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Capitolo VIII: Ritorno All'Inferno

Inferno.

   Il desiderio di scappare fu di nuovo il protagonista indiscusso dell'intricato disegno che macchiava la mente di Hereweald. Un lungo respiro e quella dannata camera sparì attraverso del fumo. Era a pezzi, non sapeva dove andare a nascondersi. Lasciò semplicemente che il suo subconscio lo conducesse dove meglio credeva.

Ormai non sperava più in niente: sarebbe stato solo, ovunque si sarebbe ritrovato. Indesiderato a causa della sua natura che - lui per primo - tanto ripudiava. L'effetto che produceva lo aveva visto chiaramente negli occhi di quella ragazza. Lei aveva tremato di fronte al suo essere maledetto. Lo aveva guardato con paura e ribrezzo, un odio generato dal pregiudizio. Rammentò l'ultima immagine catturata dai suoi occhi. Attraverso la coltre di nebbia scorse le sagome di Abby e Alex - ancora una volta - stretti in una morsa di conforto, tale e quale a quelle che mai lui avrebbe avuto per sé. L'invidia non era mai comparsa così fervida nel suo cuore come in quel frangente. Non poté non provarla nel mentre il suo corpo indebolito assestava il dolore represso per l'intero giorno.

Il dolce profumo delle coperte della ragazza si sostituì rapidamente con un altro che – purtroppo – Hereweald conosceva bene: zolfo e putrefazione. Riconobbe subito il luogo in cui inconsciamente si era catapultato, sperando poi che stesse errando. Purtroppo non fu così. Un fulgido bagliore e rotolò su di un pavimento polveroso e terribilmente scomposto, concludendo la sua caduta maldestra addosso ad uno scaffale altrettanto impolverato. Una nuvola di pulviscolo scese silenziosa e lenta sui suoi capelli spettinati. Seguì un lamento e qualche imprecazione poi aprì gli occhi ritrovandosi immerso in un'oscurità famigliare. Nonostante fosse scappato per anni e avesse celato i suoi poteri - nascondendosi dal suo destino - era tornato ugualmente al punto di partenza. Un sospirò irritato lasciò le sue labbra finché esplose in un ringhio. Aveva passato anni lontano da quel mondo maledetto e - per colpa di alcune parole e qualche sguardo che avrebbe potuto sostenere - era caduto in trappola.
Era tornato con le proprie gambe all'Inferno.

— Accidenti!

   Ringhiò stremato. L'unica scena che gli turbava la mente era la stessa che cercava di scacciare via in ogni modo possibile. Ogni tentativo risultò un buco nell'acqua. Si vide tra le braccia di quella curiosa ragazza e invidiò - anzi odiò - quell'angelo esiliato che sembrava avergli rubato il posto. Erano poco meno che degli sconosciuti, ma desiderava il conforto e il sostegno che quei due si donavano reciprocamente.
Il perdono che lui non avrebbe mai sentito sulla sua pelle.

— Sono un dannato demone

   Sussurrò sfregandosi poi gli occhi con il dorso delle mani.
Cosa sperava di poter ottenere? Poggiato al muro della sua antica camera elaborò una dopo l'altra le sensazioni provate in quel breve frammento di tempo: l'attacco alla capanna di Sarah, il vuoto comparso nel suo petto fino all'incontro con Abegail che – per le sue doti - non sarebbe nemmeno dovuta esistere.

— Ogni umano morirà alla vista della vera essenza di una creatura celeste, poiché essa... — bloccò la sua memoria avvertendo dell'amaro in bocca. Possibile che quel libro fosse sbagliato? — Il libro!

   Hereweald scattò in piedi arrancando tra l'oscurità. Quel codice poteva appagare i suoi quesiti. Respinse i ricordi che le scure e sporche pareti gettarono fluide nell'eco della sua testa. Tastò ovunque, trovandosi in difficoltà. Sebbene fosse cresciuto in una tale mancanza di luce, sei anni passati sulla superficie avevano abituato i suoi occhi alla luce del giorno. Si ritrovò infatti a sbattere contro angoli e mobili che la sua vista confondeva con il vuoto.

