Capitolo III: Primo Incontro
Fidnemid, 2 Giugno.
Sette anni dopo la morte di Helen.
Uno di quei tanti venerdì che sembrano non finire mai aveva da poco assaporato il calore della luce mentre Abegail Knight si dirigeva verso scuola con largo anticipo. Ogni cosa seguiva la sua solita routine. La ragazza era annoiata e ancora un poco addormentata. Scese lungo una strada evitando lo scalpore della folla e avviandosi in direzione della piazza alberata davanti alla sua scuola. Doveva aspettare l'orario di apertura per togliersi da sotto i raggi del sole.
Era cresciuta esteriormente come una normalissima ragazza: poco alta, di corporatura robusta, con lunghi capelli castani e gli occhi marroni chiaro. Da anni si era vista costretta a nascondere lo sguardo dietro a delle spesse lenti che la facevano sentire protetta oltre che renderle nitido il mondo. Esattamente come la mattina precedente - e tutte quelle ancor prima – percorse una seconda strada, parallela alle mura della città. In quel luogo, tra buche e marciapiedi rotti, mentre gli anziani aprivano puntualmente le serrande delle finestre - o si avviavano verso i bar del centro - lei poteva rivivere tutti i suoi trascorsi. Quella era la zona più silenziosa di Fidnemid.
Puntualmente sentì azionarsi un carillon e la sua melodia la tranquillizzò ulteriormente. Pensò poi a queste sue abitudini, a quanto a Fidnemid tutto rimanesse statico. Con le scarpe nere e rovinate calciò dei sassolini tenendo gli occhi fissi sul suolo. I jeans del scuri stringevano le sue cosce risaltando i suoi chili di troppo, al contrario di quello che la grande felpa grigia faceva al busto. In quel suo tragitto, monotono in ogni minimo dettaglio, non si sarebbe mai immaginata che qualcosa di estremamente insolito avrebbe attirato la sua attenzione.
Tuttavia proprio in quella giornata dal cielo terso e l'aria che annunciava l'estate, uno strano scintillio - proveniente da un vicolo della periferia - si riflesse sui suoi occhiali. Abegail si voltò e rimase immobile finché un altro barlume di luce la fece sobbalzare. Si ritrovò in conflitto con tanti timori, ma si avvicinò comunque, sporgendosi per vedere meglio cosa provocasse quei lampi intermittenti.
La curiosità era sempre stata sia sua amica che la sua peggior nemica. Fu così che – seguendo l'istinto - si ritrovò a vedere qualcosa di altamente strano. Dalla poca luce emessa per qualche altro secondo si materializzò un ragazzo.
Questo venne scaraventato violentemente contro la parete screpolata dell'edificio adiacente, spinto da una forza a lei sconosciuta. Dopodiché strisciò a terra, tra avanzi di cibo e cartacce oleose. Si appoggiò poi goffamente ai bidoni dell'immondizia tentando di mettersi in piedi. Era debole, confuso e una serie di immagini alla rinfusa gli percuotevano la mente.
Delle fiamme gigantesche divamparono ovunque.
Urla strazianti riempirono le sue orecchie mentre un incendio risucchiava la sua capanna, rimasta fino ad allora nascosta agli occhi del mondo. Stava andando tutto completamente in fumo.
Il legno della costruzione veniva mangiato avidamente dalle lingue insistenti del fuoco ardente.
Altre scene gli fecero stringere gli occhi e scuotere la testa incredulo nel mentre stramazzava nuovamente al suolo.
Due enormi occhi oscuri lo guardarono con una sadica sfida. Successivamente una voce addolorata e una luce avvolgente lo resero cieco. Prima di andarsene - come il codardo che era - udì una melodia. Poche parole dettate da una voce fin troppo familiare.
— Mi dispiace non aver avuto più tempo.
Un velo di lacrime ricoprì gli occhi pensierosi di Hereweald.
