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Capitolo V: Intrusioni

   Hereweald osservò Abegail accelerare il suo passo, come se fosse inseguita da qualcosa. Non che non avesse ragione, ma il demone fu infastidito da quel modo di scoprire le sue azioni, la sua stessa presenza. Il problema era: come riusciva a farlo? Vide l'entrata di un'abitazione a due piani chiudersi rapidamente e - dopo il sonoro colpo di questa - giurò di aver avvertito delle chiavi tintinnare e chiudere definitivamente la porta.

   Come biasimarla? Commentò studiando l'ambiente.
L'abitazione era piccola, circondata da un minuto praticello ben curato e un bianco steccato rinchiudeva il tutto, proprio come le altre case nei dintorni. L'ambiente era cambiato. Quelle strutture erano più eleganti, fatte con uno stampino tanto erano identiche e precise. Pareva un'innocua costruzione, modesta e pulita.

Non aveva affatto l'aria di nascondere dei segreti, ma - come si ripeté - mai giudicare dalle apparenze. Allo stesso tempo, all'interno di questa, la ragazza andò diretta a distendersi sul suo letto. Adorava la pace creatasi sia nel luogo circostante che nella sua mente: era finalmente tranquilla. Tuttavia sapeva – purtroppo - che quella calma non sarebbe durata a lungo. Consapevole del fatto che con l'arrivo di Alex non ci sarebbe riuscita, si costrinse a dormire seriamente.

Erano appena le due del pomeriggio quando gli occhi le si chiusero, abbandonandola alle braccia di Morfeo e ignorando del tutto l'intruso che si aggirava lentamente fra le stanze. Hereweald era infatti riuscito ad intrufolarsi nell'abitazione passando attraverso una finestra rimasta socchiusa. Si ritrovò in un soggiorno pallido, privo di quel tipico calore famigliare che si era immaginato di trovare in ogni dimora umana.

— Maledizione!

   Imprecò bisbigliando, quando - malauguratamente - inciampò in uno scalino molto basso, rischiando di far rovesciare un vaso pieno di iris poggiato su di una credenza di fronte a sé. Era un corridoio davvero stretto quello. Una volta scampato il pericolo, si guardò meglio attorno. L'abitazione si sviluppava su due livelli: il pian terreno - caratterizzato dal corridoio che lo rendeva claustrofobico - che allungandosi di fronte alla porta principale, conduceva prima - sulla destra - ad un open space e infine a delle scale.

Hereweald restò impressionato. Non si aspettava quella semplicità. Non c'erano segni di alcun tipo, né celestiali né demoniaci. Era semplicemente una casa che sembrava appena scartata, con ogni oggetto posto ordinatamente su scaffali e librerie. Decise quindi di andare al piano superiore e - durante il breve tragitto - venne bombardato da centinaia di fotografie appese alle pareti. Si sorprese di non trovarvi il volto della ragazza tra i numerosi attestati, premi e ricordi. Inoltre si sentì in soggezione sotto gli sguardi poco sorridenti degli sconosciuti, ritratti in quelle istantanee. Era come fuori luogo: non avrebbe mai dovuto trovarsi lì.

Finite le scale si trovò davanti a tre porte, due delle quali grandi e decorate. La più piccola invece - posta in prossimità del bagno - era decadente e cupa, come se fosse destinata alle cianfrusaglie.

Controllò con cautela le prime due, ritrovandosi in una camera matrimoniale e una rosa con un letto a castello: entrambe erano vuote. Si vide dunque costretto a prendere in considerazione l'ultima stanza. Il silenzio irrompeva nelle sue orecchie e il cuore scalpitava nel petto. Sperò che Abby si fosse addormentata. La maniglia era gelida e il legno si scontrava con il pavimento più del dovuto.

Fu difficile, ma Hereweald riuscì ad entrare nella stanza. Questa - com'era ovvio - era molto più piccola delle altre. Una scrivania stava alla destra della porta ed era sormontata da una moltitudine di libri scolastici e non; un banale armadio - dalle ante storte – stava invece poggiato alla parete in fondo e - proprio davanti all'entrata - un letto veniva illuminato dalla luce di un lucernaio.

Dopo aver posato lo sguardo ovunque, il demone si sorprese nel trovar la sconosciuta realmente rapita dal sonno. Lei - distesa sul letto, in una posizione un po' scomoda - abbracciava il suo cuscino. A quella buffa vista trattenne a stento un sorriso. Possibile che avesse penato per una ragazza del genere? Si portò una mano sulla fronte, giocando con i suoi riccioli e sospirando dal sollievo.

Successivamente Hereweald le guardò il viso – privo della montatura - per un tempo indefinito. Era stato rapito dalla semplicità. Cercava di capire cosa ci fosse di diverso da riuscire ad esercitare un tale potere su di lui, ma concluse scorrendo gli occhi sui capelli sparsi sul cuscino. Un bussare improvviso ruppe il silenzio facendolo poi scattare sull'attenti: qualcuno era alla porta.

