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Capitolo XXIII: Lacrime Oscure

Fidnemid, 8 Giugno.

   Il giorno volò via molto rapidamente, come una piuma che solca l'etere sospinta da un alito improvviso di vento. Si allontanò con non poche sorprese e racconti talvolta rivelatori. Nella notte seguente la luna risplendette raggiante. Parve quasi che gli angeli volessero farsi notare più di qualunque altra volta. Erano forse in collera? Probabilmente conoscevano lo sviluppo fatale intrapreso dall'inferno, dunque, che soffrissero anche loro per l'imminente disastro?

Qualunque cosa avesse riguardato gli angeli, Hereweald e Alexander avevano tutt'altro a cui pensare. Dopo il loro incontro con Caliel, si ritirarono nell'appartamento di Alex e condivisero nuovamente lo stesso alloggio. Quella notte fu terribile. Mentre le stelle brillavano fioche nel firmamento, gli occhi dei ragazzi non cedettero al sonno.

Le preoccupazioni e i pensieri che affollavano le loro teste erano troppi. Le finestre del soggiorno rimasero aperte, permettendo alle tende di vivere secondo l'andazzo del vento. Entrambi - posti in stanze separate per stare il più possibile distanti fra di loro - rammentavano gli eventi trascorsi da poche ore. Sembrò paradossale come i segreti di un'intera vita immortale fossero finalmente in bilico tra l'essere svelati ed essere mantenuti celati. Per quanto tempo credevano di poter procrastinare l'inevitabile?

Il nome pronunciato da Caliel suonò strano nella mente di Alex.
Mikael, l'arcangelo che aveva deciso per il suo esilio. La stessa creatura che si era opposta con fermezza al suo desiderio di poter visitare la Terra. Lui altro non era colui che aveva commesso uno scempio simile a quello giovane, ancor prima che questo venisse al mondo come creatura celeste. Perché non ricordava niente?

Cosa poteva aver spinto un arcangelo a fare tutto ciò? Paura, gelosia? Sembrerebbe impossibile oltre ogni modo che Mikael potesse essere corrotto da tali emozioni.
Altrimenti cosa ne sarebbe del Castello nel cielo?

Le lancette dell'orologio - posto in soggiorno - segnarono lente le tre di notte. Nella stretta sala dai mobili essenziali e scheggiati, anche Hereweald era sommerso dai pensieri. Questi vagavano rapidi, disconnessi e violenti, scorrendo come un fiume in piena e devastandolo dall'interno. Questo torrente impetuoso lo flagellava con i ricordi di Sarah, costringendo i suoi occhi a cedere.

Il demone singhiozzò, contro la sua natura maledetta lui cominciò a piangere. Lacrime amare e colme di oscurità abbandonarono il suo sguardo, il quale ben presto si arrossò. Pianse in silenzio, nella memoria di quella donna e dei suoi sorrisi. Si portò le mani sopra alle tempie premendo per scacciare altri pensieri. Tuttavia era troppo tardi. Immaginò l'anima di Sarah intrappolata nel suo regno solo per fare uno screzio a lui. Poté vederla: l'ignobile vendetta consumatasi su una creatura innocente. Si chiese perché dovesse esistere tanta crudeltà e indecenza. Nemmeno dopo la morte gli umani trovavano pace alle loro afflizioni.

Le memorie di Hereweald si soffermarono poi su Abegail: gli occhi dal potere sconosciuto, i boccoli naturali e le labbra che per un attimo aveva descritto come invitanti. Scosse la testa, calciando un cuscino. Voleva scacciare quei pensieri sorti spontaneamente e ci riuscì.

Il torrente placò a poco a poco la sua furia e le lacrime solcarono con meno frequenza le sue gote. Tuttavia le spesse ciglia rimasero inumidite dalle emozioni e il suo sfogo non si era del tutto concluso.

Si sentiva schiacciato da un senso di impotenza nauseante; non gli era possibile struggersi completamente nel dolore.

