Capitolo XII: "Siamo Più Simili Di Quanto Pensi"
Fidnemid.
— Perché ti comporti in questo modo?
Quel quesito richiedeva una risposta semplice, inerente agli interessi di Abegail. Lei voleva sapere se si fosse sbagliata, se avesse sputato pregiudizi come una stupida in balia delle superstizioni.
Vi era tuttavia un problema: quale risposta si poteva mai dare se persino Hereweald si stava ponendo quella stessa domanda? Nessuna, se non un silenzio assordante, proprio ciò che si ebbe dal giovane.
Lui - lento e meticoloso – proseguì la medicazione con assoluto mutismo. Bende e disinfettante si avvicendarono agevolmente sotto l'attento sguardo della ragazza. Lo guardava spazientita attendendo una spiegazione.
Passò ben un quarto d'ora.
I riccioli del demone si mossero pigri assecondando un dissenso.
Non sapeva cosa dirle.
— Mi comporto normalmente.
Strappò un pezzo di garza e lo preparò.
— Sei gentile...
— Non ha importanza il perché!
Dichiarò esausto. Lo sguardo di Abegail gli infondeva una certa agitazione. Gli era impossibile parlare sinceramente ad una sconosciuta. Si sentiva un debole, tenuto sotto controllo dalle sue sensazioni. Come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco. Poco dopo poggiò i medicinali sul letto riuscendo a non incrociare - nemmeno per un istante - gli occhi con quelli che – stranamente - al momento tanto bramava.
Li desiderava perché nonostante fossero reduci di un pianto e - come si era immaginato - di altrettanti ricordi cruenti, conservavano un certo luccichio ammaliante. La pupilla scura era circondata dal marrone, all'interno vi erano degli spicchi - appena più chiari - che avvicinandosi al centro si trasformavano in un verde cupo.
Il contorno dell'iride era ben marcato da una spessa linea tendente al nero e - per finire - le ciglia lunghe delimitavano e ingrandivano gli occhi donando un'espressione innocente a tutta la figura. In quel momento, senza occhiali, la ragazza lo metteva ancora di più in difficoltà. A Hereweald era bastato un rapido sguardo per notarvi tutte quelle caratteristiche che - al loro primo incontro - sembravano celate dalla pressante montatura da vista.
Tuttavia non volle assecondare il suo istinto: era troppo.
Finì di estrarre tutte le minuscole schegge dai palmi di Abegail. Dopodiché pulì e fasciò i tagli da cui fuoriuscivano sottili rivoli di sangue, ma nessuno gli aveva chiesto di farlo né tanto meno glielo aveva imposto. Hereweald aveva curato la giovane come se fosse un'azione involontaria e abituale: cosa che non poteva essere più errata.
Abby si guardò le mani esterrefatta. Lanciò occhiate curiose all'anello che adornava la mano destra del demone per poi – successivamente - puntare gli occhi su di lui.
— Ne ha per me...
Si scansò sicura da quel tocco gentile. Era confusa. Ci fu un sospiro di rimando, probabilmente allo scopo di accumulare tempo per le giustificazioni.
— Non trovo giusto ciò che ti è accaduto, né sopporto... — Hereweald rifletté. — ragazzi del genere.
Cupo e turbato si distanziò dalla testarda avendole avvolto i palmi in garze pulite. Non aveva mentito, ma sapeva che - non avendo risposto completamente e soprattutto concretamente - sarebbero bastati pochi minuti perché sopraggiungesse una nuova insopportabile domanda.
Era stato evasivo apposta, ma aveva sbagliato.
Camminò quindi lento fino alla piccola libreria della stanza. Sopra a questa aveva poggiato in bella vista il volume in pelle preso dal suo palazzo. Fece di tutto per mettere quel libro sotto l'attenzione di Abby. Lo sfogliò e se lo passò da una mano all'altra. Sperava di non doversi subire un interrogatorio riguardante il ragazzo che l'aveva aggredita.
— Ero tornato per mostrartelo. — strizzò gli occhi in disapprovazione voltandosi subito dopo. — Per mostrarlo a te e all'angioletto... — infatti si corresse, mordendo infastidito il labbro inferiore. — Non trovandovi ho pensato bene di cercarvi.
