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19. Grandi delusioni


Le delusioni aprono gli occhi e chiudono il cuore.

(Anonimo)

***

-Scusami... dopo quello che mi è successo, sono molto influenzabile. -dissi seriamente dispiaciuta.

-Era una voce maschile quella che hai sentito?

-Non lo so per certo. Parlava sottovoce... Mi spiace aver dubitato di te.

-Vieni qua... abbracciami adesso e non pensarci più.

Mi circondò con il braccio e la mia guancia si posò a lui sentendone tutto il calore.

Fissai nuovamente il suo pollice.

-Questa? -disse prevedendo i miei pensieri. -Ho aperto una scatoletta a Molly e mi sono tagliato.

-Già...! Molly! Come sta?

-Bene, credo. Non me ne intendo di gatti ma è tranquilla e perciò...

-Cosa volevi dire prima con quelle parole che mi hai sussurrato all'orecchio? -lo interruppi cambiando discorso. Non ero mai stata affezionata a quella gatta, anzi i gatti non mi piacevano affatto, inoltre preferivo chiarire quello che era successo poco prima nell'ascensore.

-Niente. Significa quello che ho detto...

-Che risposta è questa?!

-Karin... io ci tengo molto a te ma...

-Il nostro è solo un rapporto di amicizia e bla bla bla...! -lo canzonai esasperata.

Gli sfuggì una risata.

-Mi hai fatto il verso... -tentò di farmi notare. Non lo ascoltai. Continuando a sorridere mi venne vicino.

Prese le mie mani e tenne la testa bassa, giocherellando con le mie dita.

-Sai Karin ricordo tutto di quella sera...

Capii che si riferiva a quando mentre era steso sul mio letto mi aveva detto quella famosa frase che mi era rimasta impressa.

-Ricordo anche quello che stavi per fare ma poi non hai avuto il coraggio.

-Non è vero che non avevo coraggio! È solo che... non te ne saresti nemmeno accorto ed io non volevo che una cosa così importante non avesse il giusto peso... capisci cosa intendo?

-Ma non l'avrei scordato. Come vedi, ricordo ogni cosa.

-Sì... ma non mi andava di rischiare...

-Karin, vuoi che ti dica quello che provo per te?

-Non lo so... adesso non ne sono più tanto convinta.

-Perché...?

-Perché... non lo so il perché! Sono stanca di sentire la stessa storia. Non posso, non sono quello che credi... siamo amici...! Accampi solo un sacco di scuse! Dillo che non ti piaccio. Me ne faccio una ragione almeno... tutto questo tira e molla mi fa dannare! -non ero più io. L'aggressione mi aveva sicuramente fatto perdere qualche rotellina. Non riuscivo a trattenermi in alcun modo, visto che in passato non sarei mai riuscita a tirar fuori tutte quelle cose trattenute fino a quel momento.

-Ma tu mi piaci!

-Sì certo... adesso te ne uscirai con un "ma sei la mia migliore amica, capisci? Ti farei solo soffrire...!" Lo capisco bene! Credimi, lo capisco bene! Non sprecare nemmeno il fiato.

-Karin...

-No Nat, lascia stare! Puoi avere tutte le ragazze che vuoi e mi sta bene... non farti problemi con me... io sarò sempre la tua amichetta... resterò per sempre nelle friedzone... mi ci sono abituata ormai!

-Karin! -esclamò. -Ma vuoi stare zitta un attimo!?

Non feci in tempo a replicare che mi prese il viso tra le sue calde mani e mi ammutolì posando le sue labbra sulle mie.

Sorprendendo pure me stessa, indietreggiai sgranando gli occhi. La mano mi partì da sola in un sonoro ceffone dritto sulla sua guancia. Quel gesto mi aveva fatto andare su tutte le furie, forse perché mi aspettavo prima che chiarisse cosa provasse per me.
"Maschi!", pensai. "Pensano sempre di potersi prendere tutto ciò che vogliono... e senza chiedere...!"

La sua espressione era perplessa ma non arrabbiata.

-Non... non so spiegartelo questo. -dissi anch'io scioccata.

Si grattò la testa inarcando le sopracciglia. Andò poi a sedersi sul letto.

-Nathan... -e restai senza voce. Lui pure. Nel silenzio assordante si udivano solo i nostri respiri affannati.