Era steso sul piccolo divano in pelle e lasciava che la brezza mite scompigliasse i suoi riccioli castani, pendenti dal bracciolo. Gli piaceva sentire l'aria solleticargli la pelle, si era sdraiato senza la maglia, ma la posizione del suo corpo era scomoda. Un braccio era posato stanco sul ventre mentre l'altro creava un appoggio migliore per la testa.

Gli occhi verdi si posarono nel cielo scuro per una manciata di minuti; quel poco che le finestre lasciavano scorgere era chiazzato da nubi leggere.

— Chissà se Abegail sta bene...

   Soffiò, chiudendo lentamente le palpebre, spostando il capo e riaprendo lo sguardo subito dopo. La visuale era cambiata. Poco più tardi il demone avvertì un respiro pesante. Sapeva che era stata la stanchezza a imprigionare Alexander in un mondo di sogni maledetti dal passato, presente e futuro e - a seguito di un secondo sospiro - si lasciò andare anche lui al sonno. Un sonno per niente ristoratore.

Le immagini incontrollate della sua mente, dichiararono guerra al riposo. Fu inutile, le prime luci del giorno lo svegliarono con le stesse preoccupazioni di quando si era assopito.

   Il sole sorse con potenza poco prima delle cinque e mezza. I suoi raggi fendettero le nuvole all'orizzonte, donando loro il rossore caratteristico dell'alba. La natura era un dipinto; dal verde di faggi e querce alle sfumature createsi nel cielo mattutino non vi era traccia di alcuna maledizione. Eppure il sibilio del vento fra le fronde risultava alquanto inquietante. Trascorse un quarto d'ora affinché la città si svegliasse del tutto. Una dopo l'altra si accesero luci nelle case; l'odore di pane appena sfornato si mischiò a quello delle bevande e al cacao, mentre le prime auto accesero i loro motori.

Un nuovo giorno era alle porte e Abegail maledisse la fioca luce che le procurò una forte fitta al capo, destandola dal sonno. Successivamente la sveglia suonò dal basso del pavimento. Non aveva affatto le forze per proseguire né la sua ricerca né una stressante mattinata all'interno della scuola. Il volto dello zio - che da poco aveva visto la luce - aveva accompagnato i suoi incubi: fittizi e tortuosi, come il bosco che Samuel aveva sfidato. Lo stesso che come una bestia inferocita e affamata lo aveva ingoiato nell'oscurità del suo cuore.

Abby si scostò allungando un braccio al fine di spegnere la sveglia. Rotolò poi giù dal letto, trascinandosi il lenzuolo fin allo scrittorio. Quest'ultimo era irriconoscibile: libri, quaderni, colori a tempera, matite e fogli carichi di grafite erano ammucchiati e coprivano ogni centimetro della superficie. Si accorse allora di quanto tempo la separava dal suo ultimo disegno: il volto del demone. Era passata appena una settimana da quando lo aveva incontrato eppure c'era qualcosa che la conduceva a pensarlo costantemente.

Abegail guardò le sfumature verdi sulla carta e - più tempo passava gli occhi sui dettagli del disegno - meno vi trovava di affascinante quanto nella lo erano nella realtà. Era insoddisfatta. Accartocciò quindi più fogli possibili e li gettò nel cestino sotto lo scrittoio. Passò poi i successivi trenta minuti a ricomporsi; si fece una rapida doccia lasciando all'acqua il compito di sciogliere i suoi muscoli intorpiditi dal sonno e si rivestì.

Nel mentre che si asciugava i capelli, strofinandoli con un panno pensò a Nathalie. Il suo corpo parve appesantirsi quando la complessa mole dei mondi nascosti e del dono della sua famiglia gravò su di lei.

I capelli le caddero sul volto, vaporosi e stranamente districati.

Fece fatica a respirare. Sapeva che Nathalie non doveva venire a conoscenza della verità, ma come poteva mentirle? Un bussare improvviso la fece scattare spaventandola e fu poi seguito da una voce perentoria.

— Muoviti o arriverai in ritardo!

   Era Crystal con un coro di risatine alle sue spalle provenienti dalle due gemelle. Abby sospirò rassegnata lavandosi un'ultima volta il viso. Successivamente avvertì Cassandra e Clarissa allontanarsi, ma non poté dire lo stesso della donna. Percepiva ancora la sua presenza al di là della porta.

