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Capitolo XIV: Fiducia Tradita

   Il pavimento del bagno era freddo, duro e si appiccicava alla sua pelle rendendolo un prigioniero.
Tuttavia - ad un tratto - sembrò che questo si fosse tramutato in qualcosa di comodo. Alexander non avvertiva più la faccia schiacciata contro le piastrelle, il suo petto era libero e dalla schiena si emanava un tepore confortevole.

Sentiva delle goccioline cadere lentamente dai suoi capelli, scivolargli sopra la fronte e scendere lungo le tempie. Non aveva la minima idea di come il suo spostamento fosse avvenuto né di dove si trovasse. Era per caso tornato fra le nuvole che costruivano il Castello nel Cielo?

Ciò sembrava totalmente da escludere perché delle voci parlavano tra di loro oltre lo sfondo che intravedeva dalle palpebre. Una di queste gli era familiare, ma non perché la associasse ad un suo compagno. Successivamente un tocco delicato lo costrinse ad aprire gli occhi. Quella azione fu seguita da una smorfia di dolore che accentuò la fatica sul volto. La testa gli doleva, doveva averla battuta cadendo.

Passò poco prima che comprendesse che quel contatto proveniva da un panno che gli stava asciugando il viso.
Tuttavia non fu la leggera carezza a destabilizzarlo, bensì la figura che - come quella dei suoi sogni – avrebbe riconosciuto subito.

— Abby...

   Sussurrò in un richiamo, tossendo subito dopo a causa della aridità presente nella sua bocca. La giovane sorrise intimandogli di far silenzio per poi volgere la sua attenzione verso un'ombra poggiata allo stipite della porta. Allora i suoi sensi riconobbero la creatura e subito si irrigidì.

— Cosa ci fai tu qua!

   Ringhiò provando a mettersi seduto.

— Alex calmati, non è come credi.
Lui mi ha aiutata...

   Abegail Intervenne prontamente, porgendo all'angelo un bicchiere d'acqua per placare i colpi di tosse e afferrandolo per una spalla scoperta, in modo da tenerlo fermo. Purtroppo però Alexander continuò ad agitarsi e sgranò gli occhi vedendo le fasciature della ragazza.

— Cosa ti sei fatta? — continuò a muoversi, rifiutando le gentilezze dell'amica per poi attaccare il demone. — Cosa le hai fatto!

— Non agitarti troppo. — Hereweald entrò completamente nella camera parlando con un tono piatto, privo di emozioni. — Se non fosse per me, saresti ancora riverso sulle mattonelle del bagno.

   Concluse incrociando le braccia e invitando la ragazza ad allontanarsi. Sospettava che preferisse non raccontare del giorno precedente. Alexander serrò i pugni, rammentando il perché del suo malessere. Era chiaro che il suo corpo non avesse retto un tale stato d'animo, ma tra tutte le domande che poteva formulare, quella che gli affiorò sulle labbra era l'unica che potesse creare incomprensione.

— Perché sei tornato! Non te ne eri andato ieri pomeriggio?

   Sbuffò infastidito mettendosi a sedere e coprendosi maggiormente con le coperte. Non ci fu una spiegazione razionale, ma in Hereweald crebbe una rabbia furente. Era certo che le violenze subite dalla ragazza fossero le conseguenze della assenza dell'angelo. Con quale coraggio lui sosteneva di non ricordare la sua mancanza di cure?

Riteneva Abegail importante eppure non era riuscito ad adempiere al suo compito. Il demone avrebbe voluto gridargli contro, svegliando l'intero edificio. Voleva riempirlo delle stesse ingiustizie che, il giorno precedente si erano abbattute su Abby e desiderava lasciargli persino gli stessi segni sul corpo.

La sua furia si placò un poco con il tocco della giovane.
Come se avesse letto le sue intenzioni, lei aveva poggiato una mano su di una spalla irrigidita, ma la sua intera concentrazione apparteneva al malato febbricitante sul giaciglio.

— Alex, quello è successo tre giorni fa.

   Enunciò con cautela. Lei era sconcertata e Alexander confuso.

