Figli affamati
Un soffio di vento gelido agita i rami degli alberi, dita scheletriche protese verso il cielo.
Se i miei bambini non stessero morendo di fame di certo non mi sarei inoltrato a notte fonda.
Le mie povere, piccole creature. Le adottai quando erano appena nate, la loro madre era morta e io, inteneritomi, decisi di accoglierli.
Sono sempre stato un vecchio molto solo, non ho nient'altro che la mia capanna in mezzo al bosco.
La gente della città vicina mi ha scacciato, dicevano che ero pazzo.
Io? Pazzo? Cosa mi è toccato sentire!
Adesso sono cresciuti, potrebbero badare a se stessi ma non voglio lasciarli andare. Ho paura che non tornino più da me, o peggio, che succeda loro qualcosa. Nella mia casa, tra le mura di legno e le sbarre di ferro, lì sono al sicuro. Non faccio loro mancare niente, posso definirmi un buon padre, e loro obbediscono sempre ai miei ordini.
Abbasso gli occhi: illuminate dalla tenue luce della luna posso vedere le tracce della mia preda.
Si tratta di un cucciolo separato dai suoi genitori, deve essersi scioccamente avventurato in questo posto. Poco fa avevo provato ad avvicinarlo, ma è scappato. Non andrà lontano, i suoi strilli mi condurranno da lui.
Cammino coi sensi all'erta, un coltello stretto nella destra, una corda nella sinistra: il cacciatore può trasformarsi nella preda da un momento all'altro.
I rami vibrano ancora, alcuni paiono protesi su di me, sembrano indicarmi oppure volermi afferrare.
Qualcosa calpesta dei ramoscelli alla mia destra: punto il coltello minaccioso, i muscoli contratti, gli occhi dilatati.
Non accade nulla.
Un altro scricchiolio.
Questa volta deglutisco, il vento mi frusta il viso, il freddo mi penetra nella pelle come mille aghi di ghiaccio.
Avverto il desiderio di tornare indietro, di scappare, di tornare nel mio solido rifugio, dove niente e nessuno potrà farmi del male. Ma devo farmi coraggio, non posso abbandonare i miei figli, è da molto che non mangiano, sarà per l'età, ma non sono più lo stesso cacciatore di una volta e non sono riuscito a saziarli a dovere.
Non vorrei che la fame e la noia li spingessero a diventare aggressivi, a volte sono arrivati ad aggredirsi tra loro e solo il mio tempestivo intervento li ha calmati. Posso comprendere il loro desiderio di essere liberi, ma non voglio che fuggano, voglio che stiano sempre con me.
Accelero, se continuo a camminare piano finirò per congelare!
Avverto un rumore diverso dagli altri, mi sembra... un lamento.
Il cucciolo a cui stavo dando la caccia, lo sento!
Devo fare in fretta, non vorrei che i suoi genitori arrivassero prima di me, allora sì che sarebbe difficile.
Il refolo del vento cerca di confondermi, ma sento il piccolo farsi sempre più vicino.
Il pianto è più lento, ma il suo respiro è così forte da indicarmi la sua posizione.
Gli do volutamente le spalle al solo fine di capire bene dove colpire, con la coda dell'occhio posso vederlo raggomitolato tra i cespugli.
Per un attimo mi si stringe il cuore all'idea di uccidere una creatura così indifesa, ma devo farlo.
Mi volto di scatto, lo afferro per la testa e gli avvolgo una corda attorno al collo.
Stringo con tutte le mie forze, la preda si dimena ed emette dei gemiti, ma io le balzo addosso e la inchiodo a terra.
La lotta dura appena un minuto, ma non allento la presa, voglio essere certo che sia morta.
Conto i secondi, passano in fretta, divengono minuti e solo quando scatta il decimo lascio la fune.
Afferro la preda e la soppeso, niente male, sarà sui trenta chili.
La infilo nel sacco e me la carico in spalla, il peso sul momento mi schiaccia, ma sono così felice che presto riesco a recuperare l'equilibrio.
Cammino fino alla porta di casa, i miei piccoli hanno sentito il mio arrivo e stanno festeggiando.
Appena entro il loro profumo familiare inonda le mie narici, corro verso la loro camera.
Eccoli lì, nel loro recinto, tutti e tre corrono contenti e battono contro le sbarre.
Con soddisfazione estraggo il loro pasto, ma prima di offrirlo gli rimuovo i vestiti e le scarpe, sia mai che resti qualcosa tra le loro zanne.
Sarà meglio bruciare questa roba, non vorrei che qualcuno mi scoprisse.
Prendo il grasso corpo e lo getto al di là del recinto: i miei piccoli si lanciano all'assalto e se lo gustano.
Sento i loro denti che spaccano le ossa, uno di loro sta divorando una mano, un altro strattona la coscia, gli altri ululano di gioia e scodinzolano.
Cosa c'è di più soddisfacente, per un padre, di vedere i propri figli così felici?
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