Ancora non si era accorto della ragazza che lo stava guardando, ma bastarono pochi istanti affinchè ciò avvenisse. Gli occhi di Abegail incontrarono quelli lucidi del giovane.
Entrambi furono reciprocamente catturati: lei da delle verdi iridi macchiate da venature dorate - quasi iridescenti - e il ragazzo da una forza strana che lo attirava verso la figura sconosciuta.
Sto sicuramente avendo un'allucinazione. Pensò la fanciulla.
Continuò a guardare quella stramba persona che - subito dopo aver mescolato i loro occhi - si mise in piedi osservandosi attorno spaesato. Quando poi posò nuovamente lo sguardo su di lei, Abegail cercò di essere disinvolta e - combattendo contro i brividi che le percorrevano la schiena - ritornò sui suoi passi, aumentando la velocità e sparendo dalla visuale dello sconosciuto.
Sperava con tutta se stessa che fosse uno scherzo della sua mente. Rifletté sul fatto che sarebbe dovuta tornare dal suo curatore, il Dottor Harvey e - magari – avrebbe dovuto parlargli anche dei suoi recenti incubi. Sospirò esausta raggiungendo in fretta la sua destinazione e leggendo con sollievo il cartello su cui spiccava la scritta Piazza dell'unione.
Nonostante fosse tornata fra la gente, aveva sempre paura di essere seguita da qualunque cosa avesse visto. Si lasciò cadere su di una panchina, ma non prima di essersi guardata bene alle spalle. Soltanto in seguito tentò di rielaborare ciò che era appena accaduto: non era possibile che le persone apparissero dal nulla. Si distese quindi meglio, con molta svogliatezza. Finì con la testa penzoloni e la schiena premuta sullo schienale in ferro. Rivolse lo sguardo al cielo, in parte nascosto dalle ramificazioni leggermente fiorite degli alberi circostanti. Infine un sonoro sbuffo prese poi vita dalle sue labbra.
— Buongiorno, Abby!
Una voce la distrasse dal suo malessere, richiamandola alla sua destra. Una ragazza dai capelli biondi e occhi neri come la pece, contornati da del trucco eccessivo stava camminando a passo svelto mentre con una mano faceva roteare minacciosa la sua pesante tracolla grigia e con l'altra salutava radiosa l'amica. Aveva il tipico portamento di ogni Laurent di Fidnemid.
— Buongiorno, Nathalie.
Ricambiò l'altra cercando - inutilmente - di nascondere il suo costante disagio. Il profumo eccessivo della ragazza le invase le narici, un miscuglio tra rosa canina e camomilla.
— Che succede?
Chiese poi allarmata, spegnendo il suo usuale sorriso e spalancando lo sguardo. Riconosceva quando Abegail era in difficoltà.
Accidenti! Si lasciò sfuggire mentalmente l'altra. Lei sapeva benissimo di non riuscire a nascondere le sue emozioni. Nonostante le sue disgrazie l'avessero temprata, non erano state abbastanza: non aveva mai imparato a disconnettere le emozioni dal corpo.
Sbattè rapidamente le palpebre, irritandosi di più quando le folte e lunghe ciglia colpirono le lenti degli occhiali, facendoli sobbalzare quel poco da dar fastidio. Si sforzò dunque di formulare una scusante abbastanza convincente.
— Niente, sono ancora addormentata. Sai, ormai siamo agli sgoccioli...
Mentì afferrando il suo zaino malconcio che pochi minuti prima era stato lanciato a terra senza alcuna preoccupazione. Poi si alzò dirigendosi frettolosamente verso l'edificio scolastico. Il colore bianco sporco di questo, insieme alla recinzione in ferro battuto e le verdi tende sgualcite poste alle finestre, conferiva alla struttura un aspetto simile ad un ospedale psichiatrico.