-Io non mi sono presa un diritto che non mi spettava...! Non avresti dovuto farlo nemmeno tu. -continuai con le braccia conserte.

-A questo punto non capisco più niente. -fece lui ancora sbigottito.

-A questo punto neanche io...

-Ok... devo chiarire alcune cose con te. Te lo devo!

-Bene.

La sera tornammo insieme al palazzo Palme. Non era facile per me essere di nuovo lì dove avevo rischiato di perdere la vita e dove l'aveva persa mia madre.

Nathan però era più agitato di me. Lo notai per tutto il tragitto mentre picchiettava le dita tamburellando sullo sterzo. Eravamo di fronte alla serratura e pareva non essere nemmeno in grado di infilarci la chiave.

-Vuoi che faccia io? -gli andai in soccorso.

-No, no... fatto. -sentii lo scatto ma esitò ad aprire.

Respirò profondamente.

-Ci siamo. -espulse tutta l'aria che per un attimo aveva trattenuto.

La porta si aprì e percependo tutta l'ansia che sprigionava quel ragazzo, temetti che il suo segreto fosse nascondere un cadavere lì dentro!

Attesi per capire il motivo della tensione che solcava il suo viso. Lui irrigidito richiuse la porta dopo avermi fatto entrare. Era la prima volta che mi permetteva di vedere il suo appartamento e in realtà mi parve una normalissima casa. Pulita e sistemata. Non comprendevo ancora la reazione sconvolta di Nathan.

-Vuoi qualcosa...? -sussurrò con voce quasi impercettibile, sfilandosi la giacca di pelle nera. L'appoggiò sulla spalliera della sedia. Non ebbe il coraggio di guardarmi negli occhi.

-Nat. Voglio solo che tu mi parli, punto. -come facevo ad essere così diretta non lo sapevo nemmeno io.

-Vieni... -mi tese la mano e me la strinse. Mi portò verso le stanze. La divisione dell'appartamento era come il mio essendo dallo stesso lato del palazzo, il sinistro. Aprì la prima porta, quella dove a casa mia c'era la camera da letto di mia madre.

-Oh mio Dio! -non mi trattenni portandomi le mani a coprire la bocca. Non credevo a quello che i miei occhi stavano guardando. -Anche... anche tu...?!

-Sì... -pronunciò a labbra strette.

-Ma sono pochi mesi che vivi qui... Come hai fatto a...

-Tutto è cominciato come una collezione. E poi...

La stanza non era solo piena di roba di ogni genere ma strapiena! Mancava poco che toccasse il soffitto.

-Ora capisci? -disse riprendendo il controllo.

-No. -scossi la testa stringendo i pugni. -Non capisco perché tu non me lo abbia detto. Decantavi in ogni momento la nostra amicizia e poi mi nascondevi il fatto che hai un...

-Un problema?! Sì. L'ho nascosto! Sono anch'io un accumulatore! Sono anch'io malato come quella pazza di Margerette! E allora? Avrei dovuto sbandierarlo ai quattro venti?! -si sfogò.

-No, sbandierarlo no! Avresti dovuto confidarti con me visto che sono tua amica!

-Non ci sono riuscito! Puoi farmene una colpa?!

-Sì! Non capisci, Nat? Questo, tutto questo... -indicai l'imponente accumulo. -...ti ha tenuto lontano da me...! Ti ha fatto vivere nella solitudine.

-Non volevo che soffrissi. Ho visto con i miei occhi a cosa ha portato la malattia di mia madre. E soprattutto che dolore provochi alle persone vicine.

-Nathan... è una malattia... e come tale si può curare... Se ti lasci aiutare da...

-Ma io non voglio essere aiutato.

-Come? No?

-Io sto bene così. Ecco perché ho cercato di tenerti lontana. Io non potrei mai separarmi da tutte queste chitarre, come pure da tutto il resto.

Sentii un muro che si stava gradualmente alzando tra noi. Vedere in quel momento che Nathan aveva più attaccamento per quella montagna che per me, mi ferì nel profondo.

-Voglio tornare a casa! -dissi e corsi verso l'uscita. Lui prontamente mi seguii afferrandomi e tenendomi stretta per le spalle. -Che fai?! -esclamai sull'orlo di una crisi di nervi. -Lasciami! Levami le mani di dosso!

-Karin aspetta solo un secondo. Ok, ti lascio, ma tu non andare via.

-Non posso. No ce la faccio.

