Capitolo XVI: Residenza Abbandonata
Fidnemid, 7 Giugno.
Non le piaceva affatto l'idea di tornare nei luoghi della sua infanzia. Abegail provò a dar ascolto alle sagge parole di Iside, tuttavia non trovò alcuna via di fuga dai suoi incubi e malesseri. Trascorse la giornata successiva a quell'incontro, rimuginando e cancellando i tentativi di Natalie di rintracciarla. Come avrebbe fatto a spiegare ciò che le stava accadendo?
Lei stessa stava capendo ben poco come eventi sovrannaturali e creature celestiali potessero coesistere sulla Terra e - soprattutto - come tutto ciò potesse riguardarla in prima persona. Si rinchiuse nei suoi perplessi e intricati pensieri, donando confusione riguardo le sue future intenzioni anche ai due ragazzi con cui condivise il viaggio di ritorno. Non una parola nacque dalla sua bocca durante la cena. Era troppo preoccupata per l'indomani ormai alle porte e persino la notte passò rapida nonostante gli incubi colassero da ogni muro come delle ombre maledette.
L'oscurità cedette lo spazio al compleanno della fanciulla: il 7 Giugno. Era esattamente una settimana antecedente il momento in cui - undici anni prima - i suoi genitori si spensero vicino alla sua figura infantile. L'anniversario di quel tragico incidente. La sveglia suonò senza sgarrare di un solo secondo riempiendo la stanza poco illuminata con la sua melodia. Abby dopo aver spento l'oggetto corse a cambiarsi scacciando così le memorie che la tormentavano da ore immemori.
— Non vivere nel passato.
Era facile a dirsi, ma terribilmente difficile da farsi. La giovane trascorse poco più di dieci minuti nel bagno, abbandonando le comode vesti con cui dormiva per sostituirle con i suoi jeans neri e una maglia leggera del medesimo colore. Guardò poi il suo riflesso allo specchio Due profonde occhiaie sottostavano ai suoi semplici occhi spenti. Si legò i lunghi capelli castani con un banale gommino nero e scese al piano inferiore contano mentalmente i gradini che la separavano dal resto della famiglia già riunita per la colazione.
— Vedi di rientrare prima delle tre, oggi pomeriggio. — esclamò Crystal appena si accorse della comparsa della neo diciassette. — Ho bisogno che qualcuno sia in casa visto che Cassandra deve andare a danza, Clarissa è da Susan e oggi è il giorno previsto per la consegna di un pacco.
Spiegò rapida accennando un sorrisetto complice e inserendo piatti e tazze delle gemelle chiacchierone nella lavastoviglie. Cosa dovevano mai consegnarle per renderla così di buon umore? Abegail non ci pensò troppo, annuì semplicemente con il capo, dando il primo morso alla fetta di pane e marmellata che si era appena preparata. Una volta concluso il suo pasto tornò al piano superiore per raccogliere lo zaino, contenente una semplice felpa bordeaux e indossarlo su una sola spalla con molta indifferenza.
— Alle tre, puntuale!
Gridò infine la finta bionda ricevendo come risposta lo sbattere chiassoso della porta d'ingresso. La ragazza uscì dal recinto degli Aubert dopo pochi passi e svoltò in direzione opposta alla fermata del pullman. La pessima abitudine di guardare la strada scorrere sotto i suoi piedi la fece sbattere contro qualcuno. Serrò i denti facendoli da parte e maledicendo immediatamente la sua sfortuna.
— Mi scus-
— Dove credevi di andare? — la voce dal tono scherzoso le fece scattare lo sguardo in alto incrociando gli occhi di Hereweald. — Ho fatto bene a scappare dall'angioletto.
Dopodiché la scrutò tramutando la propria felicità in fierezza.
Lui era fuggito dall'appartamento di Alexander perché la sola presenza di questo era un supplizio. Non riuscivano a sopportarsi a vicenda e - dopo aver condiviso il tetto per un'intera notte - era giunto al limite della sopportazione. Con la sua postura e i colori cupi dei vestiti creava un muro, bloccando l'ennesima fuga della giovane.
— Non avresti dovuto.
Sentenziò Abby oltrepassandolo per poi incamminarsi ai confini della frazione di Annwn. Tuttavia ogni suo tentativo venne afferrato dalla gigantesca mano del demone, posatasi attorno al suo esile polso. Il viso libero dai sottili capelli castani mostrò in un baleno tutto il suo disappunto.
— Ti abbiamo assicurato che avremo fatto ogni cosa insieme. — esortò serio stringendo di poco la presa e rammentando le decisioni prese il giorno precedente. — Non provare a fuggire da noi.
Pareva un ordine data l'estrema serietà e postura da comandante. Fu con ciò che ogni piano di Abegail si disgregò sfumandosi insieme all'eco delle parole. Gli occhi cangianti della mora divennero lucidi e le sue ore di riposo mancato furono ben marcate. In quello stesso momento Hereweald sentì qualcosa muoversi sotto la sua pelle.