Con il capo chino dava le spalle ad Abegail. Mai avrebbe capito quel bisogno incessante di confidarsi con una totale sconosciuta. Lo trovava il gesto più semplice che avesse mai compiuto, senza però un apparente motivo. Sentiva che fosse giusto, ma anche tremendamente sbagliato: un'umana non lo avrebbe aiutato.
— Era nel palazzo degli Inferi ed è uno dei libri in cui mi sono rifugiato da bambino. Lo ricordo soprattutto per la copertina...
Proseguì le sue confessioni, ma almeno sembrava aver incuriosito la giovane. Abby guardò in maniera diversa quelle pagine ingiallite dai secoli.
Il volume era un banale insieme di fogli scritti con una calligrafia scura e confusionaria - purtroppo - perduta e resa meno leggibile dal tempo. Si chiese perché dovesse esser reputato differente dagli altri.
Il demone si riavvicinò con passo felpato, continuava a passarsi l'oggetto da una mano all'altra, studiandone il peso e la ruvidità della copertina. Nel suo breve tragitto non smise per un singolo istante di fissare il pavimento ai suoi piedi, evitando chiaramente lo sguardo della ragazza. I suoi capelli - ancora una volta - gli coprirono il volto.
Lo scurirono, rendendo palpabile l'ansia di Abegail. Nonostante le movenze morbide e intrecciate fra loro, erano peggio di un muro formato da mattoni e cemento. Le davano fastidio.
— Tra queste pagine, sono sicuro ci siano alcune soluzioni...
Inevitabilmente il libro finì tra le mani della giovane mostrandosi in tutta la sua surrealtà. "Peccatum Caeleste" era il titolo e presentava numerose decorazioni astratte che risaltavano sulla vecchia pelle scura, parendo fluide e luminose. Un intricato disegno fatto di simboli incomprensibili ruotava tutto attorno. Era un rilievo che Abegail andò subito a sfiorare curiosa. Le sue dita affusolate passarono sopra a questo e indugiarono sul laccio che teneva il tutto fermamente chiuso.
Come poteva quel libro concedere la conoscenza di ciò che sarebbe ancora dovuto avvenire? Perché – sapeva - che qualunque cosa avrebbero conosciuto sul loro conto sarebbe immediatamente apparsa nel loro avvenire, ostacolando la successione di eventi ormai abituali. Aveva paura della conoscenza, come le avevano insegnato la temeva al pari di un mostro. Qualsiasi cosa avrebbero scoperto, avrebbe cambiato ciò che finora era stata la sua vita.
Lei temeva in peggio.
— Non dovremo sapere.
Fu un sussurro. Una riflessione scappata dall'intriso legame di pensieri che la sua mente stava sviluppando. Il demone la fissò con stupore, incredulo sulla ragione di quelle parole, ma turbato dalla voglia di consapevolezza.
— Credimi, non è bello vivere nell'ignoranza. — Abegail sbuffò sdraiandosi goffamente sulle lenzuola e ignorandolo. — Pensi siano stupidaggini?
Hereweald osservò quel movimento con delusione, ma - ben presto - fu sostituita dall'avversione. Comprendeva la diffidenza, d'altronde quella ragazza aveva scoperto il loro mondo pochi giorni prima. Tuttavia era tutto estenuante. Lui si era indaffarato e incuriosito per giungere al traguardo di qualcosa nella sua vita e nessuno sembrava apprezzarlo. Si dette dello stupido: stava cercando approvazione da una sconosciuta.
— Beata ignoranza... — sussurrò Abby. — In ogni caso, come posso credere a qualcuno di cui non so niente? — dichiarò poi, fingendo di non aver sentito la precedente richiesta. — Provami che possa fidarmi, prima di immischiarti e trascinarmi in faccende visibilmente più grandi di noi
In seguito al coraggio ci fu un solo istante di silenzio in cui Hereweald avrebbe voluto controbattere, ma qualcosa di decisamente non programmato bloccò sul nascere il suo discorso.
