Capitolo XVIII: Inganno
Inferno.
Delle suole sbattevano prepotentemente sopra le rocce, i sassi e il poco terriccio che i paesaggi degli Inferi possedevano. Le scarpe si rovinavano rapidamente, il tessuto si scioglieva, bruciava e la colla perdeva efficacia sul cuoio. Assieme al tonfo dei suoi passi, l'affanno nel respiro faceva da sottofondo alla frettolosa camminata di Gideon.
L'aria densa e intrisa di zolfo era completamente diversa da quella a cui lui si stava abituando durante la sua permanenza in Terra. Come ogni volta che il volere sfrontato di sua madre lo richiamava, stava faticando per raggiungere il luogo della sua reclusione. Aveva avuto poco più di qualche ora per attuare il proseguo dei piani di Lilith e non si era affatto sorpreso delle reazioni di Abegail.
Logan era stato strano, le aveva messo paura e piantato il seme del sospetto. Un terribile sgomento gli annebbiò la mente. Terrore infimo che nasceva dalle possibili punizioni che lo aspettavano. Il suo fallimento non sarebbe passato in secondo piano.
Tuttavia qualcos'altro prese improvvisamente il controllo dei suoi pensieri. Che Lilith avesse escogitato di proposito quel suo piano? Forse Gideon non le serviva più e voleva un pretesto per disfarsi di lui. Il giovane deglutì: lei aveva trovato il modo. Sua madre non era totalmente fuori di testa. Lui era certo che un briciolo di razionalità vagava ancora nel suo animo, non tutto era annebbiato dalla follia. Dunque doveva sapere che Abegail non avrebbe mai accettato una tale richiesta; non lo avrebbe perdonato né avrebbe permesso di diventare suo amico. Lei era ancora lontana.
I pensieri confusi e travagliati aiutarono l'ansia a corrompere l'animo del demone. Scelte in contrapposizioni si mescolarono tra i contatti dei suoi neuroni. Voleva scappare, ma al tempo stesso proseguire come se nulla fosse. Nella sua vita aveva conosciuto vendetta, sottomissione e ogni genere di strategia per far perire il potere il suo legittimo sovrano: Lucifer.
Dopo aver assistito alla premura di Hereweald nei confronti dell'umana, fu inevitabile che dubbi controversi tra loro si formassero nella sua persona. Era del tutto innaturale. Gideon si chiese cosa lui fosse realmente. Dove lo avrebbe condotto la strada che altri gli avevano imposto? C'era una scelta realmente giusta in tutto quel dannato putiferio? Il vuoto assoluto era il futuro che i suoi occhi vedevano. Un vuoto gelido come la morte e il colore del suo sguardo.
Non una soluzione avrebbe potuto essergli utile: troppo audaci, peccaminose in relazione agli insegnamenti ricevuti; troppo utopiche per aver la possibilità di nascere nella realtà.
Anime e sogni infranti sciamarono lamentandosi a pochi metri da lui. Fece poi un altro balzo - al fine di saltare il flusso dei dannati - azione che precedette l'ultimo dei suoi pensieri: Nathalie. L'insignificante ragazza dagli atteggiamenti bruschi e irruenti - tali da sembrare un ragazzaccio - ma la quale possedeva un cuore come poche altre persone a Fidnemid.
Gli occhi penetranti e scuri - equivalenti a ciò che era solito a avere d'intorno - ma così tremendamente calorosi e pieni di vita si palesarono nella sua mente. Nathalie era una minuscola formica destinata a soccombere prima del dovuto a causa di Lilith. Nessun demone avrebbe dovuto pensarla diversamente, specialmente lui che sapeva già cosa sarebbe accaduto.
Perché però doveva contraddire quella legge? Era scontato, eppure ricordò che - per qualche motivo - la pelle del suo alterego umano parve andare a fuoco quel giorno. Il giorno in cui la ragazza gli si buttò accanto per soccorrerlo. Era totalmente fuori luogo. Nathalie avrebbe dovuto prendere Logan a calci od offenderlo per ciò che aveva fatto alla sua amica. Invece si era curata di lui, di quel verme buono solo a eseguire stupidi ordini. Gideon scivolò improvvisamente da un'altura.
Quella era il suo ultimo ostacolo prima della meta.
Come se fosse stato colpito da una folgorante scoperta si rese conto di non poter dare la colpa all'umano che interpretava. Lilith gli aveva aperto gli occhi: Logan Ross altro non era che una delle sue molteplici trasfigurazioni. Lui non esisteva realmente come entità a sé stante, dunque era irrealizzabile una sua decisione al di fuori del volere del demone. Era solo un involucro apparentemente mortale.
Un'altra roccia si staccò dalla parete rocciosa facendogli perdere la presa. Il terreno inondato di sangue sporcò le sue dita, si insinuò sotto le sue unghie, ma i suoi pensieri rimasero intoccati.
Era di fronte ad una prova prorompente e – persino – compromettente.
— Che giovane audace e dall'anima smarrita. Si immaginò cosa avrebbe detto sua madre. Il tono addolcito dallo schifo nel mentre pregustava il raro sapore di una vita. Mai prima di quel momento Gideon aveva pensato a una sua possibile carenza d'identità né lo aveva accarezzato l'idea che quel problema lo potesse riguardare in prima persona.