Un tocco di classe in più per questa splendida città. Commentò la ragazza con una punta di acidità. Non le era mai piaciuta Fidnemid. Era una città fantasma, deprimente e piena di storie raggelanti che si tramandavano nelle famiglie. Storie che non avevano un posto concreto nella realtà, nonostante sembrassero avere fondamenta ben radicate nella cultura che le insegnavano a scuola.
Nessun abitante conosceva qualcosa al di fuori del bosco maledetto, anzi, nessuno si permetteva di uscire dalle mura. Il loro mondo cominciava e finiva là dentro; in un ammasso di edifici e polvere. L'ignoranza e l'indifferenza facevano da collante in quel quadro annerito dall'oscurità.
Altri ragazzi e bambini - frequentanti l'istituto Plant Anoon – si riversarono sulle gradinate pronti a entrare nell'edificio. Schiamazzi, risate, pettegolezzi riempirono in un batter d'occhio la piazza, disturbando il silenzio durato tutta la notte. Infine un'operatrice scolastica aprì le porte e si mise a urlare, costringendo anche Nathalie a seguire l'esempio dell'amica. Le due si salutarono un'ultima volta, disperdendosi poi tra la folla apatica che sognava già la fine di quella giornata.
Intanto nel vicolo della vicina periferia Hereweald era rimasto immobile - come impietrito - nel luogo in cui era apparso pochi minuti prima. Non si capacitava di come una ragazzina fosse riuscita a vederlo. Era certo di essere capace di padroneggiare i suoi poteri. Riusciva a nascondersi agli innumerevoli demoni mandati da suo padre, gli stessi infuriavano sul pianeta ancora alla sua ricerca. Per lui era inconcepibile che una comune umana lo avesse visto, potendo così mandare in fumo ogni sforzo fatto negli ultimi dieci anni insieme a...
...Sarah. Quel nome gli scivolò nella mente così facilmente che il pensiero degli ultimi avvenimenti gli suonò stonato. Ripensò tristemente alla donna che aveva incontrato il giorno della sua fuga dall'Inferno, ben undici anni prima. Aveva compreso cosa volesse dire la parola affetto e a lei lo aveva donato. Per lui Sarah era quello che gli umani chiamavano famiglia.
Benché il tempo trascorso insieme fosse stato tanto, conosceva ben poche cose dell'anziana. Sapeva che era nata per prestargli soccorso, ma quella spiegazione non era mai stata abbastanza per lui. Hereweald si costrinse a ricordarla quando lo chiamava principe e quando nei suoi occhi espressivi sembrava accendersi ancora più luce.
Improvvisamente un pensiero importante - quanto scontato - fluì tra i suoi ricordi. Se solo quella sciocca ragazza avesse osato accennare qualcosa di ciò che aveva visto, avrebbe attirato a sé demoni e ombre. Loro non avrebbero usato delle maniere dolci per ottenere le informazioni bramate da tempo.
Dannata ragazzina! Imprecò contro la sconosciuta. Lo aveva sorpreso in uno dei suoi attimi più deboli e sarebbe stata la chiave della sua disfatta. La odiava di già, ma non poteva permettere che si facesse del male a causa sua. Non voleva che un'altra innocente sparisse perché lui non era stato abbastanza attento.
Perché non era riuscito a proteggerla da ciò che aveva cominciato: una continua e disperata ricerca, la sua.
— Dannazione!
Disse un'ultima volta prima di raggiungere la ragazza, i cui occhi erano divenuti un chiodo fisso per sua mente.
Utilizzò il velo, la capacità delle creature sovrannaturali di rendersi invisibile ad occhi umani e si portò con cautela dietro la fanciulla. Ogni cosa che sapeva gli era stata insegnata da Sarah.
Seguì Abegail fino ad una piazza dove - a debita distanza - vide chiaramente la sua preoccupazione. Si trovò un attimo fuori luogo non capendo dove fosse finito. Sembrava un mondo diverso da quello a cui aveva fatto l'abitudine.
