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Capitolo XXII: Samuel

— Samuel.

   Crystal era rimasta impietrita. Stava immobile e con lo sguardo spalancato. Non lo voleva distogliere dalla foto ce Abegail teneva fra le mani. Quella le ricordava molti anni che aveva lasciato nel buio della sua mente; dolori e volti abbandonati alla rassegnazione.

Tutti i sentimenti che i misteri del bosco maledetto le aveva distrutto.

Cercò di parlare, ma lo stupore le bloccò la voce. I suoi occhi erano velati di lacrime; il pallore era subentrato improvvisamente sul volto e le mani avevano cominciato a tremare. Di fronte a questo anche Abegail si era stupita. Non avrebbe mai pensato di poter suscitare in Crystal una tale reazione. Studiò quel suo bizzarro comportamento finché la donna ebbe improvvisamente un capogiro. Per fortuna, si aggrappò al tavolo poco distante prima di cadere. Qualche frutto scappò dal cesto centrale, rotolando fin sul pavimento. Allora Abby scattò verso la donna, rapida quanto lo era stato l'istinto di questa. La sorresse conducendola verso il divano e - evitato il tavolino da fumo – si sedettero entrambe sospirando quasi all'unisono.

Il salotto non era mai sembrato così triste e solitario.

— Potresti prepararmi una tazza di tè?

   Quella flebile domanda contribuì alla meraviglia nella giovane.
In nessuna occasione Crystal era stata così gentile con lei.

— Ho bisogno di un attimo. — dichiarò con la stessa voce che non le si addiceva affatto. — Ho bisogno — ripeté la stessa frase con un tono più basso, quasi impercettibile. — Dopo ti racconterò quello che so.

   Concluse con lo sguardo contratto dallo stupore: avrebbe preferito che Abegail avesse lasciato il passato alle spalle.

La ragazza sospirò annuendo e lasciando la fotografia sul tavolo davanti a sé. Il silenzio accompagnò poi il suo lavoro. Prese dalla credenza principale un pentolino in cui scaldò l'acqua; subito dopo cercò una tazza abbastanza capiente e scelse tra le erbe quella dalle proprietà più calmanti.

Bastarono pochi minuti per giungere al minimo bollore e - in seguito - versò quest'ultimo nel recipiente dalle decorazioni violacee che aveva preso, immergendoci le erbe aromatizzanti.

Per concludere il favore a Crystal, Abegail aggiunse alla bevanda due cucchiai di zucchero che andò poi a mescolare. Conosceva bene i gusti della donna, spesso preda di inarrestabili crisi d'ira.

Percorse con dieci grandi falcate la distanza che la separava dalle agognate risposte e stette molto cauta alla bevanda che le bruciava tra le mani. Successivamente la passò a Crystal, resa muta e in qualche modo vulnerabile a causa di una vecchia foto che aveva dimenticato. Le tremarono le mani nonostante la temperatura superasse ormai i venti gradi. Quello stesso tremolio le impedì di sorseggiare il tè con la sua usuale compostezza: pareva malata. Strinse con forza la tazza, tanto che avrebbe potuto romperla.

— Non sei andata a scuola.

   Le sue labbra si mossero appena tra i vapori, poi fu il turno degli occhi; vuoti, ma altrettanto curiosi si posarono sulla figura a fianco. Quella sagoma che avrebbe dovuto vivere senza troppi pensieri; scordare i dubbi del passato e scacciare gli interrogativi.

Crystal sospirò affranta pensando a quanto l'avesse sottovalutata.

Bevve un quinto sorso, chiuse gli occhi e - respirando pesantemente - trovò un appiglio per la propria calma. Poco dopo - sicura di aver ripreso il controllo del suo corpo - poggiò la tazza sul basso tavolino davanti a sé, proprio accanto alla fotografia.

— Speravo tu passassi sopra a tutta questa storia. — pronunciò solenne volgendosi nella direzione di Abegail, seduta di fianco a lei. — Ho sempre creduto che anche i tuoi genitori volessero sollevarti da quei ricordi per poter vivere tranquilla...

   Non riuscì a guardare la ragazza nel mentre che parlava. Odiava pensare di aver sbagliato eppure era successo proprio quello: aveva errato irrimediabilmente.

— Non è per cattiveria, come sia logico tu pensi, ma — tentennò intrecciando le dita fra di loro. — ci sono troppi eventi prima della tua nascita che avrebbero dovuto presagire e scongiurare altri fatti tremendi. Fidnemid ci insegna ad avere paura e noi dobbiamo solo ascoltarla.

   La donna non aveva mai utilizzato un calibro così pacato, non da quando aveva perso sua cugina. Nora, la madre di Abegail era stata la seconda perdita che aveva causato in lei un vuoto incolmabile. Provava a non pensarci, ma era tutto inutile: era stata segnata.

Prese e si rigirò tra le dita la vecchia fotografia, fissandola con sguardo perpetuamente vacuo.