Secoli di trasformazioni in nature così diverse e dal carattere complicato, avevano reso impossibile scoprire cosa lui fosse in realtà. Rimase in equilibrio aggrappandosi ad altre sporgenze e continuò la sua scalata. I capelli corvini danzarono insieme ad un alito caldo nel momento in cui strisciò a terra, finalmente fuori pericolo. Rimase per alcuni secondi sdraiato, a contemplare il soffitto del suo regno.
Dopodiché scattò in direzione della grotta. Si portò a sedere avvertendo i gas dell'atmosfera agitarsi alle sue spalle, là dove l'oscurità parlava all'anima. Fletté infine le gambe ed entrò deciso nella prigione di sua madre. I suoi occhi si abituarono subito all'oscurità, tanto che scorsero un movimento alla fine del tunnel. Una torcia fiammeggiava - quasi al termine della sua potenza - illuminando scarsamente la fine della galleria e l'ingresso il luogo in cui sua madre era segregata. Gideon guardò la fiamma della torcia e si ripromise di portarne una nuova.
Curiosò maggiormente stando bene attento a non mostrarsi e – infine – poté rivedere la sagoma scorta di sfuggita. Lei era ancora là, al centro del grande arco roccioso, nelle sue vesti attillati che poco lasciavamo all'immaginazione. La creatura aveva l'aspetto di una ragazza abbastanza giovane. Gideon si sorprese: non la conosceva. Al contrario invece, sua madre sapeva persino come questa si chiamasse.
— Layne, vieni avanti.
Esortò la voce autoritaria dì Lilith. Dopodiché la giovane fece il suo ingresso venendo colpita completamente dalla luce di diversi fuochi. Poteva apparire una comune fanciulla. I capelli biondo platino le ricadevano in soffici boccoli lungo la schiena; un abito scuro - simile a una tuta aderente - fasciava intero ogni centimetro del suo corpo snello, assottigliandosi lungo l'elegante collo. Sembrava proteggerla come una seconda pelle spessa e impenetrabile, mentre gli occhi rispondevano e illuminavano il suo viso come due innocenti zaffiri.
Pareva proprio uno dei tanti angeli caduti a cui era toccata la sorte peggiore: la privazione delle ali e - di conseguenza – la perdita della propria libertà. Tuttavia l'assenza di una sua aura predominante rese ovvio la sua provenienza: nata fra le sfide dell'ombra e modellata con sembianze che mai più avrebbero dovuto solcare i confini del regno infernale. Gideon non sapeva come comportarsi, pertanto si portò silenzioso il più vicino possibile, spiando con la curiosità di un bambino e il respiro azzerato dalla paura.
Una scena a lui strana e nuova in molto aspetti, gli si mostrò nel mentre - in cuor suo - sperava soltanto di non dare troppo nell'occhio.
— Mia Signora.
Pronunciò Layne. La sua voce risuonò sicura e - sommata alla sottomissione che la ragazza mostrò mettendosi in ginocchio - Lilith non poté non gioire. Un forte potere scorreva languido e sotto pressione nelle vene avvelenate della donna; un desiderio di vendetta cresceva prepotente e la soddisfazione si apprestava a invadere totalmente il suo corpo corroso dalla scempiaggine.
— Mia cara, sei stata davvero molto utile. — la elogiò con movenze sensuali della mano destra. — Posso assicurarti che la tua fiducia è ben riposta in me.
Disse per poi far fremere le catene che la bloccavano da secoli immani. Queste produssero un rumore acuto a cui la donna si era abituata, se pur l'odio fosse perpetuamente lampante. La sua ombra si proiettò possente sulla fragile figura sottomessa. Lilith era in procinto di attuare l'inizio del suo epocale rafforzamento.
— Layne dimmi, tu sai come io sia riuscita a sopravvivere nonostante l'esilio e la prigionia impostami dall'angelo perduto?
Domandò con tono acre, assumendo una smorfia schifata.
Layne rimase completamente sorpresa, rivolse il suo sguardo celestiale alla sagoma intimidatoria posta sopra di lei.
— S-scusi?
Balbettò confusa, proprio mentre nel suo animo nacque un pizzico di dubbio verso la sua stessa scelta.
— Ti ho chiesto se sei a conoscenza del motivo per cui sono ancora qui!
Scandì l'altra irritandosi e spalancando le sue ali rovinate.
Fu un gesto avventato. Voleva far vedere ciò che Lucifer le aveva lasciato, ma - più che altro - ciò che le aveva provocato.
I sentimenti rendono così patetici e deboli. Pensò, come ogni qual volta che liberava dalla piega le rimanenze del suo passato orgoglio.
In seguito ricevette un timido dissenso e allora sorrise falsamente prima di iniziare la sua spiegazione.
— Il mio mantenimento lo devo a voi. — proferì guardando direttamente negli occhi la sua sottoposta. — Siete stati voi, miei alleati, a nutrirmi con le anime che avete corrotto e strappato alla loro ignobile vita.