— Abegail!
Un urlo precedette lo sbattere di una porta e dei passi si insinuarono fra le mura dell'abitazione. La ragazza si drizzò al richiamo imperioso e isterico, sbarrando gli occhi. Poco dopo, con frenesia - e incitamenti a far silenzio - obbligò Hereweald a nascondersi. Entrambi non pensarono e il ragazzo finì malamente sotto al letto. Un successivo colpo dette la conferma della minaccia a cui i due non avevano prestato la dovuta attenzione.
— Si può sapere cosa ti dice la testa!
Una figura spalancò la porta, che fino ad allora aveva separato Abby e Hereweald dal putiferio esterno. Questa sorpassò la soglia a grandi falcate finendo la sua camminata a pochi passi dalla ragazza ferita.
L'ira furente e ben tangibile, gli occhi spalancati che lanciavano scariche di disprezzo ovunque e quegli inconfondibili capelli dall'evidente ricrescita non lasciarono alcun dubbio: Crystal era tornata a casa in anticipo. Aveva visto la confusione provocata dall'ospite - di cui ignorava l'esistenza – ed era andata su tutte le furie.
Tra le lunghe dita - dalle unghie ben smaltate - comparivano come le prove di un crimine alcuni flaconcini e piccoli barattoli ammaccati.
Com'era riuscito il demone a fare un tale disastro?
— Come osi creare disordine nella mia casa? — sbraitò fuori di senno gettando gli oggetti stretti in mani addosso ad Abby. — Dopo tutti i miei avvertimenti e le numerose punizioni subite negli anni, com'è possibile che tu non abbia ancora capito?
Ci dovresti un minimo di riconoscenza!
Si tirò i capelli esausta mentre Abegail rammentava ogni singola volta che per sbaglio aveva combinato un po' di confusione: qualche piatto impilato male, dei bicchieri rotti e sacchi dell'immondizia rivoltati.
Era maldestra, ma non poteva farci niente.
— Non sai quanto tempo e fatica mi costi tenere tutto perfettamente in ordine!
Sbuffò Crystal mentre l'altra incassava parola dopo parola, rabbrividendo. Tutta la rabbia della donna si rigettò fluida e impetuosa su Abby che era rimasta muta. Oltre la preoccupazione di ciò che la serpe le avrebbe potuto fare, l'insicurezza stagnava fervida in lei. Alternava lo sguardo dalle scarpe lucide - munite di tacchi a spillo - ai piedi di Cristal, a quel poco del demone che smuoveva spazientito l'orlo delle coperte rischiando di rivelare la sua presenza.
Una crescente agitazione la portò a sfregarsi le mani bendate catturando Crystal. Lei contrario delle aspettative - non ne fu sorpresa, si limitò semplicemente a socchiudere gli occhi pensierosa chiedendo passiva se la ragazza avesse una qualche spiegazione. Con un cenno del capo indicò le fasce che partivano dai polsi avvolgendo perfettamente i palmi.
— No.
Abegail le rispose distaccata alzando brevemente la testa per poi abbassarla intimidita dallo sguardo severo della donna. La vipera digrignò i denti sbuffando come un animale e infuriata - esattamente com'era entrata - ripercosse i suoi precedenti passi costringendosi a sbollire il più possibile.
— Stasera non provare a uscire da quella stanza!
Urlò appena in tempo per iniziare la discesa verso la cucina.
Come la calma dopo una tempesta, il silenzio riaffiorò nell'aria intrisa di vergogna e altrettanta rabbia e accompagnò la raccolta dei medicinali riversi a terra. Abegail uscì poi dalla sua stanza e fu allora che - non vedendo altre facce né udendo suoni diversi dal ticchettio dei tacchi al pian terreno - poté sospirare un poco sollevata. Non le importava se sarebbe stata rinchiusa tra le sue quattro mura quella sera: era felice che la straziante scenetta si fosse conclusa.