In contemporanea Alex fece due passi indietro dall'ingresso e volse lo sguardo verso la camera dell'amica. Dopodiché sbarrò gli occhi ritrovandosi lo sguardo di Hereweald al posto di quello di Abegail. Subito il terrore si impossessò di lui portandolo ad accanirsi sul pomello della porta fino a forzarne l'apertura.

Mi ha visto? — si domandò Hereweald. — Com'è possibile che sia successo di nuovo? — era confuso e spaventato al pensiero che in lui qualcosa non andasse. — Devo andarmene da qui!

   Pensò freneticamente mentre il continuo rumore del citofono contribuiva a infastidirlo sempre più. Dove sarebbe potuto andare?

Non appena si voltò - a causa di quel pensiero - perse l'equilibrio cadendo addosso ad Abby che si stava svegliando. Entrambi si pietrificarono e - solo in un secondo momento – Hereweald si preoccupò dell'imminente reazione della giovane. Poco dopo – com'era presumibile – questa cominciò a urlare colta alla sprovvista. Il demone fu rapido: la zittì tappandole la bocca con una mano. Tuttavia ciò non fece che aggravare la situazione. Abegail tremò e calde lacrime minacciarono le sue guance arrossate. Non era nell'intenzione del ragazzo spaventarla, però ogni tentativo che faceva per tranquillizzarla accresceva solo la confusione.

— Non voglio farti del male...

   La supplicò di calmarsi in quella che aveva imparato essere la sua lingua. I loro volti erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. Ormai il suo corpo premeva sopra a quello di Abby. Avrebbe dovuto fermarne le azioni, ma ciò non avvenne.

— Sto impazzendo, non è vero?

   Questa fu l'unica frase che disse la fanciulla, non appena l'altro le liberò le labbra. Era rivolta più a se stessa che alla creatura sopra di lei. Da tempo il citofono aveva smesso di suonare, ma a entrambi poco importò poiché erano occupati a studiarsi reciprocamente. Un suono di passi dal pian terreno andò poi crescendo e arrivò oltre la porta della camera.

I due non fecero in tempo ad allontanarsi che questa si spalancò mostrando per pochi attimi Alex in uno stato furibondo, prima che si scagliasse contro il demone. Altri pochi secondi e i due ragazzi rotolarono sul pavimento bombardandosi di pugni: chi per difendersi, chi per attaccare.

— Smettetela!

   Urlò a quel punto Abegail. Era stata lasciata in disparte ad osservare la scena e - benché si sentisse meglio non più oppressa dallo sconosciuto – le fu impossibile non desiderare che finissero di azzuffarsi. Venne però ignorata. Optò quindi per prendere l'iniziativa e provò a fermare il suo amico, che stava avendo la meglio. Lo afferrò per un braccio, ma questo - troppo preso dalla lotta - la scaraventò con una forza incredibile verso l'altra parte della stanza.

Abby battè la testa contro l'anta dell'armadio e il rumore del colpo rieccheggiò potente nell'ambiente. I due ragazzi la videro lamentarsi e poi accasciarsi a terra priva di sensi.

— Oddio! Abby, svegliati!

   Alex si catapultò subito al suo fianco. Era talmente preoccupato e corroso dai sensi di colpa che non badò più alla presenza Hereweald.

— Stendila sul letto. Non è grave, è solo svenuta.

   Spiegò questo con cautela, alzandosi dolorante dal pavimento. Anche lui era preoccupato, ma non lo voleva far notare. D'altronde che senso aveva? Lui neanche la conosceva.

— Non è grave? Ma stai zitto! — gridò di rimando Alex — È tutta colpa tua se...

   Proseguì, ma fu bruscamente interrotto

— Cosa? — sbraitò l'altro bloccando le ingiuste accuse che gli erano appena state addossate. — Spero che tu stia scherzando! Quello che mi ha aggredito senza motivo sei stato tu!

   Affermò stizzito fulminando con lo sguardo Alex che - nel frattempo - aveva poggiato la fanciulla sul letto.

— La stavo proteggendo.

   Confessò poi, tornando a guardare con sfida l'altra creatura.

— Da cosa?

   Domandò totalmente in confusione Hereweald prima che la risposta gli si materializzasse da sola nella mente: era lui la minaccia.

— Non le avrei fatto del male.

   Dichiarò straordinariamente sincero.

— Certo, io credo ad uno come te. Ma fammi il piacere! — si difese Alex, avendo ormai chiaro cosa fosse quell'essere. — Cosa vuoi da lei?

   Chiese infine schietto, aggrottando le folte sopracciglia. Cosa voleva il demone da quella sconosciuta?
Sicuramente niente di ciò che aveva in mente la controparte. Voleva capire come ella fosse riuscita in qualcosa di apparentemente inconcepibile; voleva sapere se era colpa della sua mancanza di attenzione o se ci fosse sotto qualcosa di più nascosto. Quella ragazza poteva forse essere collegata alla sua storia e dunque cambiarne le sorti?

Tuttavia Abby continuava a non dare alcun segno di volersi svegliare e ciò aumentò la preoccupazione di entrambe le creature. Accanto a lei Alex pregava affinché aprisse gli occhi e - come se avesse voluto accontentarlo - il mondo intorno alla ragazza tornò a essere visibile ai suoi occhi. Abegail – se pur in maniera sfuocata - riusciva a distinguere una figura protesa sopra di lei. In seguito si smarrì nell'estremo blu di due iridi che ben conosceva.

