12. Selfie
Fidarsi o non fidarsi?
Questo è il problema...
-cit.
***
Camminavo su nubi nere così compatte da risultare macigni sotto i miei piedi. Un caldo soffocante a stringermi la gola. Il fiato corto, l'ossigeno che faceva fatica ad arrivare ai polmoni. D'un tratto venivo tirata giù da una voragine e finivo nell'oblio. Aprivo la mia bocca ma la voce restava strozzata e non potevo urlare.
Un raggio di sole si infiltrò dalla tendina un po' spostata della finestra in camera. Mi finì dritto negli occhi, facendomi svegliare. Dovevo aver fatto un incubo e il forte mal di testa che mi martellava nuca e tempie era lì a testimoniare non solo che avevo dormito poco ma che quel tempo in cui c'ero riuscita non mi era servito granché. Di certo non avevo riposato bene. Avevo le vertigini e sudavo freddo. L'incubo peggiore però era rendermi conto del fatto che mia madre non c'era più. Quello non l'avevo sognato era successo per davvero.
Le nostre strade si erano divise e da quel momento avrei camminato sola, senza l'amore della mia cara mamma.
Mi strabuzzai gli occhi tentando di non farmi risucchiare dai miei vorticosi pensieri e solo in quell'istante mi resi conto che Nathan era di fianco a me.
Era in una posizione piuttosto scomoda per dormire. Sicuramente si era addormentato guardando la TV visto che era ancora accesa.
Aveva addosso i vestiti che si era messo quando c'eravamo cambiati dopo il funerale.
Ero così confusa che solo in quel momento ricordai di averlo visto lì sul mio letto mentre mi agitavo in preda ad incubi ed insonnia.
Aveva la schiena sollevata e un cuscino dietro ad essa, appoggiato alla testa del letto e con le gambe tese che si accavallavano. Non si era sfilato nemmeno le scarpe.
Il viso era chiaro, senza nemmeno l'accenno di un filo di barba. Chissà se era riuscito a dormire... Sicuramente poco.
-Buongiorno. -sentii la sua voce mentre mi alzavo più piano che potessi dal letto. Mi voltai verso di lui, pensando immediatamente che con gli occhi gonfi che sicuramente avevo, non dovevo essere un bello spettacolo da vedere a prima mattina. Forse sembravo più un rospo che una persona. Accennai solamente ad un sorriso, rigirandomi subito ed infilandomi le pantofole.
-Come stai? -fece una breve pausa. -Scusa, che domanda idiota...!
-No, non ti preoccupare...
-Non hai dormito molto vero? ...Ti ho vista. Sembravi una trottolina.
-Trottolina? -risi per l'appellativo datomi.
Nathan si stiracchiò. Sentii le sue ossa scricchiolare e un gemito di dolore.
-Mi spiace che tu sia stato scomodo...
-Non avrei mai potuto lasciarti...
-Grazie.
Si mise seduto e mi invitò ad andargli vicino battendo la mano sul piumone. I suoi occhi grandi in quel momento erano pieni di tenerezza. Ubbidii al suo invito e gli sedetti di fianco. Lui mi circondò con il braccio trasmettendomi tutto l'affetto di cui avevo bisogno. Strinsi gli occhi che mi bruciavano ma non ne uscirono lacrime.
Forse le avevo finite.
-Che scenata ho fatto ieri...! -risi imbarazzata ricordando passo passo com'era andata la mia folle sfuriata. -Dovevo essere davvero fuori di senno per comportarmi così al funerale della persona più importante della mia vita...
-Ormai è andata. -sospirò. Sentii il suo corpo, sollevarsi e poi distendersi leggermente per l'aria appena espulsa. Anche lui soffriva per la perdita di mia madre, lo sapevo. In poco tempo si era affezionato a lei anche perché era impossibile non amare una donna così.
-Nat... Tu credi a una vita nell'aldilà?
-No.
-Non ci credo nemmeno io.
-Ora Grace dorme.
-Giusto. Dorme.
-E tu devi mangiare qualcosa.
-Anche tu devi mangiare.
Un'ultima forte stretta che mi diede il coraggio necessario per alzarmi e affrontare la mia prima giornata senza la dolce Grace e poi andammo in cucina a preparare la colazione.