Si diresse verso la bianca porta davanti alla sua, entrando nel bagno altrettanto candido e lucente. Con le maniche larghe e grigie della sua felpa che, seguivano la gravità e le scivolavano lungo il braccio - scoprendolo a poco a poco - cercò di sistemare il disastro creato da Hereweald. Aiutando la sua statura con le punte dei piedi finì di riporre i flaconcini sopra agli alti mobili, giusto in tempo per avvertire una nuova presenza alle sue spalle.
— Scusa, sarei venuta a chiamarti fra poco...
Esortò fissando la figura riflessa allo specchio. Lo avrebbe fatto certo, ma dopo che il ragazzo aveva assistito a quello spettacolo pietoso non sapeva quanto tempo si sarebbe voluta prendere.
— Non hai nulla di cui scusarti. — la voce roca di Hereweald rimbombò sulle piastrelle estremamente pulite e disposte su maggior parte delle pareti. — Anzi, dovrei esser io a chiedere perdono per la confusione.
Veramente un demone le stava chiedendo scusa? Abby era allibita, la bocca apertamente sorpresa e lo sguardo fisso negli occhi riflessi sul vetro. Maggior tempo trascorreva vicino a quell'essere, più era lei quella ad apparire un mostro.
— Cosa sei...
Sussurrò impercettibile.
Si era fatta un'idea del tutto sbagliata, ne era certa. Hereweald non la sentì e cominciò a sentirsi un capellino in imbarazzo. Spostò dunque il peso del corpo da una gamba all'altra guardando oltre lo specchio che li ritraeva entrambi.
— Pensi che Crystal faccia parte di qualche gerarchia del tuo regno?
Abby provò a sdrammatizzare voltandosi per concedere uno sguardo diretto al giovane e un sorriso sforzato. Lui d'altro canto non capì il senso di quella domanda: era sincera oppure voleva scherzare sul pessimo carattere della donna? Fece per parlare, molto perplesso su cosa dire ma fu interrotto per l'ennesima volta. Avvertì delicata una mano della ragazza poggiandosi su di una spalla, sembrò fargli una carezza.
— Stavo scherzando. — aggiunse poi ridendo della reazione del demone. — Hai ancora intenzione di far sì che io mi fidi di te?
Sincerità assoluta viaggiò tra le pieghe di quella domanda. Cosa avrebbe mai potuto rispondere il ragazzo?
Forse sì, aveva proprio bisogno di qualcuno di cui fidarsi; qualcuno che lo ascoltasse: un amico sincero.
Era confuso. Rise a sua volta sorprendendo Abegail. Il suo sorriso non celava nessuna traccia di malignità, era soltanto luminoso e liberatorio.
— B-Bene.
Disse questa abbassando il capo per nascondere il suo volto segnato da un colorito molto acceso. Superò poi rapida la figura di fronte a sé per precipitarsi in camera.
— Va tutto bene?
Le chiese preoccupato Hereweald non appena sorpassò la porta tenuta aperta per lui. Abby ai suoi occhi sembrava impacciata, più di quello che aveva visto essere normalmente. Aveva perso il contatto con il suo sguardo troppo facilmente.
— Sì, sì, sto benissimo.
Lei dette una potente spinta alla porta per poi costringersi a rincorrerla per evitare che questa sbattesse. Hereweald era molto scettico, ma restò in rispettoso silenzio anche una volta che Abegail prese posto sulla sedia vicina alla scrivania. I due continuarono a fissarsi non sapendo come intraprendere il discorso a lungo interrotto. Troppo imbarazzo colmò i precedenti movimenti per un lasso di tempo altrettanto lungo.
Una piccola sveglia produceva con il suo ticchettio insistente il suono che incorniciava il disagio, segnando le sei meno un quarto del pomeriggio. Come aveva fatto il tempo a scorrere così rapidamente, nessuno lo seppe né se ne curò. Hereweald sbuffò infastidito dal suo posto sul letto e - guardando il sole oltre la finestra aperta - si decise a spezzare la quiete durata fin troppo.
— Fino a undici anni fa non ero mai uscito dal sottosuolo. — esordì timido. — A fatica potevo immaginarmi il colore variabile del cielo, le forme della natura, persino la sensazione del vento sulla pelle.
Specificò sorridendo delle sue osservazioni.
