi sulla sostanza rossastra che gli macchiava le mani e il gonfiore di una guancia. Passo dopo passo, studiò il nervosismo del giovane, esternato tramite il solito gesto: rigirarsi l'anello argentato intorno al dito medio. Forse lo faceva per ripulirlo dal sangue secco.

Per distrazione o pura volontà inconscia, Abby fece un errore. Un passo più deciso degli altri produsse un suono piatto che riecheggiò nel piano deserto. Hereweald tornò quindi nella realtà, guardandola. Gli occhi languidi incrociarono i suoi. Abegail si sentì in difetto mentre procedeva con lo sguardo basso, torturandosi le unghie delle mani.

Si avvicinò al ragazzo, ma non lo guardò negli occhi. Scrutò invece una donna appena entrata dalle vetrate d'ingresso. La vide lanciare addosso a loro una terribile occhiata. Era di ritorno dalla spesa, carica di sacchetti, ma fece presto ad allontanarsi e sparire due piani più sopra. Sentendo lo sbattere della porta Abby sussultò visibilmente e decise di trovare il coraggio per parlare.

— Perché vuoi accompagnarmi?

   Sentì la sua voce incrinarsi, debole, incerta mentre la distanza con l'esterno diminuiva ogni secondo. Hereweald aprì l'ingresso, facendole segno di uscire, ma i suoi occhi erano troppo penetranti per potersi soffermare sul gesto appena compiuto.

— Devo parlarti...

   Proferì nuovamente serio, mentre lei sentiva di non volerlo fare. Già si immaginava l'argomento: abbandonare Fidnemid, allontanarsi dal luogo che, era stato l'unico da lei conosciuto. Avrebbe dovuto perdere le sue origini e la sua unica amica. Sapeva che Nathalie non avrebbe mai abbandonato la sua famiglia.

— Hereweald ora non voglio parlarne. Non ho ancora deciso razionalmente e se mi vedrò costretta, non ci penserò due volte a unirmi al destino di questo dannato posto!

   Non aveva intenzione di affrettare la sua decisione. Anche se dall'incontro con Neemía era certa di non voler stare un istante in più a Fidnemid. Tuttavia le era difficile dirlo ad alta voce. Così facendo avrebbe fatto il passo decisivo. Sperò di essere stata chiara con il demone pur non capendo perché si sentiva in obbligo di giustificarsi: quella era la sua vita.

— Non volevo sapere questo. — pronunciò brusco l'altro. — Vi ho dato due settimane per decidere, rispetterò quella scadenza...

— Allora, di cosa mi devi parlare?

   Nel mentre che procedevano la luce rossastra del tramonto - oltre le lontane cime degli alberi - creava contrasti innaturali l'atteggiamento di Hereweald. Era freddo e distaccato. Stava per rivelarle di aver fallito; di essere lui il responsabile della sua morte eppure non ci riuscì. Strinse i denti, abbassando il capo e fermandosi in mezzo alla strada trafficata. Abby lo spinse da una parte e aspettò che le spiegasse qualcosa; qualunque cosa.

— Volevo solo farti capire che qualunque cosa accada io non ho mai voluto essere come i demoni che vedrai... — dichiarò accorgendosi che la ragazza si guardava attorno per cercare di capire se qualcuno li stesse ascoltando. Dopodichè continuò sentendo di star liberando il suo cuore da un immenso peso. — Ultimamente stavo persino pensando a quanto sarebbe stato bello nascere umano... Avere una sola e breve vita e poterla vivere al meglio secondo i propri desideri.

   Abegail lo guardò con compassione. Capiva perfettamente cosa volesse dire. Lei non era immortale, ma le era stato impedito di vivere liberamente. Lo comprendeva meglio di chiunque altro. Improvvisamente le venne in mente un'idea. Lo prese per le spalle, avvicinandolo ad un muro per provare a nascondere il suo stato e le spade ai passanti.

— Mi hai detto di essere un mostro, ma io non sono d'accordo. Potresti sentirti meglio usando un altro nome. — sussurrò cominciando a gesticolare imbarazzata. — Uno più... umano?