— Chi è Samuel, eh? — chiese sottovoce facendo un rapido sorriso forzato. — Era il fratello di tuo padre, Alfred.

   Dichiarò poi con gli occhi rivolti al ragazzo più alto; parlava come se lui fosse ancora tra loro, in quella stessa stanza. Abegail si sorprese non poco, cadendo contro lo schienale del divano.

— Aveva tre anni in più di lui, fra qualche mese ne avrebbe compiuti cinquantasei... — i ricordi dettarono quelle frasi con assoluta malinconia. I suoi freni inibitori erano andati in frantumi. — Tua nonna Helen crebbe da sola Alfred e Samuel in quel casolare.
Sai che la gente si oppose? Era stato costruito troppo lontano, in mezzo alla foresta... Però lei non ascoltò, diceva che stare là le ricordava il marito.
Anche lui era stato preso dalla curiosità!

   Si rabbuiò, conscia di vivere in un luogo pericoloso per qualsiasi azione che non rispetti l'abitudine e la monotonia della città.

Nel mentre che lei parlava il nome dell'anziana colpì Abby più di quanto si sarebbe immaginata. Un groppo in gola le nacque spontaneo e gli occhi le iniziarono a pizzicare inondati da lacrime amare.

— La famiglia di tuo padre ha sempre avuto un rapporto bizzarro con le leggende e la nostra storia. Alfred si fermava ai fatti, per lui erano solo i passi della nostra civiltà, niente di cui doversi preoccupare nel presente. Invece Samuel vedeva fin troppo oltre. — sospirò poggiando nuovamente la foto sul tavolino. — Entrambe le loro visioni fanno ancora scalpore a Fidnemid. — dopodiché sorrise amaramente. — Me lo sono chiesto anch'io: perché andare oltre a ciò che ci insegnano?

   Un barlume di sofferenza e una scintilla di nostalgia vagarono assieme negli occhi chiari di Crystal. Le memorie la stavano uccidendo.

— Perché mai, nessuno mi ha parlato di mio zio?

   Abegail investigò cauta, trovando strana la parola "zio" formatasi nella sua bocca. Si mosse sul divano cercando di distendere i muscoli tesi e trovare una posizione più comoda.
Successivamente Crystal la guardò severa.

— Perché Samuel scomparve a soli diciassette anni.

   Abby tremò visibilmente. Non si aspettava una risposta del genere.

— Sai, per certi versi tu me lo ricordi: intraprendente, curioso e testardo, quando non provocava preoccupazione per i suoi tormenti invisibili. La somiglianza con Alfred era inequivocabile come anche tu puoi ben constatare. — indicò con un cenno del capo la foto. — Se non fosse stato per l'altezza e gli anni che li distanziavano, sarebbero stati due gemelli.

   Un triste sorriso nacque sul suo viso al ricordo di sua cugina: Nora. Crystal pensò che - oltre l'aspetto – Abby avesse anche la stessa gentilezza e lei aveva sfruttato fin troppo il suo carattere.
Fu in quell'istante che si abbandonò ai sentimenti, lasciando cadere una lacrima. Il carattere brusco e del tutto privo di accortezza verso Abegail, si era sostituito con uno più cordiale.

— In che modo scomparve?

   Insistette l'altra confusa, sfruttando quell'attimo di bontà. Le dispiaceva vedere le debolezze della donna, ma non si poteva permettere di procrastinare il discorso. L'immagine di Nora sbiadì velocemente. I boccoli naturali e scuri che incorniciavano il suo volto solare, le movenze allegre e i giochi fatti insieme da bambine svanirono a poco a poco finché nella mente di Crystal rimase soltanto l'oscurità. Strinse gli occhi, volendo ricordare un pizzico della cugina.

— Crystal, cosa successe esattamente a Samuel?

   Abby non voleva essere scortese intromettendosi fra le immagini del passato della donna, ma più la loro conversazione rimaneva ad un punto buio, più si allontanava la speranza di giungere alla fine.

— Era l'inverno del 526esimo anno dopo l'unione.

   Iniziò l'altra nonostante fosse immersa in un altro ricordo che non amava menzionare.

— Conobbi Samuel in quell'anno, molto prima della sua scomparsa. Ci incontrammo per la prima volta davanti alla Chiesa del perdono.
Era una domenica mattina, puoi immaginare il freddo e gli addobbi scadenti della città che stava per festeggiare l'inverno.
Samuel era distaccato, non pareva essere un normale quattordicenne.
C'era qualcosa che lo preoccupava, ma tali accorgimenti non possono aver gran valore in una bambina di appena otto anni.

   Crystal dette l'impressione di incolparsi per qualcosa che allora non poteva comprendere.