Attraversando la strada si sbrigò per tornare il più vicino possibile alla giovane. Successivamente dovette inserirsi nella corrente di ragazzi e bambini fin dentro una struttura smorta. Tra corridoi e piani, giunse in una piccola aula dove rivide l'umana.
Hereweald stette nuovamente cauto e si posizionò in un angolo della stanza, lontano dal resto del gruppo classe. Nel mentre studiava il comportamento della ragazza – inconsciamente – sentiva di star perdendo la ragione del suo. Continuava a maledirsi, non capendo perché quel volto sconosciuto lo tormentasse a tal punto da sentirsi obbligato a doversi preoccupare.
Era una sorta di magia, o forse una stregoneria? Aveva un'aura magnetica.
I suoi sensi andarono in confusione. Riusciva a pensare solo a quella minuta figura che – sola - trascorreva la propria giornata ignara del guaio in cui si era cacciata. Hereweald notò come questa non fosse molto loquace; sembrava aver un mondo a sua completa disposizione, fuori da quel posto. Tuttavia non si faceva mai cogliere distratta.
Hereweald osservava Abegail di spalle. I capelli leggermente ondulati sulle punte si muovevano delicatamente ad ogni movenza della mano destra. Una linea dopo l'altra lei creava un qualcosa a lui inaccessibile. Il demone tentò in ogni modo di sbirciare, ma era impossibile vedere più di qualche sagoma confusa.
— Che patetica!
All'improvviso scattò in direzione della voce stridula appena udita.
La odio! Si fece poi largo un pensiero, non molto distante.
Sta sempre nel suo mondo!
Ma che cazzate disegna! La testa del demone stava per esplodere.
— Guardate un po', la cocca dei prof. Che scema!
Rinchiuso in quella angusta aula, Hereweald dovette sforzarsi notevolmente per non perdere il controllo a causa di quei pettegolezzi che - spesso e volentieri - partivano dal fondo della classe facendosi sentire fin ai primi banchi. Là dove la diretta interessata incassava i colpi rabbrividendo silenziosamente.
— Se trovi i loro comportamenti squallidi e privi di alcun morale non permetterti di cadere ai loro livelli. Gli rammentò la voce pacata di Sarah nel preciso istante in cui era sulla soglia della sopportazione.
Era un ricordo a lui molto caro e aveva ragione, come sempre d'altronde. Quell'odio rivolto ai superbi doveva essere contenuto e giostrato in maniera tale da non trasformarsi nelle anime uniformate e piene di principi perfidi.
Il solo pensiero che lui fosse nato per istigare e incitare quelle persone, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Le nocche gli erano divenute bianche dalla forza con cui serrava i pugni, cercando di trattenere i muscoli di fronte a quella situazione. Tuttavia gli insulti continuarono imperterriti e - mentre lui stava per cedere alla sua rabbia - fu catturato da una cosa insolita.
La sua mente scavava in profondità quelle degli altri, ma non in quella di Abegail. Vi percepiva un muro; c'era silenzio più totale, una mente occultata. Com'era possibile?
Le ore passarono tra i monologhi dei professori, i racconti insensati di quella città e il caldo che andava sempre più ad aumentare. Infine la solita signora - che aveva invitato gli studenti ad entrare – passò per i corridoi annunciando la fine della mattinata. Ognuno fu riscosso dalle proprie occupazioni, specialmente Hereweald la cui fronte era inumidita dal sudore. Decise di sfruttare la confusione creatasi per serrare gli occhi in una morsa di dolore: era esausto. Aveva utilizzato le sue energie per scavare nella mente di Abegail, senza alcun successo. Tuttavia quando li riaprì la sconosciuta era già sparita tra la calca.
— Merda!
Grugnì debole prima di immergersi nei corridoi per tentare di recuperare - almeno di vista - quella ragazza.
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