-Ho sbagliato a dirti tutto.

-Hai fatto bene invece... almeno so chi sei veramente.

-E chi sono?

-Un egoista. E un malato che non vuole farsi curare. Inoltre, so cosa non sei! Non sei mio amico...

A quella frase Nathan lasciò scivolare giù le sue mani, liberandomi dalla stretta. Qualcosa si era rotto tra noi. Sentivo che era tutto finito. Qualsiasi rapporto ci fosse stato, ormai era irrecuperabile. Il nostro patto, infranto.

-Ti accompagno su.

-Non ce n'è bisogno.

Non ascoltò quello che gli avevo risposto e salì le scale dietro di me. Arrivati alla porta mi guardò. Non capivo cosa pensasse ma l'aria che tirava, era decisamente triste.

-Non è un addio questo, vero? -chiese e non volli rispondergli. Desideravo solo che se ne andasse.

Fummo distratti poi dalla porta a fianco alla mia che scricchiolò. Quello era l'appartamento di Bianca, la vispa novantenne del palazzo e siccome lei non poteva spostarsi perché era invalida, immaginai che ne uscisse Regina, sua figlia. Sentii invece la voce fastidiosa di Mariana.

-Ciao Nat! -e sfoderò il suo sorriso migliore. -Ciao... cosa! -mi appellò, guardandomi. La ignorai. Avevo questioni ben più importanti a cui pensare.

-La nonna cercava proprio te, Nathan.

Dall'interno si udì la voce tremolante della vecchia Bianca.

-Chi c'è fuori Mariana? C'è il ragazzo in nero? C'è anche Karin?

-Sì, nonna... -si limitò a dire seccata.

-Falli venire. Entrate ragazzi... entrate.

Io e Nathan ci scambiammo uno sguardo indeciso, allo stesso tempo svogliato. Nessuno dei due aveva voglia di parlare. Mariana si sentì chiamare dalla squillante voce della madre e fissandoci di traverso salì dopo aver lanciato anche lei un urlo per confermare a Regina che l'aveva sentita.

Noi entrammo da Bianca.

-Oh, Karin! ...Come stai? -mi sommerse di baci e abbracci. Quando si assicurò che stessi bene, si rivolse a Nathan.

-Grazie di avermi aiutata ieri.

-L'avrebbe fatto chiunque... -sminuì lui l'importanza di ciò che aveva fatto, non capivo cosa.

-Sai Karin... sono caduta di nuovo dal letto...

-Oh, no, Bianca! Lo sai che non devi tentare di scendere da sola!

-Sì, ho sbagliato. Meno male che questo bel ragazzo forte è venuto in mio soccorso quando mi ha sentita chiedere aiuto.

-Già, meno male. -ripetei.

-Giacché siete qui, potreste farmi un favore? -annuemmo entrambi. -In quel cassetto, ci sono i miei occhiali da lettura... ed io vorrei tanto leggere questa... -indicò la scatoletta di un farmaco. -Me le ha appena portate mia nipote... non le ho mai prese e voglio capire di che si tratta... non voglio mica morire avvelenata! -scherzò con un sorriso sdentato.

-Certo. -aprii il cassetto e presi gli occhiali. Sul mobile antico e anche molto rovinato c'era una foto incorniciata. Mi soffermai a guardarla. Bianca lo notò.

-Hai visto com'ero giovane lì? -disse orgogliosa. -E quella è Regina. È sempre stata una bella donna.

Al centro delle due c'era un'altra ragazza. Non volevo sbagliarmi ma aveva un'aria familiare.

-Chi è questa? -le indicai la foto nel punto in cui c'era quella donna.

-Non la riconosci? È la povera Margerette.

Nathan si sollevò di scatto dalla sedia su cui si era messo poco prima e mi si avvicinò. Senza dire nulla, mi levò la cornice dalle mani.

-Questa... -disse rivolgendosi a Bianca. -Questa è mia madre!

Rimasi sorpresa dal fatto che glielo avesse detto ma mai quando vidi l'espressione cadaverica che aveva Bianca in reazione a quella scoperta.

-Non ci posso credere...! -urlò senza forze. -Allora sei tu Nathan... Sei tu! Io lo avevo immaginato... ma Regina diceva di no... e...

Quelle furono le ultime parole che pronunciò poi perse i sensi e accorremmo da lei spaventati a reggerla prima che cadesse dalla sedia.

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