   Hereweald la guardò confuso, ma – al tempo stesso – interessato.

— Quale?

   Abby ricambiò lo sguardo ritrovandosi costretta a fare un passo in avanti. Ci pensò per un attimo poi sorrise.

— Harry. — esclamò improvvisamente Abegail. — Harry è un nome più umano, penso che ti si addica e allontana le tue origini. — dopodiché distolse lo sguardo imbarazzata. — Sempre che ti piaccia...

   I minuti scemarono nel silenzio assoluto e nessuno dei due accennò a proseguire per la strada. In fondo erano vicini, mancavano pochi metri e la casa degli Aubert sarebbe sopraggiunta. Hereweald si decise e rise di felicità. Concordò con la ragazza e dopo averla ringraziata tornò serio volendo offrirle anche lui qualcosa di speciale. Lei – con quella idea banale - gli aveva donato una nuova esistenza.

— Hai la mia stessa anima tormentata. — cominciò ad un tratto facendole capire con lo sguardo che adorava quel nome. — Come me stai cercando la pace, un'ancora che ti dia la sicurezza che per poco tu abbia tutto sotto controllo, vero?

   Abegail annuì nonostante avesse poco chiaro dove lui volesse arrivare. Gli ultimi raggi del sole investirono il volto del demone e i suoi occhi si incendiarono a causa del rosso che trapelava dall'orizzonte. Il suo sorriso invece si accese assieme al vento serale. Pareva tutto un sogno; incomprensibilmente reale. Hereweald mandò un rapido sguardo al suo gioiello. Questo luccicava sotto le rimanenze del sole accentuando i solchi che componevano l'incisione più dolce e carica di significato che avesse mai visto.

   Ricorda. In un batter di ciglia Abegail prese le sembianze della donna che lo aveva cresciuto.

   Non potrò fare molto per te, ma la speranza è il dono migliore che si possa mai regalare a chi possiede niente. Sarah - se pur un'illusione - sorrise com'era solita fare: raggiante, sincera.

Trova la pace Hereweald, trova qualcosa che ti faccia sentire completamente te stesso anche a costo di lottare per questa. Il ricordo di quel giorno lo invase. Ricevette il primo regalo della sua vita e non lo avrebbe mai dimenticato. Capì che non avrebbe dovuto strappare un sogno alla ragazza di fronte: una fantasia secondo la quale tutto si sarebbe risolto. Doveva essere cauto.

— Vediamoci domani! — adocchiò l'ingresso della casa di Abby e le girò intorno. — In quella piazza davanti alla tua scuola. — Asserì, cercando con la memoria il luogo della sua destinazione. — Alle nove!

   Specificò con il cuore in gola. Dopodiché porse il foglio alla ragazza sempre più smarrita. Abegail non aveva la minima idea delle sue intenzioni. Annuì semplicemente, affermando il documento, per poi inarcare le sopracciglia leggermente confusa e scossa. Se Hereweald non avesse avuto con sé quelle armi dalla provenienza lontana di secoli, non avrebbe trovato alcuna differenza tra un semplice ragazzo e il principe dei demoni che in realtà era.

Lui continuò a sorridere, poggiò una mano sui suoi capelli e alcune ciocche fuggirono assieme al vento dall'elastico. Fu una carezza, un gesto istintivo; esternamente privo di significato, ma espressione di qualcosa che lo rendeva pazzo di gioia. Gli ci era voluto molto, ma aveva scoperto dove trovare la sua pace e non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente.

— Ci vediamo domani...

   Sussurrò abbassandosi per distruggere la differenza di altezza tra di loro. I loro volti erano vicini, così tanto che Abby temette di poter svenire. Tuttavia la tensione scivolò l'attimo seguente, quando Hereweald scattò indietro correndo nella direzione da cui erano giunti e facendo riecheggiare un rumore metallico per l'intera strada.

La ragazza accolse fra le sue braccia molti dubbi: come avrebbe dovuto interpretare quell'invito? E soprattutto, era giusto aggirare il problema? Lei già sapeva. Lo aveva intuito dalla espressione che gli aveva visto appena arrivato: la vittoria apparteneva a Lilith.

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