Arrivò infine a tastare i teli del suo vecchio letto. Erano proprio come si ricordava: ruvidi e dalla parvenza tutt'altro che confortevole.
Hereweald spezzò il flusso dei suoi pensieri per poi mettersi in ginocchio a terra e continuare la sua ricerca cieca. Il suo sguardo era evidente tra l'oscurità circostante, proprio come gli occhi predatori di un gatto nella notte.

Diversamente da pochi minuti prima, si stavano riadattando al luogo cupo. Adrenalina, tensione e un pizzico di paura però continuarono ad annebbiargli il campo visivo, rallentando il concludersi della sua missione nel mentre il suo cuore scalpitava.

Le sue mani strisciavano imperterrite fra lo sporco del rivestimento sotto il giaciglio, sicure di esser ormai al traguardo tanto atteso. Tuttavia non trovarono altro che vuoto. Il giovane si sorprese non poco, spalancando il suo sguardo. Se quel volume non era dove lui stesso lo aveva abbandonato, come poteva essere sparito?

Il cigolio della porta lo sorprese ulteriormente fermando ogni suo respiro. Improvviso si insinuò nel silenzio dell'ambiente lasciando che la luce delle fiaccole – appese ai muri dei corridoi - entrasse nella stanza. Fu terribile la lentezza con la quale questa si aprì rivelando - a poco a poco - la figura di colui che Hereweald sperava di non incontrare mai più: suo padre. Lucifer entrò con la sua figura scura e maestosa, posizionandosi perfettamente di fronte al figlio.

Il perimetro del castello era sorvegliato dal triplo delle guardie di una volta – lo avvertiva - e - non avendo più alcun motivo per tornar sulla Terra – l'Oscuro lo stava imprigionando per l'ennesima volta.
Hereweald non poteva più scappare.
Chissà quanto questo potesse dar piacere al sovrano.

— Che piacere rivederti, figliolo! — Lucifer sorrise falsamente. — Come mai questa visita inaspettata?

   Nella sua voce non esisteva neanche un briciolo di preoccupazione, nessuna ferita o ripensamento. Apatia e ironia componevano il suo idioma brutalmente gutturale. Lo stesso che Hereweald tanto odiava. La lingua dei demoni era sporca e il fatto che lui riuscisse a comprenderla e parlarla gli faceva venire il voltastomaco.

Tuttavia se il temperamento non era cambiato affatto, la medesima cosa non la si poteva dire del suo aspetto. Il volto era provato, non per la vecchiaia bensì per la stanchezza. Due profonde occhiaie circondavano gli occhi altrettanto scuri, mentre le guance sembravano in qualche modo scavate, come se avesse perso in fretta un'eccessiva quantità di peso.

— Mi dispiace padre, sono solo di passaggio. — lo informò il giovane non curandosi troppo delle sembianze del suo interlocutore. — Ad essere sincero non avevo neanche intenzione di incontrarvi.

   Spiegò freddo, alzandosi dal pavimento e scuotendo i pantaloni per eliminare la polvere in eccesso che era fin troppo evidente.
Lo sguardo di Lucifer vagò per tutta la figura del figlio, come per cercarvi un qualche cambiamento. Una scintilla di tristezza attraversò per un secondo il suo sguardo, rompendo la propria sicurezza. Tuttavia fu talmente rapido che Hereweald pensò di aver avuto un miraggio.

— Stavi cercando qualcosa?

   Lucifer tornò infatti subito cupo e severo, avvicinandosi al figlio che serrò la mascella infastidito. Hereweald era cosciente che l'altro conoscesse già la risposta dunque non fiatò. Non gli avrebbe mai donato quella soddisfazione. L'Oscuro se ne accorse: l'espressione del giovane era di puro odio. Un ghigno divertito storse quindi le sue labbra.