   Tre giorni? Quelle parole colpirono il ragazzo come una freccia scoccata con forza, rendendolo incredulo dinnanzi l'accaduto troppo irreale. Non riusciva a comprendere come quel terrificante incubo lo avesse imprigionato per un lasso di tempo così lungo. Qualunque sogno possiede la caratteristica di apparire infinito e senza tempo al proprio sognatore, ma mai si sarebbe immaginato che ciò si potesse ripercuotere sulla vita reale. Come ha potuto una di quelle visioni notturne tenere assopito Alexander per tre giorni consecutivi?

— Tre giorni...

   Ripeté ridendo nervosamente per poi poggiare una mano sulla fronte madida di sudore.

   Iris, guarda quanto mi fai ancora dannare. Pensò lasciando segreto il suo tormento.

— Vi prego, scusatemi.

   Guardò entrambi con riconoscenza, soffermandosi su Hereweald. Odiava doverlo ammettere, ma aveva l'obbligo di ringraziare sinceramente anche quel demone. Anche se non capiva il suo strano comportamento.

— È tutto a posto, Alex. — lo rincuorò Abegail, sedendosi accanto a lui e arrossendo per l'imbarazzo. — Eravamo venuti per mostrarti qualcosa. Secondo Hereweald servirà per far luce su questa situazione, — sorrise stringendosi nelle spalle. — ma se vuoi puoi raccontarci cosa ti ha scosso così tanto.

   Alexander tremò, scansandosi un po dalla ragazza. Successivamente indicò con lo sguardo il demone desiderando che sparisse, che tutto tornasse alla quieta normalità.

— Puoi parlarne con me. — notando la sua esitazione Abegail si corresse. — Solo con me.

   Ripeté voltandosi verso Hereweald cosicché diventasse chiaro che la sua presenza fosse di troppo nella stanza.

— Non posso. — soffiò sconfortato Alex. — Non mi capacito di poter confidare una tale storia. — emise insicuro. — Nemmeno a te Abby

   Quel nomignolo non suonò mai così aspro all'udito della giovane che - poco temeraria - ormai combatteva contro l'ennesimo colpo, utile solamente ed accrescere il senso di tradimento che in lei albergava. Passò qualche minuto perché prendesse a ridere amaramente, spezzando quel sottilissimo filo d'imbarazzo che tendeva ad ispessirsi. Sussurrò le parole dell'amico come per studiarle in ogni minima lettera, ma anche se provava a calmarsi, non ci riuscì.

— Come non puoi parlare del primo vero giorno in cui ci siamo incontrati, giusto? — domandò con sguardo chino e incredulo. Le mani le tremavano e sentiva crescere dentro di lei un vuoto incolmabile, un amaro che poteva spiegarsi solo con il suo cuore in frantumi. — Sembra che tu non possa raccontarmi niente di veritiero su di te. — proseguì sicura svuotando i suoi pensieri. — Al contrario invece, tu conosci ogni minino particolare riguardo la mia insulsa vita!

   Abegail aveva riflettuto sui ricordi che i tratti del suo migliore amico le suscitavano, ma solamente in quei brevi giorni era giunta ad una conclusione alquanto scontata. Le cure del Dottor Harvey avevano assopito le sue sensazioni, i suoi ricordi si erano mescolati alla fantasia. Eppure lei aveva sempre avuto ragione: la sua mente non era mai stata malata né si era sbagliata.

— Avrei preferito che fossi stato tu a dirmelo. — assottigliò lo sguardo severa. — Avevo tutto il diritto di conoscere cosa diavolo mi ha salvata e cosa ha distrutto la mia vita! Perché non mi hai mai detto di avermi salvata! Tu sapevi tutto fin dal principio — pianse. — eppure mi hai guardata, mi hai spronata a raccontarti perché venissi trattata come una pazza! Pensavo che tu mi capissi perché credevi a me, invece era solamente per nascondere il tuo segreto... — Alexander provò ad interromperla, ma era schiacciato dal senso di colpa. — Il nostro segreto...