— Sappi che non è una scusante il fatto che tra due giorni la scuola finisca. – sentì pochi istanti dopo. — Vedi di non metterti troppo sui sentieri del passato...

   Abegail si voltò sconcertata: era forse tristezza e comprensione ciò che la sua voce stava celando? Capire Crystal l'aveva resa scettica e confusa su ogni minimo cambiamento, involontario che fosse. Indossò gli occhiali e mirò di nuovo la sua immagine riflessa allo specchio appannato. Come si sarebbe dovuta comportare?

   Sono stata una vera stupida, persino Crystal adesso mi tiene sotto controllo. Sbuffò mentalmente per poi raggiungere il resto della famiglia in cucina, non prima di prendere lo zaino. Al piano inferiore vide Cassandra e Clarissa che sedevano di fronte alla finestra, fissando i passanti. Ronald invece era seduto al tavolo da pranzo ed era intento a leggere il giornale del giorno con una tazza di caffè annaquato accanto. Sua moglie sistemava delle pratiche nella valigia ben lucidata e impilava i piatti nel lavabo.

— Te ed io dobbiamo parlare.

   Pronunciò Ronald ripiegando lento le pagine colme di inchiostro. Non la guardò e - unito alla fretta di Crystal che strattonò le bambine fuori di casa - non annunciava niente di buono. L'uomo era sempre stato di poche parole, né cattive né incoraggianti. Diceva la sua opinione con un'apatia degna dei più enigmatici dottori.

Abby deglutì timorosa e successivamente fece un passo in avanti: non sapeva cosa aspettarsi.

— Cosa ho fatto di sbagliato?

   Domandò mordendosi immediatamente la lingua. Andare nella residenza maledetta dei Knight bastava per rientrare persino sotto il controllo della polizia: specialmente dopo l'accaduto di undici anni prima. Nessuno poteva uscire fuori dai confini ridisegnati.

Roteò gli occhi, bloccandoli poi sul pavimento lustrato dell'abitazione.
A quel punto sperava che la strigliata fosse rapida così da focalizzarsi sui suoi principali problemi: Hereweald e Nathalie.

— Crystal mi ha riferito che ormai conosci parte del passato della tua famiglia. — Ronald marcò l'aggettivo più del dovuto. — Mi ha anche detto di rimproverarti, ma... — l'esitazione fece risvegliare la ragazza. — io non ne vedo il motivo. Credimi, ho sempre sostenuto che la migliore delle azioni fosse rivelarti tutte le incomprensioni lasciate dalla tua perdita, ma Crystal non era d'accordo. Forse ieri hai capito il perché. Non le piace soffermarsi troppo sul passato

   Ammise grattandosi la testa; pareva imbarazzato, sotto pressione. Le occhiaie che caratterizzavano il suo volto erano più marcate del solito, segno di un sonno poco curato.

— Sappiamo entrambi che questa famiglia non ti ha mai fatta sentire realmente a tuo agio e comprendo la tua voglia di conoscenza.

   Ronald si stava forse burlando di lei? In tal caso era un ottimo attore.
Il pullman passò nella strada e allora Abby capì che non stava affatto scherzando. L'aveva trattenuta a posta.

— L'importante è che tu non ti faccia del male.

   Gli occhi neutri dell'uomo trovarono quelli sorpresi della ragazza. In quel momento Abegail capì: Ronald non stava affatto scherzando.

— E soprattutto le tue avventure non devono arrivare alle orecchie di mia moglie. — aggiunse sorridendole e porgendole la foto in cui era ritratto suo padre. — Tutto quello che hai saputo da lei ieri è la storia che conosco anch'io. Ti consiglio di parlare con la nonna di quella tua amica Iside, giusto?

   Concluse. Dopodiché si grattò la testa bevendo il suo caffè mentre Abby lo ringraziò, immensamente grata. Non poteva credere che lui le desse ragione. Magari quella era la svolta che stava attendendo da tutta la vita. Fu così che - sistemandosi lo zaino in spalla - uscì di casa.

Corse in direzione della casa di Alexander dove avrebbe deciso cosa svelare a Nathalie.

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