Un cambiamento che gli annebbiò la vista e gli fece perdere il controllo, a partire dal colore dei suoi occhi. Ci fu un attimo in cui il corpo della ragazza fremette stimolato da un principio di paura. Lei notò l'oro imperioso vorticare coprendo il verde lucente delle iridi e sentì una leggera brezza alzarsi e soffiare debole dalle spalle del demone. Mosse i suoi morbidi riccioli, oscurando i tratti del volto.
Pareva che il tempo si fosse bloccato in quell'istante misto tra imbarazzo e timore.
— Abby! Aspetta!
Abegail inumidì gli occhi sbattendo le palpebre al debole richiamo di Alexander ancora lontano. La figura di questo era caratterizzata dai soliti abiti chiari e tremendamente sbracciati, avanzava nella loro direzione e muoveva un braccio per essere più visibile. Soltanto grazie a lui la tensione scomparve tra il pulviscolo dell'aria.
Fu poi il turno di Hereweald. Sgranò gli occhi colto da una realtà a lui inaccettabile e - soltanto in quel frangente - le dita allentarono la loro prigionia, scioccate dalla stessa azione che stavano perpetuando attorno al sottile polso.
— M-Mi dispiace. — tremò poi vedendo un segno rossastro sulla candida pelle della giovane, prima nascosta dalla sua mano. — Mi dispiace...
Ripeté osservando le movenze di Abegail che silenziosamente sciolse la coda per utilizzare il gigantesco elastico per capelli come scalda polso. Poté così celare l'incidente da poco avvenuto. I suoi capelli caddero sulle spalle soffici e ondulanti, marcando il contorno scuro dello sguardo.
— È tutto a posto.
Lo rassicurò. Non sentiva dolore né lo aveva avvertito quando la sua pelle era stata rinchiusa dal volere del demone. Quel colorito acceso pareva esser il prodotto di un aumento di calore innaturale.
— Hereweald, stai bene?
Domandò preoccupata vedendo il respiro accelerato dell'altro e le narici sempre più dilatate, in cerca di ossigeno con cui recuperare un po' di tranquillità. Alexander li raggiunse proprio in quel momento captando sia disagio che un imminente pericolo nell'aria.
— Andiamo! Lascialo qua.
Esortò cambiando espressione e cingendo quasi possessivo un braccio della ragazza, la quale - se pur riluttante - non si oppose.
Abby fu spinta lontana da Hereweald totalmente assuefatto da qualcosa a lei incomprensibile. Tentò una ribellione solo quando vide che questo non accennava a seguirli.
— Vi raggiungo! Datemi soltanto un attimo.
Dichiarò facendo respiri profondi e serrando gli occhi intento a distruggere il mostro dentro di lui che premeva per uscire.
Dannazione! Imprecò, pensando alle numerose volte in cui questo aveva preso il controllo in quei pochi giorni. Tutto era iniziato con la sua separazione da Sarah, avvenuta quasi una settimana prima. Fredda, crudele e inaccettabile aveva corroso le catene arrugginite della bestia che albergava in lui per natura. Questa si era poi manifestata lampante al cospetto di suo padre e in quel momento, non accennava a demordere. Un cenno muto seguì le sue parole, faticose da pronunciare.
Alex e Abby avanzarono, avverando i desideri del demone in difficoltà e raggiungendo - immersi solo nel suono di alcune auto e del vento - il limitare della foresta dopo alcune svolte in strade deserte, puntellate di case e asfalto crepato. Benché fossero le sette di mattina, il sole estivo batteva su ogni cosa riscaldando l'ambiente. Abitazioni, strade, macchine in movimento rilucevano sotto il potere della stella.
Ciò però non si poteva dire di quel pezzo oscuro solcato da cespugli, alberi secolari, ramificazioni e soprattutto un'aria intimidatoria.
— È una scorciatoia.
Informò Alexander esperto mappatore di vari luoghi. Non era raro sentirlo raccontare di aver fatto una corsa nel bosco né di aver preso il sole in una radura, lontano da tutti. Lui non temeva le leggende e finalmente Abegail aveva capito il perché. Indicò con il capo un sentiero a malapena accennato tra gli steli alti e fioriti dell'erba. Tuttavia non ricevette alcuna attenzione.
— Cosa è successo a Hereweald?
La domanda occupava i pensieri della fanciulla fin dal primo scambio di sguardi. Cosa stava accadendo a Hereweald? Neanche Alex pareva conoscerne la soluzione, essendo persino poco interessato al riguardo. Lui desiderava ardentemente riuscire in ciò che aveva fallito e null'altro avrebbe dovuto ostacolare questa sua impresa.
Doveva proteggere la ragazza, doveva riconcquistare la sua fiducia.
— Non importa cosa gli succede. — ammise non credendo di poter raggiungere un tale livello di serietà. — Non dovrebbe nemmeno trovarsi qua! — i suoi preziosi riccioli furono presi d'assalto da una raffica di vento improvvisa. — Ricordati che è figlio del Diavolo, lo ha detto lui stesso e chissà come questo lo abbia creato! — esclamò. — Potrebbe essere una macchina da guerra pronta a esplodere, con il solo scopo di espandere il dominio dell'Inferno. Non ti fidare se non sai quanti peccati abbia in corpo.