Sfortunatamente però l'espressione preoccupata del giovane non era l'unica presenza nella stanza. Dopo che questo gli si era parato davanti - precedendolo nel soccorrere la ragazza - Hereweald si era riseduto sul pavimento, appoggiandosi contro alla parete di fianco all'entrata. I suoi occhi cercavano quelli di Abby e - quando finalmente la ricerca fu compensata - entrambi si bloccarono imprigionati dallo sguardo dell'altro.

Se per il demone fu un sollievo, per la ragazza invece fu la conferma del suo tormento che - accovacciato a terra - con una mano poggiata sul ginocchio mostrava le nocche piene di graffi. Le mani però non erano l'unica parte del corpo ferita: sul viso vi erano lividi e graffi, l'occhio destro era circondato da un colorito violaceo che si andava a intensificare e il labbro inferiore – spaccato - lasciava scorrere ancora dei residui di sangue, troppo verosimili per un'allucinazione.
Troppo scuri per essere sangue umano.

Lui doveva per forza essere reale, ma - al contempo – qualcosa la cui esistenza era solo un'ideologia.

— Grazie al cielo ti sei ripresa! Ti fa male da qualche parte? — Alex troncò i pensieri dell'amica riempiendola di domande e facendole togliere la concentrazione dal volto del demone. — Come ti senti?

— Un po' scombussolata...

   Ammise la ragazza, portandosi una mano tra i capelli dopo che un'improvvisa fitta le si era diramata dal capo. Il giovane le rispose con un debole sorriso, accarezzando le guance con fare paterno e - solo in quel momento - Abby si accorse che il suo amico non era rimasto illeso. Anch'egli aveva un labbro spaccato e le nocche piene di sangue raffermo. Tornò immediatamente a pensare che tutto ciò fosse solamente un incubo: Alex non avrebbe mai picchiato qualcuno, non ne avrebbe mai avuto né la forza né il bisogno.

— Oddio, Alex.

— Tutto a posto! — la rassicurò prontamente, donandole un altro sorriso. Non era suo quel liquido tra le mani. Dopodiché rivolse la sua attenzione verso Hereweald esortando con: — Adesso te ne devi andare!

   Il suo sguardo era cambiato nuovamente e la voce era diventata autoritaria. Abby faticò ancora una volta a riconoscerlo.

— Solo se lei vuole, siamo a casa sua angioletto. — rispose sfacciato l'altro, ricevendo un'occhiataccia dal diretto interessato di quel nomignolo. — Oh, scusa! — recitò. — Quel soprannome non ti si può più affibbiare, forse è meglio traditore o esiliato?

   Continuò il demone ghignando compiaciuto. Le parole gli uscirono dalla bocca ancor prima che potesse pensarle. Successivamente il silenzio piombò nella stanza. Tensione e perplessità viaggiavano nell'aria insieme alla freddezza della realtà portata alla luce nei meandri della mente di Alex.

— Allora, me ne devo andare o vuoi sapere di più su quello che sta accadendo?

Chiese persuasivo Hereweald richiamando Abegail: aveva fiatato senza alcuna riflessione. Infatti se ne pentì subito.

— Voglio delle risposte...

   Chiarì questa sotto la totale attenzione degli altri due. Temevano quella risposta. Cosa le avrebbero dovuto spiegare se neanche loro sapevano che cosa stesse accadendo? Traballarono qualche attimo incerti, per poi incitare la ragazza a esporre le proprie domande.

— Chi sei? Perché mi hai seguita per tutto il giorno e perché tu Alex, lo hai aggredito? — domandò l'altra, come se non aspettasse altro che liberare i suoi maggiori quesiti — Non ti facevo così...

   Dichiarò tristemente in un sussurro rivolto all'amico.

— Già! Perché mi hai aggredito?

   Hereweald le fece eco con un ghigno malizioso in volto. Sperava di distrarre l'attenzione dalle prime domande, alle quali non avrebbe potuto rispondere tanto facilmente. Si stava comportando come suo padre: sfrontato, acido e calcolatore. Non ne andava per niente fiero. Proprio come aveva supposto la ragazza si voltò verso l'amico. Sgomento e rabbia la invasero tramite lo sguardo di quest'ultimo. Abby credeva di conoscere bene quella persona di cui si fidava ciecamente, ma - a quanto pareva - non era così. Alex teneva per sé delle parti della sua vita, dei segreti che tra di loro non dovevano esistere.

— Alex, voglio sapere cosa mi nascondi.

   Disse autoritaria. Era chiaro che lui non fosse stato sincero quando si trattava di raccontarsi reciprocamente le proprie vite, ma cosa le poteva mai nascondere di così terribile?
Sperò non fosse qualcosa di simile al suo passato. Il ragazzo era in trappola. Sotto gli sguardi attenti dei presenti avrebbe dovuto rivelare qualcosa che - da troppo tempo - celava pure a se stesso.

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