— Ti posso consigliare la biblioteca?

   Domandò ironico, mettendo alla prova la pazienza del ragazzo. Quell'allusione al trascorso fu pari ad una saettata dritta al cuore. Rinfacciare il passato era da vili. In quel momento Hereweald comprese quanto realmente crudele fosse la creatura di fronte a sé. Nonostante molte volte avesse provato a creare motivazioni per il comportamento che spesso si ritrovava a osservare nel padre, in quel momento – qualunque esse fossero - non ebbero più importanza.

Guidato dall'ira si ritrovò a fare l'unica azione che gli era sempre venuta spontanea. Eseguì gli ordini del suo sovrano dall'anima dannata. Lo superò dandogli una spallata in segno di sfida, per poi sparire tra i lunghi e tortuosi corridoi del castello infernale.

— Spero solo che tu ti sia goduto questi pochi anni con la tua ricerca impossibile

   Queste furono le ultime parole che Hereweald udì. Al contrario di quanto si aspettasse, non vennero pronunciate con tono acre, bensì quasi carico di rammarico e... tristezza? Aveva forse interpretato male quella cadenza della voce? Come poteva suo padre mostrarsi così debole davanti a lui? Era del tutto una cosa insensata.

La confusione era completamente sovrana della sua povera mente e con questa lui dovette condividere il lungo tragitto attraverso le mura spettrali che lo conducevano all'antica biblioteca. Fu costretto a dar ragione alle parole del padre. Benchè fossero state dette con leggerezza, suonarono comunque dure alle sue orecchie poiché veritiere. Si era goduto quegli anni di libertà, ma la ricerca principale che lo aveva condotto al grande passo non aveva fruttato un bel niente. Ebbe un tuffo al cuore rammentando tutti gli inutili sforzi.

Non fu per niente facile confrontarsi con quelle riflessioni dalle diverse sfumature comportamentali. Decise comunque di concentrare tutte le sue forze nella ricerca di quel codice che tanto amava. Era sicuro che lì dentro avrebbe trovato la soluzione all'enorme enigma chiamato Abegail. Se così non fosse stato, certamente si sarebbe letto l'intero archivio, con la speranza di trovarvi un brandello d'informazione riguardante la strana creatura incrociata per caso. Avrebbe fatto di tutto per sapere la verità di almeno un'incognita nella sua vita, già fin troppo colma di menzogne e dettagli celati.

Il vecchio portone in oro - decorato da alcuni bassorilievi color sangue che si muovevano in una lenta danza - era ancora intatto nelle profondità del palazzo. Identico a quello che Hereweald rammentava spesso e volentieri. Preso dai ricordi vi appoggiò per un momento le mani, indugiando persino sul da farsi. Trascorsero svariati minuti prima che con un gesto fluido lo spalancasse, entrando nella vastità di collezioni e sapienza archiviata per millenni.

Un immenso spazio si propagò nel suo campo visivo: scaffali infiniti ricolmi di codici creavano cinque file ordinate, delle scale erano appoggiate su ogni libreria e sullo sfondo si vedeva un soppalco al quale si aveva accesso tramite una scala a chiocciola messa in disparte. Anch'esso mostrava - fiero della propria maestosità - altri milioni di libri antichi.

Ammettere che ciò che lo attendeva fosse una semplice passeggiata sarebbe stata l'ennesima bugia. Era evidente che l'impresa prospettatagli sarebbe stata ardua: trovare quel piccolo volumetto di appena trecento pagine fra sconfinati e innumerevoli libri, era una vera follia.

Cominciò limitandosi a cercare in base al titolo, ma tutto l'entusiasmo si spense in un baleno quando - con grande delusione - si accorse che tutti quei codici non avevano un minimo di ordine. Gli argomenti variavano da alcune osservazioni sul cosmo, a viaggi filosofici, anatomia, angelologia, demonologia e persino libri scritti dagli uomini più colti della Terra, mescolando le menzogne alle verità.