— Quanti anni hai?
Abby si incuriosì degnandosi di incrociare gli sguardi e il demone fece una smorfia simile ad un sorriso.
— Sono nato circa nella metà del vostro quattordicesimo secolo.
Shock apparve nel volto della ragazza. Il suo stupore si tramutò in un'intensa voglia di sapere: desiderava conoscere quali caratteristiche umane valessero anche per esseri immortali come loro.
— Non so chi sia mia madre, — sospirò l'altro immaginando la curiosità eccessiva dell'umana. — a questo punto non sono neanche certo di averne mai avuta una. Sai, la maggior parte dei demoni si creano dai sentimenti ostili e dalle lussurie in cui voi esseri umani incappate facilmente. Sono i peggiori dei concetti che prendono una forma concreta. Probabilmente mi sono sempre illuso di essere diverso.
Concluse non credendo al senso di leggerezza che divampava ovunque.
Era così semplice sentirsi liberi, meno asfissiati dai tormenti?
— Non sembri crudele.
Constatò Abby con voce consolatoria.
— Come puoi dirlo tanto facilmente? — si rabbuiò l'altro. — Non mi conosci abbastanza e benché io odi i comportamenti malsani, sento come qualcosa nascosto in me. Qualcosa che mi opprime e in certe occasioni riesce a mostrarsi. — la voce di Hereweald si incrinò, succube dei ricordi in cui si paragonava a Lucifer. — Questa... — gli mancò il respiro e si prese la testa fra le mani. — questa dannata parte di me espone al mondo il mostro che sono!
Un tocco delicato e gentile giunse tra i suoi capelli costringendolo ad alzare il viso. La carezza si arrestò improvvisamente, ancora prima che i voluminosi capelli gli permettessero di vedere da chi essa provenisse. Non che avesse molta scelta, ma voleva comunque esserne sicuro. Certo che non stesse impazzendo e che la solitudine non gli stesse creando delle illusioni.
Abegail era realmente a pochi centimetri da lui, protesa verso la sua figura, con i capelli lunghi che le si riversavano sulle spalle circondandole il volto privo di occhiali. Con la luce leggera della finestra che batteva su di lei - il primo pensiero di Hereweald - fu che fosse di una bellezza indescrivibile, dolce e delicata come un fiore.
— Che ne dici se ci mettiamo a riposare e, domani provo a rintracciare Alexander?
Domandò con la sua solita gentilezza: stava dando una possibilità al demone.
— Perché non andare direttamente da lui? — indagò questo. — Domani mattina, presto.
Puntualizzò poi, oramai voleva andare a fondo di tutta quella storia e - visto che la ragazza sembrava dalla sua parte - nulla lo poteva più bloccare.
Abby fece solamente un segno con il capo dirigendosi successivamente verso l'armadio, le cui ante produssero un suono molesto.
Estrasse da questo degli indumenti e spiegò che si sarebbe andata a cambiare. Tornò circa dieci minuti dopo con indosso una maglia nera estremamente larga e un paio di pantaloni altrettanto grandi con una decorazione a pois. La giovane andò per l'ennesima volta in direzione dell'armadio arrugginito, prendendo con difficoltà un piumone.
— Penso che con questo starai più comodo che sopra il legno del pavimento.
Spiegò faticando sulla punta dei piedi per tirare giù quella coperta gigante. Buttò il tutto per terra togliendo un cuscino dal suo giaciglio per poi lanciarlo addosso a Hereweald.
— È perfetto, — sancì questo. — ma come mai dormi con ancora il sole alto?
Domandò curioso vedendola stendersi tra le lenzuola. Da ciò però ricevette una sola alzata di spalle molto vaga. Vide gli occhi di Abegail farsi tristi e fece cadere la sua attenzione sul libro che aveva accanto. Forse aveva esagerato.
— Sai Hereweald, noi siamo più simili di quanto pensi
Lui rialzò lo sguardo fissando le spalle della giovane e – quelle - furono le sue ultime parole prima che calasse l'oblio, interrotto ogni tanto dalle chiacchere nel salone sottostante.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro