Capitolo I: Fuga
Inferno.
Un'eternità sembrava separare Lucifer da quei caldi sorrisi celestiali. Preferiva non accettare il fatto che fossero trascorsi anni da quel fatidico evento. Era terribilmente in conflitto con se stesso. Secondo l'orologio umano ne erano passati ben cinque e non sapeva se dovesse considerarli troppi oppure pochi.
Eppure – pensò - ne ho ricavato profitto.
Ed era vero. Nessun angelo era più stato mandato per sorvegliare i suoi progetti, ma il risultato non avrebbe subito modifiche. Lucifer non si sarebbe mai perdonato. Non era riuscito a salvare Edith e ancora si tormentava inutilmente, sperando che la sua anima - in qualche modo - fosse riuscita a scappare dall'ingiusta sentenza della totale distruzione.
Perché lui sapeva che non esisteva una seconda chance per loro. Era difficile uccidere un immortale, ma - se mai fosse avvenuto - sarebbe stato definitivo. Come una stella che esplode e scompare per sempre, spegnendosi. Tuttavia confidava che lei stesse viaggiando per il cosmo come tutte quelle anime che - prima o poi - sarebbero tornate a casa, in un'altra vita.
— Padre, possiamo giocare?
Succedeva spesso che una voce infantile lo riscuotesse dai propri pensieri. Lucifer abbassò il capo sconsolato, richiamato nell'idioma del suo regno. I suoi occhi passarono in rassegna le gradinate che conducevano al trono su cui sedeva per poi scontrarsi con una piccola figura, fin troppo simile all'angelo dei suoi tormenti. I capelli riccioluti erano più che castani e ricadevano attorno ad un viso per niente demoniaco.
Lo sguardo di questo era un ulteriore supplizio. Magnetico come quello della madre. Nonostante Lucifer addossasse la colpa di quanto accaduto al bambino non aveva trovato il coraggio di sbarazzarsene: persino lui aveva dei limiti. Il piccolo se ne stava seduto ai piedi del sovrano pensoso. Teneva in mano una pallina di fuliggine, lasciando sporco ovunque e - con un sorriso innocente stampato sulle labbra sottili - attendeva la risposta del genitore.
In quello stesso istante gli occhi dell'Oscuro presero a vorticare, mischiando il buio con un oro quasi incandescente. Era un chiaro segnale del forte nervosismo che stava crescendo nel suo corpo. Non era capace di controllarlo e veniva quindi scagliato fuori con comportamenti bruschi, spesso privi di senso.
— Figliolo, per caso ti sembro uno che gioca!
Esplose Lucifer alzandosi di scatto dal suo seggio per poi spalancare le braccia e indicare la sala circostante. Questa incuteva di per sé molto timore. Era scolpita nella roccia e gli unici punti luminosi erano in prossimità delle torce appese ai muri. Inoltre un perenne odore di zolfo contribuiva a creare un'atmosfera luttuosa.
— Ho altro di cui preoccuparmi! Il mio primo pensiero non è di certo un bambino fastidioso che non vuole crescere, quindi perché non vai in camera tua a renderti presentabile, — alluse alla camicia bianca, decorata da numerose chiazze di cenere. — per poi andare a studiare qualunque cosa tu voglia in biblioteca?
Propose infine sforzandosi di sorridere.
L'altro annuì debolmente, intenzionato a seguire quelli che - più che dei consigli - erano degli ordini ai quali già sapeva di non potersi sottrarre. Uscì dunque dalla grande sala principale. La sua mente curiosa lo indusse a chiedersi come mai ci fossero solo lui e suo padre in quella dimora, benchè al di fuori delle mura fosse gremito di rumori e voci, alle volte persino assordanti.
Si sentiva abbandonato e per un bambino l'impedimento al gioco o a qualsiasi altro sfogo era una tortura. Oltre all'essere messo perennemente in ombra. Quante futili domande si formarono nei suoi pensieri? Inutili sul nascere dato che nessuno aveva la minima intenzione di aiutarlo a trovare le risposte. Inutili come le ali che sentiva alle sue spalle. Quella parte del suo corpo così strana che poteva solo vederla riflessa nello specchio, quasi fosse un'illusione.
Hereweald - figlio dell'Angelo Ribelle - crebbe tra i segreti, in un isolamento impostogli brutalmente con solo dei libri a fargli compagnia e tanti dubbi che lo resero assetato di conoscenza.
Passarono molti altri anni.
I decenni divennero poi secoli e mentre il giovane demone assaporava la sua immortalità con un aspetto statico, nelle terre infernali le creature si preparavano ad una terrificante scissione. Hereweald non era più un bambino e il segreto del padre non era più al sicuro. La chioma castana del principe era cresciuta e diventata ingestibile. Ad ogni movimento ricadeva voluminosa sul volto squadrato che continuava a presentare pochi tratti da adulto.
Gli occhi erano rimasti pieni di speranza – come quelli di un bambino - e la sua coscienza aveva elaborato ciò che sembrava fosse divenuto il suo mantra: "se mai avessi potuto decidere, non sarei mai nato sotto forma di demone." Purtroppo però nessuno sceglie le caratteristiche della propria venuta al mondo.
Lui pensava agli Inferi come una prigione, una restrizione di ciò che sarebbe potuto essere. Desolazione, disperazione, dolori e pianti avevano straziato il suo cuore. Non gli importava più di essere notato dal padre: quella non era la sua natura. Hereweald voleva cambiare la sua vita. Voleva scoprire cosa ci fosse al di fuori di quel mondo che sapeva solo di putrefazione e tristezza. Aveva ripugnato la sua essenza celando le sue ali. Le odiava.
— Sai, se solo potessi, morirei dal ridere, figliolo!
Furono queste le uniche parole che Lucifer si concesse di pronunciare di fronte alla vana confessione del figlio.
Convincere il sovrano era oltremodo impossibile. Hereweald però doveva continuare a tentare al fine di colmare il vuoto cresciuto dentro di lui. Doveva sapere. Non fare niente sarebbe stato classificato come un suicidio. Un lento disfacimento prolungato nell'eternità.
— Padre, sono stufo! Voglio essere libero di decidere della mia vita!
Urlò quindi esausto in direzione del genitore. Quell'insolenza non fu messa in secondo piano. Lucifer si rabbuiò nel volto facendo scorgere la sua rabbia tramite uno sguardo annebbiato dall'oro.
Al solo pensiero di aver esagerato - sbraitando contro colui che rimaneva pur sempre l'indiscusso sovrano dell'oltretomba – un certo timore cominciò a viaggiare nel corpo del giovane.
— Spiegami, — esortò Lucifer con un sorriso beffardo a solcargli il viso. — vorresti sprecare la tua eternità, per non parlare dei poteri che ti sono stati donati, per cosa? Vivere tra gli umani?
Concluse utilizzando un tono autoritario e guardando il figlio con fare superiore.
— Proprio perché sono eterno come te non voglio rimanere in un solo posto per sempre.
Sussurrò di rimando l'altro. Fortunatamente non venne considerato.
Nella mente del ragazzo si davano guerra emozioni contrastanti: tristezza, rabbia, entusiasmo e paura. Non riusciva a capire in che modo quell'essere dovesse tarpargli le ali, e non quelle concrete. Se era lui quello sbagliato, perché non se ne sbarazzava?
Hereweald sospirò e chiuse gli occhi riflettendo. Aveva lasciato correre troppo a lungo. Finalmente una determinazione prorompente gonfiò il suo petto. Decise di farsi valere. Represse alcuni brividi e - una volta che lo sguardo di Lucifer non lo intimidì più - inspirò profondamente come se tale azione potesse infondergli coraggio.
— Allora, padre, — enunciò puntando lo sguardo in quello del genitore. — spiegatemi voi invece com'è possibile che ogni creatura di questo mondo possa viaggiare, uscire ed entrare da qua liberamente, spargendo caos sulla Terra. Loro raccolgono anime per chissà quale mostruosità mentre io sono un prigioniero! Sono vostro figlio, dovrei avere le libertà che un principe richiede. — si bloccò cercando di recuperare un po' di calma e per ricacciare le sue facili lacrime perché - sapeva - lo avrebbero fatto passare per debole. — È una vita che ascolto e obbedisco. In questo mondo sembra che io non esista! Non mi sembra di chiedere molto... Vorrei delle spiegazioni, le risposte che non si trovano su quei maledetti libri!
Pretendo forse troppo?
Chiese infine con tono pacato.
Lucifer sbuffò trovando in parte ragionevoli le osservazioni del figlio.
Tuttavia non lo avrebbe mai lasciato andare; non avrebbe abbandonato anche lui.
Aveva promesso di proteggerlo, lo aveva fatto di fronte alle ceneri di Edith, l'attimo prima di annunciare agli angeli la morte di quell'abominio che teneva fra le braccia. Lo stesso che doveva tenere nascosto, rimandando il futuro che - presumeva - fosse inevitabile. Si alzò dallo sfarzoso trono per avvicinarsi a Hereweald, il quale stava aspettando impaziente una sua risposta.
I due continuarono a fissarsi negli occhi, anche una volta vicini.
Gli sguardi erano ormai divenuti un miscuglio di verde, nero e oro.
Tra loro infuriava la sfida.
— Non ho niente da spiegarti né da raccontarti. — riprese Lucifer, mentendo spudoratamente. — Sono secoli che chiedi le stesse cose e io, come uno stupido, sono costretto a risponderti nella stessa, identica maniera. Non sei stufo?
In realtà – sapeva – che era lui quello stanco di rimuginare sul passato; il solito che riemergeva potentemente dopo ogni lite del genere. A volte pensava quanto gli mancasse il bambino che insisteva solo nel fare qualche sciocco gioco assieme. Gli mancavano quei comportamenti inusuali per una creatura demoniaca, sempre in cerca di affetto. Un affetto che lui non poteva donargli.
— No, padre. Semplicemente sono sicuro che voi mi stiate mentendo, anzi sono più che certo che mi nascondiate qualcosa. Però sappiatelo: alla fine, che lo vogliate o meno, scoprirò di cosa si tratti.
Gli rispose sicuro mentre continuava a fissarlo con rabbia.
Davvero, che fine aveva fatto il fanciullo indifeso e insicuro che si ritrovava a balbettare un - scusate padre - dopo una richiesta infantile? Possibile che Lucifer si fosse perso tanto?
— Bene, presumo che tu non voglia portare sventurati tra le fiamme.
Quindi mi chiedo cosa mai vorresti cercare nel mondo degli umani! Cosa pensi di poter provare di così diverso da qui? — chiese socchiudendo le palpebre e massaggiandosi le tempie. — Vorresti avere degli amici? — rise. — Vorresti forse innamorarti?
Ringhiò furioso perdendo il controllo dei suoi stessi ricordi. Aveva scambiato i suoi tormenti con i desideri del figlio.
Dall'altra parte invece, Hereweald non si scompose. Le reazioni del padre erano simili ad uno sfogo, sapeva che quel discorso - inspiegabilmente - corrodeva da sempre suo padre.
Ciò quella volta lo spronò a osare e a chiedere più di quanto potesse.
— Vorrei trovare qualche informazione su chi sia stata mia madre, sono sicuro che nella storia degli umani ci siano delle tracce. — il suo sguardo era terribilmente serio. — Sapete che vi è vietato avere figli... Eppure, io sono qua.
Rispose con una voce senza emozioni, quasi come se quella frase fosse un'azione meccanica. Tuttavia l'inespressività che voleva indossare venne tradita dai suoi occhi, colmi di mille sfumature di rabbia, dolore e incertezza.
— Impossibile! — sbraitò l'Ade facendo tremare l'intera sala che - a causa del suo improvviso sbalzo d'umore - si accese di rosso mentre spifferi di zolfo trapelarono da piccole crepe sparse un po ovunque. — Adesso basta! Abbiamo concluso, esci da qui.
Congedò bruscamente il giovane, non volendo più ascoltarlo e lo obbligò - come da bambino - a rinchiudersi nella sua stanza, celata in un angolo remoto del palazzo.
Poche ore più tardi Hereweald stava seduto sul bordo del suo letto nero, con la testa poggiata fra le mani e lo sguardo fisso sulla parete di fronte a sé, piena di crepe e buchi. Delle tracce di sangue secco macchiavano le pietre di quel muro ricordandogli i suoi passati sfoghi. Se ne stava fermo in quella posizione da un tempo a lui indefinito. La mente era concentrata nell'articolazione di un qualche tipo di piano. Doveva farla pagare a Lucifer e - soprattutto - doveva scappare da quel carcere. Tuttavia come poteva riuscire nella sua impresa senza farsi sconfiggere?
Uno scatto involontario lo colse alla sprovvista. Parve che da un momento all'altro si fosse risvegliato, convinto di dover tentare il tutto per tutto. Nessun ripensamento. Successivamente lasciò il suo giaciglio per prendere una sacca di pelle di una qualche creatura, seppellita nel suo armadio dalle decorazioni sporgenti. La riempì con i primi abiti che gli capitarono sotto mano.
Neanche lui sapeva cosa gli servisse. Infine senza troppi scrupoli si calò velocemente dalla finestra della sua stanza, appena grande da concedergli di far passare le sue ali una alla volta. Scese poi scivolando malamente e tenendosi in equilibrio con le numerose piume. Il vento arido gli sferzò il volto. Riuscì comunque ad atterrare agilmente fra delle rocce. Aveva finito di chiedere il permesso a chi non lo ascoltava.
A causa della sua scarsa esperienza dovette usare la maniera più barbara per abbandonare quella dimensione, ovvero passare da uno dei portali utilizzati liberamente dagli altri demoni. L'adrenalina in corpo lo rese incapace di ragionare.
Pensò che sarebbe stato un gioco da ragazzi. Nonostante ciò non poté reprimere l'ansia che prendeva possesso del suo corpo ad ogni metro lasciato indietro. Avvertiva alle sue spalle un vasto numero di creature di ogni tipo, mandate prontamente dal padre per bloccare la sua pazzia. Il terrore ardeva nelle sue vene e la situazione non sembrava affatto migliorare. Raggiunta quella che - dedusse - fosse la sua meta, Hereweald vide lunghe file confusionarie di mostri tentatori e altri angeli caduti che attendevano il loro turno spintonandosi e grugnendo.
Era inorridito, ma non poteva demordere. Fece un respiro profondo e si gettò come un fulmine fra quei demoni, facendosi spazio tra artigli, proteste e insulti molto creativi. La sua statura ristretta - in confronto a quella dei giganteschi mostri che lo circondavano - lo aiutò molto, ma non gli impedì di rimanere illeso. Artigli, squame e spade lo graffiarono in vari punti. Strapparono le sue vesti e le maniche della camicia elegante si macchiarono di sangue, un liquido denso e scuro.
Tuttavia riuscì nella sua impresa.
Si posizionò al centro di un cerchio composto da rocce splendenti sulle quali erano incise scritte in un'antica lingua. Queste risaltavano per il ricco color oro e a lui bastò un attimo: guardò sopra di sé, stupendosi nel vedere nubi scure in movimento al posto di un soffitto roccioso. Seguì poi un impulso naturale. Spiegò le sue enormi ali nere, liberandole e prendendo il volo sotto gli sguardi infuriati dei demoni e le numerose lamentele che continuavano ad alzarsi. Qualche boato lo accolse fra le polveri cineree e subito dopo sparì, appena in tempo per non essere catturato dai seguaci di chi lo voleva tra le sue grinfie.
Era fatta; non poteva più tornare indietro.
Se lo avesse fatto, sicuramente sarebbe andato incontro a una punizione esemplare. Poteva però dirsi libero? Qualcosa simile a una forte raffica di vento lo colpì improvvisamente, deviando la sua traiettoria nel tunnel oscuro del portale. Subito dopo l'aria solforosa fuoriuscì dai suoi polmoni sostituendosi con una gelida, nonché molto più pulita. La sua caduta fu attutita da una coperta fresca e umida. Il suo naso sfiorò gli steli freschi dell'erba che ricoprivano il suolo e un silenzio assordante gli bombardava le orecchie. Non era abituato a un simile ambiente.
— Ti stavo aspettando, principe Hereweald.
Neanche il tempo di abituarsi che una voce lo sorprese alle spalle. Parlava una lingua meno rude da quella che conosceva
Il giovane aprì di colpo gli occhi voltandosi in direzione del richiamo mentre ancora boccheggiava.
— Chi sei?
Riuscì infine a chiedere assottigliando lo sguardo verso la figura sfuocata tra la fitta nebbia del luogo. Non aveva dato importanza all'ambiente notturno.
— Mi chiamo Sarah. Ho sognato il tuo arrivo molte lune fa, principe.
Disse la figura avvicinandosi mentre lui rimaneva ancora confuso. Sarah aveva compreso la lingua dei demoni? Lei si mostrò poco dopo. Era una donna anziana con indosso una veste dai colori scombinati. Lunghi capelli argentati raccolti in numerose trecce le ricadevano sulle spalle, decorati da delle pietre azzurre. Tuttavia non fu questo a incuriosire Hereweald bensì il colore degli occhi: erano di un bianco splendente, ma non sembravano affatto ciechi.
— Sei una veggente?
Domandò timoroso ricevendo solo un cenno del capo dall'anziana, la quale lo invitava a seguirlo nel buio della foresta alle sue spalle, lontano dal trambusto che – invece – sentiva dietro di lui. Lo sguardo del giovane alternò varie volte tra la donna e gli alberi silenziosi.
Cadde oltre le sue ali, dove le luci di una città tremavano sotto la leggera nebbia. Allora si riscosse. La sua essenza era libera, ma quella donna non aveva subito alcuna ripercussione. La guardò stranito decidendo di alzarsi dal terreno umido e seguirla incerto. Per qualche strana ragione lei diceva di aspettarlo da tempo. Lo conosceva?
Avrebbe dovuto scoprirlo al più presto.
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