Hereweald stette dentro alla confusione per un tempo imprecisato. Il suo rifugio era stato tutto stravolto. Perse la cognizione del tempo: non avrebbe mai potuto dire se fossero passate ore oppure giornate intere e - tra non molto - avrebbe perso persino il lume della ragione.

— "Caelesti Peccatum."

   Ripeteva esausto come per richiamare quell'ammasso di fogli. Con occhi lucidi e rossi a causa dello sforzo e della perenne polvere, vagava ormai in direzione del soppalco. Non ne poteva più. Salì la scala a chiocciola poggiando una mano sulla ringhiera perfettamente lucida e preziosa, ma - quando fu su l'ultimo scalino - un rumore sinistro lo fece voltare verso l'enorme portone dell'ingresso. Da esso entrò una figura affaticata. Lui la riconobbe subito e roteò gli occhi infastidito, proseguendo la sua ricerca senza sosta.

— Ancora niente, figliolo?

   Domandò Lucifer con voce neutra mentre a passo lento si incamminava verso il soppalco con l'attenzione tutta per il figlio.

— Dannazione!

   Imprecò Hereweald per poi accovacciarsi sul pavimento con i pugni serrati in una stretta aggressiva. Odiava quel nomignolo. Successivamente chiuse gli occhi sperando che il ticchettio dei passi svanisse lasciandolo da solo con i suoi problemi. Però non fu così. Questo continuò a diffondersi tramite l'eco infinito che forniva l'ampio salone, facendogli saltare i nervi.

— Cosa ti succede? La routine terrestre ti ha reso ancora più debole?

   Lucifer - ormai giunto alle spalle del moro - stava giocando con un fuoco doloso senza esserne a debita conoscenza. La sua voce roca non sembrava esattamente la stessa di un tempo, peccato che il figlio fosse troppo arrabbiato e infastidito per notarlo.

— Non avete altro da fare che burlarvi di me? — chiese Hereweald. —Mi dispiace tanto avervi privato del divertimento in questi anni, ma credo che lo farò anche in futuro.

   Aggiunse poi fondendo il suo sguardo accigliato con quello del tutto disarmato del padre. Lucifer per tutta risposta accorciò le distanze e con il suo sguardo impassibile fece sbottare il giovane.

— Cosa vuoi sapere!

   Sputò a denti stretti.
Odiava averlo tra i piedi soprattutto adesso che si comportava in maniera così strana e discutibile.

— Ebbene figliolo, benché sia contento, non riesco a capire il motivo del tuo ritorno. — dichiarò abbastanza confuso. — Saresti dovuto rimanere con Sarah molto più tempo...

   Si lasciò fuggire in un sospiro, sotto l'espressione sorpresa dell'altro. Questa attraversò lo stupore, si trasformò in incertezza e infine esplose nell'odio. Una rabbia incontrollata dominò la tristezza.

A Hereweald prudevano le mani dall'intenso desiderio di picchiare la creatura davanti a sé. Con quale coraggio veniva a parlargli di Sarah?
Lui che era l'artefice di tutto il suo dolore e soprattutto della fine di quella povera donna. Abbassò il capo iniziando a ridere amaramente, per poi guardare suo padre con occhi assassini. Aveva capito che la sua ricerca sarebbe passata in secondo piano; nessuno aveva il diritto di prendere in giro la sua defunta famiglia. Nessuno si sarebbe più divertito alle sue spalle.

— Con quale sfacciataggine tu vieni a parlarmi di Sarah? — urlò nel mentre Lucifer trasaliva sorpreso. — Tu non dovresti nemmeno nominarla dopo ciò che le hai fatto!

   Concluse severo poco prima di assalire - con occhi completamente dorati - il sovrano del tutto smarrito.

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