— Non potevo rivelarti ciò che sono. — dopodiché guardò Hereweald notando quanto la sua espressione esprimesse disgusto. — I nostri mondi devono rimanere pura ideologia per voi umani.

   Pronunciò facendosi più attiguo alla ragazza.

— Allora pensi che sarei stata una stupida? — Abegail scoppiò definitivamente, perdendo il controllo delle proprie lacrime. — Credi sul serio che non mi sarei mai accorta del tuo tempo rallentato?
Pensi che non mi sarei accorta che mentre io crescevo e invecchiavo tu saresti rimasto con le sembianze di un diciottenne!

   Spiegò esausta, ma il colpo finale doveva ancora arrivare, tra un alito sincero ed egoista.

— Me ne sarei andato prima che questo succedesse...

   Dichiarò infatti schietto e tagliente quanto una lama affilata al momento. Così facendo devastò gli ultimi rimasugli di speranza presenti nella giovane. Fu il silenzio il capo indiscusso che governò gli attimi seguenti alla sfuriata, accompagnando Hereweald nel suo accumulare di ogni nozione. Fu improvvisamente colto da un senso d'impotenza che gli schiacciò il petto.

Troppo tardi si rese ben conto di non comprendere Abegail in ogni piccola dimestichezza. Benché avesse memorizzato le caratteristiche che - in pochissimi giorni gli si erano mostrate - ignorava potentemente il passato della fanciulla.

— Ho sempre riposto la mia fiducia in un codardo menefreghista. — sospirò la ragazza frantumando momentaneamente il quadro dei pensieri formatosi nel demone. — Tu, hai tradito la mia fiducia.

   Dopo questa sentenza Abby pestò il pavimento con la sua furia repressa uscendo dall'appartamento. Era stanca di tutto e ben cosciente dell'inutilità di Alexander. Aveva riposto in lui troppa fiducia, troppi desideri, speranze e sorrisi. Gli aveva donato una parte di lei e affidato il suo cuore affinché lo riparasse, ma lui aveva saputo solamente distruggerlo, per la seconda volta. Scappò abbandonando Hereweald, abbandonando ogni obbiettivo che si erano preposti.
La loro ricerca avrebbe dovuto aspettare.

— Abby, ti prego, aspetta!

   Supplicò invano Alexander, vestito dalle coperte e qualche asciugamano. Arrancò in in questi tessuti nel tentativo di non mostrare le sue nudità mentre camminava in direzione dell'amica, ma nonostante fosse riuscito a mettersi in piedi, qualcos'altro fermò il suo disperato inseguimento.

— Lasciala in pace.

   Hereweald di pose fra i due, bloccandogli il passaggio con un solo passo in avanti.

— Chi credi di essere tu per sapere cos'è meglio per lei?

   Domandò l'angelo sfidando la pazienza del demone.

— Credo che nemmeno tu possa ritenerti il più indicato per affrontarla.

Dichiarò placidamente l'altro stupendo non poco Alexander.
Hereweald aveva ragione: nelle mani di chi non temeva, Abegail riusciva a dare tantissimo filo da torcere, ma chi altro avrebbe dovuto provare a placare la sua ira? Nessuno poteva essere più propenso di Alexander.

Lui che aveva osservato la ragazza durante tutta la crescita, che l'aveva sostenuta nei momenti peggiori; lui che aveva allontanato bulli e aggressori regalandole un sorriso. Sentiva che non era la rabbia di Abby a spaventarlo, ma il dolore che le aveva inferto. Non sarebbe mai riuscito a colmare i vuoti che le sue mancanze, bugie e fatti tralasciati con il tempo avevano formato nella sua protetta.

Sospirò affranto chiudendosi in bagno con l'intenzione di indossare qualche abito e lasciando Hereweald alla solitudine.

   Nel frattempo Abegail proseguiva il suo viaggio ignorando del tutto la meta finale. La sua unica intenzione era distanziarsi il più possibile da colui che aveva considerato fin troppo amico: l'angelo celato dietro quella maschera di simpatia e dalle sembianze innocenti.

Passo dopo passo lacrime confuse scesero bagnandole le guance. Centinaia di ricordi la trafissero insolenti. Pianse ricordando e studiando ogni particolare con il quale avrebbe dovuto smascherare le blasfemie del ragazzo.

Immagini di sorrisi, scherzi e abbracci in cui compariva perpetuamente anche Nathalie si susseguirono in un circolo tortuoso e pieno di pene finché - una dopo l'altra - queste scene si sgretolarono divenendo piccoli granelli di pulviscolo, invisibili a dei semplici occhi. Invisibili come quelle creature che avevano stravolto la sua vita e le quali stavano frantumavano lentamente le sue speranze. Resa quasi cieca dal pianto e dalla privazione degli occhiali, Abegail si sorprese nel vedere che l'ultimo autobus della mattinata era alla sua portata.

Vi salì appena in tempo e scese dopo circa venti minuti di sobbalzi.
Scartò l'idea di entrare in ritardo a scuola, ma l'abitudine la condusse lungo la solita strada vuota e maleodorante che - sotto il sole pieno della mattina inoltrata - si mostrava maggiormente cupa.

Passi incessanti e vuoti riecheggiarono finché si fermarono a pochi metri dal cancello della Plant Anoon. Fu allora che rivolse l'attenzione a qualcosa di differente dal suolo e in quel attimo si accorse - con dispiacere - di non essere sola. La vista sfuocata colse una figura poggiata al muretto in mattoni da cui partiva la inferiata della scuola. Questa aveva occhi solo per lei.

— Buongiorno! Sai, mi stavo giusto chiedendo se oggi ti saresti recata in città.

   Voce roca e maliziosamente temibile, jeans scuri e strappati, camicia blu oltremare e - soprattutto - le inconfondibili fiamme al posto dei capelli non lasciavano molte obiezioni.

— Non immagino pensare come deve essere stato senza questi indosso. — Logan Ross avanzò sicuro verso Abby sfilando dal logoro e sporco zaino gli occhiali tanto desiderati dalla giovane. — Prendi.

   Disse puntando lo sguardo castano in quello della ragazza e porgendo poi a questa gli occhiali. Abegail non emise un solo suono, prese l'oggetto conteso e lo indossò sospirando appagata. Il mondo dai confini dubbi e carico di chiazze colorate tornò definito e limpido; parve che una bellezza folgorante si fosse accesa nella città. Peccato però che non avesse considerato la presenza di fronte a sé.

— Nemmeno un grazie, eh? — le chiese Logan. — Comunque, tralasciando gli occhiali. — proseguì poi serio. — Ti stavo cercando per chiederti scusa. — la sua dichiarazione sembrava del tutto falsa. Osservò come un maniaco ogni reazione di Abegail. — Sono stato un vero prepotente e un gran coglione.

   Logan era certo di non aver alcuna scelta se non quella di completare il piano di sua madre, ma questa non conosceva quanto fosse complicata quella richiesta. Riuscire a farsi amica la ragazza che - solo il giorno precedente - aveva maltrattato senza alcun motivo, era un'utopia. Attese una risposta, un qualsiasi cenno, ma nulla sembrò scaturire dalla sua interlocutrice.

— Non ti chiedo di perdonarmi subito, — si ritrovò a dire. — ma voglio che tu sappia che non capivo nemmeno cosa stessi facendo, non ero in me.

   Confessò serio per poi sorridere timidamente: fu proprio un bravo attore. Se mai avessero sospettato qualcosa probabilmente Philip Harvey sarebbe stato il primo da incolpare. Così pensava.
Abegail lo osservò stranita nutrendo la sua curiosità con le immagini delle due figure differenti che - poco prima della sua fuga - si sovrapposero sulla figura di Ross. Poteva esser stato posseduto da qualche entità a lei ancora sconosciuta? Oppure...

   Cosa diamine sei? Ingoiò quella domanda come se fosse un macigno. Poteva agire per liberare quel nuovo enigma senza occultare la sequenza di accaduti di per sé intimidatori? Certo che no. Era bloccata in un immenso labirinto.
Optò per fare un semplice cenno, senza lasciar trapelare più del dovuto per poi immergersi tra la coltre di smog e la sinfonia di clacson sempre più persistente verso il fulcro di Fidnemid.

La meta impressa nella mente smosse le gambe rapide mentre - ogni tanto - lo sguardo della giovane vagò lontano da quello spregiudicato della gente. Nonostante fosse martedì, questa affollava strade, marciapiedi e negozi come in un bel weekend. Nulla però l'avrebbe smossa dal raggiungere uno dei pochi luoghi che donavano pace al suo animo; nemmeno un muro di persone.

La vecchia e decadente biblioteca situata a sud-est del centro della cittadina, era sempre stata fonte di similitudini con la sua esistenza. Sola, dimenticata e circondata da un mondo che spesso e volentieri perdeva la capacità di ragionare. Abby entrò in via Saint-Michael ridendo del tempestivo richiamo alle sue scoperte mentre la calma si destava tutt'intorno.

Altri pochi passi e l'inconfondibile scricchiolio della porta - seguito dal perenne odore di muffa e libri - s'insinuò nell'aria, poco prima che la giovane cliente potesse poggiare un piede sul pavimento fanfarone. Ogni luce era cupa e la tappezzeria antiquata accentuava la scarsa cura nella modernizzazione, ma la quantità di sapienza e la vastità di mondi fantastici variavano in numero industriale.

— Oh cara, che gioia vederti!

   Esclamò una voce da dietro il bancone attiguo all'entrata.

— Iside! Come stai?

   Abegail la salutò con garbo ritrovandosi in pochi secondi stretta fra le braccia della donna anziana. Iside l'aveva cresciuta come una seconda nonna e si occupava - come meglio poteva - di ogni bisogno di quell'edificio storico da pochi conosciuto. Spesso le ripeteva che le credenze stavano venendo meno, che la gente doveva rammentare di più la storia di Fidnemid, ma nemmeno lei riusciva a raccontarla senza che le si gelasse il sangue. Non tutta le verità sono fonte di libertà.

— Cielo! Nathalie mi aveva avvertito che questo non fosse un buon momento per te

   Esortò cedendo il sorriso alla pressione delle rughe donatele dal tempo. Non rispose alla domanda di Abby, ma si premurò di invitarla tre gli scaffali. Inconsciamente le parole di Iside riportarono l'interessata al calcolo dei giorni e successivamente al rammento dell'imminente anniversario.

— So che sai gestire tutto da sola, ma non credi che sia meglio affrontare i problemi con chi ha a cuore la tua felicità?

   Come in qualsiasi altra occasione quella donna dagli occhi grigi e i capelli raccolti in una treccia spettinata, nonché nonna della giovane Laurent, sapeva toccare i punti dolenti attraverso una semplice occhiata. Come ci riusciva tanto facilmente?

— Non ti devi preoccupare per me...

— Certo che mi preoccupo invece! Oh, se ci fosse stata Helen di sicuro vivreste entrambe da me, altro che quegli Aubert!

   Quasi urlò l'anziana, smuovendo i capelli argentati per poi condurre la ragazza fra i corridoi eleganti creati dagli scaffali ordinatamente posti in gruppi decretati per argomento.

— Iside...

— Comunque non voglio impicciarmi troppo, ma sappi che, per esperienza, — sorrise agitando le braccia com'era solita fare. — se un giovanotto si premura in tal modo, stai certa che ti ritiene importante.

   Confidò maliziosamente.

   Giovane? Iside stava blaterando, non vi era alcun dubbio. Quel pensiero divenne un potente desiderio quando gli occhi cangianti di Abby caddero su un cespuglio dal color del sole, poco distante da un tavolo posto nella sala da lettura. Il fisico slanciato sedeva in una delle postazioni per lo studio mentre i jeans chiari e l'abituale canottiera bianca mettevano in risalto le scarpe scure. A nulla erano valsi i chilometri di distacco messi in quella scarsa ora: Alexander con o senza il suo volere, l'avrebbe sempre raggiunta.

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