-Questa sera suoniamo... non posso davvero rimandare o mi licenziano.
-No, no... devi andare. Non preoccuparti per me.
-Ti chiederei di venire se non fosse che...
-Nathan davvero. Non farti alcun problema. Starò bene. Non puoi perdere questo lavoro con la crisi che c'è.
Seguii ogni suo movimento mentre prendeva il suo caffè rigorosamente nero e amaro. Con la mano spinse verso di me una brioche per invitarmi a mettere qualcosa nello stomaco. Storsi il naso disgustata. Avevo la nausea.
-Lo so che non ce la fai ma devi forzarti. Quando Nirvana... dopo quello che le successo, insomma... non riuscivo più a mangiare e credo che sia stato peggio.
Un forte senso di colpa mi assalii scombussolandomi.
-Mi spiace molto non esserti stata vicina in quei giorni... tu non mi hai lasciata un attimo ed io...
-Ma stai scherzando? ...Non vorrai mica paragonare la mia perdita con la tua?
-Questo non toglie che anche tu abbia sofferto per Nirvana... e che soffri ancora.
-Giusto...
-Ce l'avevi da molto? -chiesi, riferendomi all'iguana.
-Da anni.
-Mi dicevi che tua madre la maltrattava... -chiesi. Mi pentii subito della domanda fatta. L'ultima volta che avevo tentato di conoscere qualcosa del suo passato, si era chiuso a riccio. -Se non vuoi... non rispondere... -lo anticipai prima che si dissolvesse.
-Mia madre è una donna malata. Intendo mentalmente. Certo, chi non lo è di questi tempi ma... lei soffre veramente di questo disturbo fisico. Nirvana mi era stata regalata da mio padre e per questo lei la odiava. I miei sono divorziati e ancora oggi quando si incontrano non fanno altro che litigare.
-Per questo sei andato via di casa?
-Non ho mai vissuto con mia madre... e nemmeno con mio padre. Stavo da mia nonna. Mia madre è solo una matta!
-Mi spiace... Non ho mai conosciuto una persona malata in quel senso... forse Margerette...
-Chi è Margerette?
-Chi era, semmai. Ricordi la sera che ci siamo conosciuti? Mia madre parlò di quella signora che abitava dove adesso vivi tu. L'accumulatrice compulsiva insomma, quella che è morta seppellita dalla sua stessa immondizia, per dirla con le parole che usò Grace. Sai quel giorno ho temuto che fosse tua parente...
-Ah, ho capito. Quindi quella donna è morta veramente così?
-Non lo sappiamo. Lei non usciva mai di casa. Non aveva contatti con nessuno. Un giorno sono venuti i suoi parenti che ovviamente non venivano mai e hanno ripulito tutto e dopo pochi giorni abbiamo visto affisso al muro, vicino al portone, la carta che riferiva la sua morte.
Nathan non disse più nulla. Prese la mia mano e appoggiò su di essa la famosa brioche che avrei dovuto necessariamente mangiare, vista la sua insistenza. Non incrociò più il mio sguardo.
La scartai mentre notavo la sua espressione mutare. Lui stesso mi aveva detto che mi nascondeva qualcosa e vedendo quegli occhi che sembravano voler celare un segreto, iniziavo a credere veramente che non scherzasse.
La sera, prima di recarsi al pub, Nathan mi chiese una cosa insolita.
-Un selfie? Non credevo fossi tipo da selfie...
-Al contrario, mi piacciono molto le foto. Mi sono accorto che non ne abbiamo mai fatta una insieme.
-Per me va bene. -accettai dopo un attimo di esitazione.
Lui pose la sua guancia sulla mia e in effetti fu molto imbarazzante vedere il mio viso così vicino al suo su quello smartphone. Caspita se era bello! Aveva il viso asimmetrico, tante piccole imperfezioni ma per me... per me era perfetto, con quegli occhi così tremendamente azzurri da abbagliare e che lasciavano senza fiato.
-È uscita bene! -disse mostrandomela. -Hai lo sguardo un po' pensieroso ma... stai d'incanto.
-Veramente?
-Sì... Ora vado... se no faccio tardi. Mi raccomando sigillati dentro.