Insegnò con calma e cautela come una brava maestra, ma Layne non sapeva dove la sua padrona volesse arrivare. Si stava quasi pentendo della sua decisione affrettata, rivalutando i pensieri del suo amico Taon. Si mise in piedi, socchiudendo subito dopo le labbra carnose e rosee con l'intenzione di chiedere altre spiegazioni. Tuttavia Lilith - che aveva già palpato la prematura diffidenza - fu più rapida e raccolse il candido collo della seguace tra le sue grinfie.
— Dimmi bambina, non ti piacerebbe uscire dai bassi ranghi delle creature d'ombra? Elevarti da quell'immondizia in cui sei nata? —chiese, stringendo la presa e conficcando le sue luride unghie nella morbida carne dell'alleata. — Io posso donarti l'eternità. Non sentirai il tempo scorrere, la tua natura non sarà più mediocre e il tuo sangue diverrà puro. — esalò a pochi centimetri dal volto tremante della ragazza. — Tu sai bene che esseri insignificanti come te possono soltanto sognarsela. Siete degli errori della lussuria, degli errori di cui mi devo occupare. Il tuo sangue umano non ti sarà più di intralcio.
Lilith sorrise sadica sotto la coltre di capelli unti che fuggivano al suo controllo.
— Mi-mia Signora...
Pregò fra un alito spezzato e l'altro Layne. Ciò però accrebbe solamente l'euforia pazza della sua assalitrice che - come da abitudine - aumentò la presa spezzando momentaneamente il fiato alla giovane.
Nonostante Lilith amasse sentirsi potente e saper di poter essere responsabile di vita e morte, la stretta scomparve lasciando la ragazza piombare a terra ansante, fra il terriccio e la polvere.
— Posso darti qualsiasi cosa tu desideri. — seduzione e persuasione furono lampanti nel suo tono. — Basta solo una tua saggia decisione. Voi mezzi demoni potreste essere la mia fonte di vittoria.
Concluse ricongiungendo le ali da pipistrello e abbassandosi al livello di Layne, stremata dalla privazione del respiro. Ci volle poco perché l'espressione dolente della sottomessa cambiasse in un sorriso sforzato. Aveva capito che – se voleva sopravvivere - la scelta era una soltanto.
— Qualunque cosa lei desideri, io gliela darò mia Signora. — esalò costretta. — Accetto la sua dolce offerta e tutte le conseguenze
Affermò ingoiando il terrore.
Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso di felicità. Lilith la sovrastò nuovamente, sicura di star per coronare il suo sogno: il concreto inizio verso la sua conquista epocale. Afferrò Layne - consenziente o meno - per le spalle e la tirò in piedi. Al contempo sfoderò di nuovo le logore ali mentre una luce diversa prendeva vita dai suoi occhi sadici. Non aveva il colore dell'oro - come avveniva a Lucifer quando le emozioni e i poteri sovrastavano la sua dannata volontà - bensì un rosso acceso, vivo.
Quel colore scarlatto sembrava fuoriuscire da un'intensa rabbia relegata nell'animo. Come sangue appena sgorgano da una ferita, tinse le sue iridi pazze. Per un secondo la caverna parve tremare; il calore - già accentuato dalla vicinanza al denso nucleo del pianeta - si sostituì con un ardente bruciore, provocato da fiamme dinamiche.
Fu una sensazione lenta che si propagò dal contatto con le dita della creatura manipolatrice. L'irritazione maledetta corrose ogni briciolo di pelle e tessuto presente in Layne. Lo fece con la solita calma con cui la tortura era iniziata, rendendola una vera e propria dannazione.
Successivamente un urlo si librò tra le rocce; un gridò disperato, colmo di disumani dolori. Il fisico della giovane tentò di ritirarsi dal tocco di colei che – oramai - era la sua indiscussa regina, ma non riuscì nel suo intento. Un solo movimento nacque da quel vano e disperato tentativo: l'irrigidimento di ogni arto finora stato libero e capace.
La testa cadde all'indietro donando la completa visuale del collo agli occhi focosi della donna. Quelli azzurri della ragazza si spalancarono dal terrore mentre le iridi tremarono sbiancando a causa del futuro a loro ignoto. Lilith sorrise totalmente assuefatta dal potere che avrebbe risucchiato avida. Layne invece sentì sempre più le forze venirle meno. Le gambe le cedettero e una seconda ondata di fiamme l'invase, più potente; più dolorosa. Urlò tentando di pronunciare una qualche supplica; pianse rendendosi conto di avere tradito il sovrano sbagliato e si spense espirando per un'ultima volta.
Di lei rimase un cumulo di cenere dalla forma fragile e indecifrabile.
Era solo la prima; il principio di un effetto collaterale che l'unione di follia e vendetta – inevitabilmente – produssero. Gideon lo sapeva bene. Aveva segregato quel suo pensiero troppo a lungo con la speranza che fosse pessimista oltre misura, ma si sbagliava: nessuno sarebbe stato mai al sicuro, neanche se avessero accontento ogni voglia di sua madre.
— Ora mia cara Layne, vivrai in eterno, dentro di me.
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