Tutti e quattro ci siamo subito trovati in sintonia e abbiamo legato in fretta a dispetto della differenza d'età. Ancora ricordo come si allarmò quando vide Nora e me intrappolate tra folla in uscita. Era molto premuroso nonostante quello che molte persone potevano pensare. Noi ragazze ignoravamo quale fosse la loro famiglia: erano amici e questo ci bastava. Ci vedemmo nuovamente, qualche settimana dopo. Mia madre mi aveva rimproverata e uguale aveva fatto quella di Nora. Sbraitarono contro la famiglia maledetta dei Knight, ma non si può impedire a una bambina di stare con gli amici.

   Constatò sorridendo malinconica.

— Il ramo paterno della tua famiglia è sempre stato una controversia, sai? I Knight sono sempre stati in disparte, pochi e spesso perseguitati. Tuttavia avete diviso il pensiero di tutta Fidnemid: chi vi riteneva da osannare, chi invece maledetti e portatori di rogne.

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   Ammise, incupendosi. La voce parve tremare, ma Abegail non seppe se per paura del passato o quella tuttora presente.
Crystal aveva forse paura di lei?

Nonostante ciò formammo un gruppo inseparabile. Nora e Alfred erano fatti l'uno per l'altra, mentre Samuel, pur essendo simpatico era angoscioso e alle volte sembrava temere la sua stessa ombra.

   Ciò che per Crystal perpetuava in un mistero, per Abby fu una luce scolpita dalla speranza: suo zio aveva il suo stesso dono.

La mia famiglia era restia nel creare legami con i Knight, ma a me e a Nora non importava. Specialmente a lei...

   Sorrise rammentando bei ricordi: le cene allegre e le uscite per supportare la cugina.

Passarono pochi anni e le frustrazioni di Samuel crebbero assieme a lui. Non capivo e tuttora non ne comprendo le ragioni. Credevo fosse dovuto all'adolescenza, in fondo gli mancava poco e avrebbe compiuto la maggior età. Non potevo comprendere cosa sarebbe successo.

   Aggiunse poi tremando.

Circa alla fine dell'estate tuo padre ci disse che Samuel aveva cominciato a fare strani pensieri. Parlava del mondo oltre la foresta e a faceva sogni - spesso ad occhi aperti - che lo conducevano là fuori: in praterie, città affollate e libertà. Anche Helen si stava preoccupando e più di tutti parve comprendere le angosce del figlio maggiore, ma ciò non bastò...

   La voce di Crystal sembrò incrinarsi nell'imminenza di un pianto.

Era il 15 Settembre, una notte di tempesta, quando Samuel scappò richiamato dalla curiosità lampante che qua equivale alla scelleratezza. Entrò nel bosco ignorando le suppliche e i richiami di Alfred e non ne fece più ritorno.

   In quella frase Crystal incluse ogni cosa. All'evidente supplizio per Samuel si aggiunse anche l'afflizione per il ricordo di Nora, rendendo insopportabile la sensazione di vuoto e vani i tentativi di trattenere le lacrime. Successivamente una mandata decisa di chiavi ricondusse entrambe alla realtà. Assieme alle memorie erano scemate persino le ore. In seguito allo scatto della serratura delle voci schiamazzanti e stridule si sparsero per la sala: le gemelle erano tornate a casa.

Le due bambine irruppero nel silenzio del salotto con la potenza di un uragano. La quiete rispettosa si frantumò come il vetro di uno specchio. Abegail si voltò incrociando Cassandra che saltellava e Clarissa che pareva infuriata nel mentre che trascinava lo zaino su per le scale. Ronald fece il suo ingresso poco dopo con sulle palle il borsone di Cassandra. Furia e stanchezza si dissolsero immediatamente nel vedere lo stato della moglie. Successivamente le bambine andarono in camera litigando fra di loro.

— Cosa sta succedendo?

   Domandò spezzando la sua maschera preferita: l'apatia.
Poggiò repentino la sacca della figlia e corse da Crystal. Fu proprio in quell'istante che il volto della donna si indurì, nascondendo la sua vulnerabilità.

— Abegail ha saltato la scuola per introdursi nella residenza dei Knight.

Spiegò monocorde, sbalordendo la ragazza. Ronald inarcò un sopracciglio bloccandosi. Non capiva dove fosse l'errore: Abby andava bene a scuola e la residenza era della sua famiglia.

— Ed è tornata con questa. — Crystal mostrò la fotografia al marito, come se fosse la prova inconfutabile di un reato. Shock trapelò dagli occhi di Ronald fin alla bocca spalancata. — Ora puoi andare in camera.

   Decretò infine rivolta alla giovane. Aveva nuovamente perduto ogni sensibilità mostrata nelle ore precedentemente trascorse. Abegail si chiese come fosse possibile. Tuttavia non le importò molto: conosceva finalmente parte del suo passato e - cosa fondamentale - aveva visto Crystal soverchiare il limite del proprio autocontrollo.

Anche lei aveva sofferto; pure lei provava affetto non solo verso la cugina deceduta. Che fosse questo sentimento ad averla tramutata in pietra? Abegail salì silenziosamente le scale avvertendo alle sue spalle dei singhiozzi sommessi e allora capì: Crystal non era per niente di pietra.

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