Infatti restai chiusa in casa, barricandomi neanche quello fosse un bunker. Ordinai la mia solita pizza e la mia solita birra e dopo circa mezz'ora sentii suonare alla porta.
-Mariana? -dissi aprendole. -Che vuoi?
-C'è Nathan? So che sta sempre con te...! -mi squadrò dalla testa ai piedi posando le mani sulla vita e mettendo così in risalto i suoi larghi fianchi. Appena dietro di lei, c'era Thomas, suo fratello, appoggiato alla ringhiera della scala con il suo solito sguardo da "conquistatore" -da strapazzo, ovviamente!
Avevano preso molto dalla loro mamma, la simpaticissima Regina, sia fisicamente ma anche per quanto riguardava l'atteggiamento di superiorità scaturito da chissà quale convinzione.
-No, Nathan non c'è.
-Quando lo vedi, visto che lo vedi sempre, digli che mia madre ha bisogno di parlargli.
-Sarà fatto. -tagliai corto. Dalla fessura della porta, notai che mentre Mariana scendeva, Thomas era rimasto sul pianerottolo di fronte a me. Si avvicinò velocemente infilando la scarpa tra la porta e lo stipite.
-Che fai?! -esclamai innervosendomi. Lui attese un attimo che la sorella si allontanasse poi mentre tentavo di tenere chiusa la porta, si avvicinò mettendo il suo viso il più vicino possibile a me.
-Non dar retta a Mariana... Non è vero che mia madre vuole parlare con Nathan. Loro si vedono.
-Che vuoi dire?
-Il tipo strano, quello che si veste di nero... si vede con mia sorella.
Restai per un attimo senza parole. Gli tirai poi un calcio al piede perché lo togliesse e mi facesse chiudere la porta. Lui restò impassibile anche se c'ero andata pesante con il colpo infertogli.
-Thomas, va' via!
-Non ti sarai presa una cotta per quel coso strano!
-Non sono affari tuoi!
-Sai cosa si dice nel palazzo? ... Lo sai? -disse con quella fastidiosa voce nasale.
-Non mi interessa e non lo voglio sapere! -esclamai esasperata tentando di spingerlo via di lì.
-I sospetti sono tutti su di lui...
-Ma smettila...!
-Facci caso: i crimini sono iniziati quando lui è venuto ad abitare al posto di quella pazza accumulatrice. Uno dopo l'altro ci sta facendo fuori tutti!
Con uno strattone riuscì a spalancare la porta e spingendomi dentro, la chiuse dietro sé. Lo guardai scioccata come non mai. Ma come si permetteva?!
-Prima mio padre e adesso tua madre! Ma non riesci a capire che è lui l'assassino?! -continuò gesticolando com'era solito fare.
-Thomas voglio che te ne vada immediatamente! -cercai di usare un tono fermo giacché lui era superiore in forza e non sarei mai riuscita a spostarlo di un centimetro.
-Inoltre è un bugiardo. Ti ha mai detto che si vede con Mariana? -riprese senza darmi ascolto. -Mia madre è su tutte le furie perché non si fida di lui... e nemmeno io!
-Mariana non piace a Nathan! Me l'ha detto lui!
-Ah sì?! Allora questo cos'è?! -disse prendendo il suo cellulare.
Stanca di quell'insopportabile ragazzo arrogante, gli misi le mani addosso e lo spinsi fuori. Lui non oppose resistenza perché ormai il suo scopo di mettermi una pulce nell'orecchio, l'aveva raggiunto.
Attraverso la porta che sbattei violentemente sentii un'ultima frase.
-Ti mando una cosa che ti piacerà... è da un po' che ho il tuo numero...
Dopo pochi attimi sentii il suono di una notifica. Era un'immagine. Non volevo dargli la soddisfazione di andare a guardare di che si trattasse eppure non ce la facevo. La curiosità ma soprattutto la gelosia, mi stavano consumando.
Resistetti solo mezz'ora, col pensiero fisso di quel telefono posato sull'angolo del tavolo.
Aprii la foto. Era un selfie. Un selfie di Nathan e Mariana, guancia a guancia, che sorridevano.
Insieme.
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