Analizzò cercando di far ragionare la sua protetta. Come al solito l'ignoranza spinse a conclusioni troppo affrettate e superficiali.
— Cosa sai per poter sostenere le tue teorie? — Abeegail era scettica, e prese le difese di quelle poche conoscenze che il demone le aveva fornito con il cuore in mano. — Come sai invece che sarebbe in grado di ferire qualcuno? Non è la nascita che decreta cosa siamo.
— Ti sbagli.
Una terza voce comparve alle spalle dell'interessata. La giovane si voltò seguendo per la seconda volta quella calda e suadente voce fattasi rauca e carica di emozioni tetre. Hereweald aveva sconfitto la pressione dei suoi poteri ed era arrivato in tempo per ascoltare il discorso tra i due.
— Sono il figlio di Lucifer e di conseguenza l'unico possibile erede al trono degli Inferi. — precisò seguendo un'andatura lenta e calcolata. — Ciò non potrà mai cambiare. — saettò lo sguardo, divenuto privo di emozioni su entrambi i ragazzi che lo stavano aspettato sul ciglio del marciapiede. — Non conosco i miei limiti e sinceramente non so neppure se essi esistano dato che, il perché della mia nascita mi è sconosciuto. Non si può sfuggire alla propria natura. — proseguì passo dopo passo al centro della strada poco curata. — Sono dunque certo che qualunque cosa tenga fra le mani venga inevitabilmente distrutta.
Concluse ad una minima distanza dalla ragazza azzerando il suo respiro.
— C-come ti senti?
— Cerca di starmi più lontana possibile.
Con tono afflitto e terribilmente ferito interruppe la giovane finendo per ignorarla.
Non voglio che tu venga ferita da ciò che non posso controllare. Pensò infine reprimendo ogni istinto che gli imponeva una maggiore vicinanza alla fanciulla. Era davvero possibile far nascere quel legame invisibile che i due sentivano grazie a pochi sguardi, parole, tocchi e soprattutto tempo? Mai avrebbe capito quelle sensazioni sconosciute e irragionevoli, ma - d'altronde - aveva compreso che più tempo trascorreva a contatto con gli umani, maggiore era ciò che in lui subiva una svolta epocale.
— Andiamo.
Esortò infine contrastando con poco fervore il dolore dentro al suo essere. Come se quel tumulto non fosse abbastanza, Hereweald detestava il modo in cui la sua natura riuscisse a scappare al suo controllo nei momenti meno opportuni. Poco prima infatti a causa di una sciocchezza, delle forti emozioni soppresse, aveva rischiato di nuocere ad Abegail. Eppure le sue intenzioni erano molto simili a quelle dell'angelo.
Dopo ciò come poteva credere di poterla proteggere? Hereweald rappresentava una minaccia onnipresente.
Giunto a quel punto pareva che non sarebbe riuscito a trattenersi ancora a lungo. Avvertiva la sua energia combattere contro di lui.
I suoi pensieri lo condussero a camminare a passo spedito come capogruppo. Le mani gli prudevano e - mentre la foresta aumentava d'intensità - nuovi suoni, canti e cinguettii naturali si sostituirono a quelli antropomorfi. Il demone non conosceva affatto la loro meta, ma sentiva i passi degli altri seguirlo e nessun'altra obiezione sopraggiungere.
Suppose quindi di esser sul sentiero giusto, benché questo fosse poco più che accennato dalle leggere pieghe dell'erba inumidita. I tre proseguirono calpestando erbacce troppo incolte, spezzando rami e addentrandosi maggiormente verso quello che pareva il centro della foresta proibita. Ad Abegail il cuore batteva all'impazzata. Qualche metro più avanti però l'ombrosità fu mangiata dal sole che tornò a brillare tutt'attorno. Davanti a loro si palesò uno spiazzo erboso, decorato da miliardi di fiori variopinti e le paure della ragazza vennero meno.
Al centro di quella meravigliosa radura incontaminata si ergeva una costruzione in netto contrasto con la natura. L'edificio malandato aveva subito ogni tipo di lesione dal tempo e dal clima. Piante selvatiche ed erbacce seguivano l'andamento verticale dei muri martoriati e coperti di bolle d'umidità.
Queste sembravano racchiudere la casa maledetta nei loro vortici fioriti. L'immagine decadente non tardò a raggiungere come una breccia il cuore palpitante di Abegail.
Tra quelle pareti lei aveva gioito.
Il ricordo delle risate - che ancora parevano riecheggiare fra esse - le creò una scia di brividi fin sulla nuca.
Ebbe appena pochi minuti per ammirare muta e triste quello spiazzo, per poi seguire i due ragazzi più avanti. Oramai non poteva più tirarsi indietro. Il suo incubo era a meno di trenta metri da lei e pareva attenderla proprio come lo scuro pressante che si ergeva dal bosco maledetto. Non aveva alcuna via di fuga poiché paure, insidie e memorie avevano invaso in un singolo frangente ogni millimetro del suo corpo, destabilizzandolo. Era tornata una bambina in balia di quella residenza abbandonata.
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