Capitolo XIX
Galoppammo per un bel po' in direzione ovest, allontanandoci significativamente dall'accampamento. Ad un certo punto, Abdon mi chiese: «Quanto ancora dobbiamo continuare in questa direzione prima di svoltare e raggiungere tuo padre?»
Rimasi zitto. Sapevo che quello che gli avrei detto non gli sarebbe piaciuto, ma dovevo dirglielo.
«Allora?» mi sollecitò di nuovo dopo un po'.
Esitai ancora.
«Donnie, mi senti?»
Le parole mi morirono in gola. Mi sentivo in colpa e ne avevo tutti i motivi.
«Non andiamo da mio padre» riuscii infine a dire, sputandolo come un bolo incastrato in gola.
«Cosa? E dove stiamo andando?»
Presi un lungo respiro, poi dissi: «Stiamo andando a Crossroad».
Senza preavviso, Abdon frenò bruscamente il suo cavallo, che scartò e nitrì per l'ordine così improvviso. «Cosa cazzo stai dicendo?»
Mi fermai anch'io, poi frugai nelle tasche interne della mia mantella e tirai fuori il timbro dell'emissario. Abdon lo guardò sorpreso, fissandolo con gli occhi sgranati.
«Ab, andare da mio padre sarebbe inutile in questo momento. Anche sapesse la verità non potrebbe fare niente contro tutta quella gente.»
«Ma andare a Crossroad? Sei completamente impazzito?» Nonostante il tono incollerito la voce gli tremava.
«Ci serve il loro aiuto! Sono gli unici che hanno i mezzi per salvarlo.»
«Perché non me lo hai detto?»
«Era troppo pericoloso dirlo nell'accampamento» provai a giustificarmi. «Ora, anche se qualcuno ci avesse...»
«Non era questo quello che ti stavo chiedendo!» urlò all'improvviso. «Tu dovevi dirmelo, perché se avessi saputo che andavamo a Crossroad non sarei mai venuto con te.»
«Tu avevi già accettato di accompagnarmi» ribattei, tenendo lo sguardo basso.
«Sì, da tuo padre, non a Crossroad.»
«Ormai sei qui, devi venire con me.»
«Cazzo, Donnie, io non sono il tuo schiavo, non puoi obbligarmi ad accompagnarti in tutte le tue puttanate!» La sua voce era sempre più alta e acuta.
«Io... io non ti tratto così.»
«No, tu fai sempre così. Mi trascini in quello che fai e poi finiamo sempre nella merda. Questa volta però hai passato il segno. Crossroad? Appena ci avvicineremo alla città ci faranno fuori.» La pelle chiara, quasi costantemente arrossata dal sole, aveva assunto un colore livido. Si muoveva freneticamente, gesticolando e tremando come se riuscisse a stento a controllarsi. Non l'avevo mai visto così spaventato prima, e la paura pareva alimentare la sua rabbia nei miei confronti.
«I-io torno a casa!» annunciò d'un tratto.
«Cosa? Non puoi farlo.»
«Tu non puoi darmi ordini!» strillò, facendo partire il cavallo in direzione dell'accampamento.
«Aspetta, fermo. Ti prego... io...» Abdon si allontanava sempre di più, non volendo neanche sentire. «Ho paura, Ab!» ammisi alla fine, urlando con tutto il fiato che avevo. Il suo cavallo si fermò impennando, poi, quando tornò con tutte le zampe per terra, si voltò verso di me.
«Di cosa stai parlando? Tu non hai mai paura» disse, con un espressione incredula sul volto.
«Invece sì, sono terrorizzato.»
Abdon fece girare completamente il cavallo e si riavvicino, poi disse: «Ma sei sempre tu a fare le cose spericolate, ad avere sempre la risposta alle situazioni difficili e agire quando tutti hanno paura.»
«Questa volta non si tratta di stanare un serpente a sonagli o di rabbonire una guardia di Bill per aver rubato qualche dattero mentre lo portavano in magazzino.» Il mio migliore amico mi guardava stranito, come se avesse davanti una persona completamente diversa. «Ab, mio padre, mio fratello e mio zio stanno andando a farsi ammazzare, e ho troppa paura per andare lì da solo.»
«Perché dobbiamo andare noi a Crossroad? Andiamo da tuo padre, mandiamo uno dei suoi e aspettiamo.»
«Non possiamo. È impossibile che Bill non si sia accorto della nostra partenza e sono sicuro che ha mandato delle spie per riferirgli ogni mossa di mio padre.»
«E perché non dovrebbero seguire anche noi?»
«Siamo pesci piccoli, a lui interessa mio padre» dissi, cercando malamente di nascondere la mia ansia. Non potevo essere assolutamente sicuro di questo, l'unica mia speranza era che un possibile inseguitore avrebbe desistito dal continuare una volta entrati nell'area controllata da Crossroad.
«Io non sono ancora sicuro.»
«Ti prego, Ab. Lo so di aver sbagliato a non dirti niente, ma ormai siamo qui e dobbiamo andare.»
Abdon tremava ancora, ma non era più in preda alle emozioni come prima. Nonostante ciò, ero ancora terrorizzato dall'idea che potesse andarsene. Era sempre stato un tipo remissivo per natura e finiva sempre per seguirmi anche nelle avventure più pericolose, ma quella volta mi ero spinto talmente in là che davvero rischiava di lasciarmi.
Alla fine, con mio grande sollievo, disse con voce tremante «Va bene, ti seguirò.» Poi, riscuotendosi, aggiunse «Però non osare farlo mai più.»
«Grazie, grazie. Ti prometto che non lo farò mai più.»
Ci rimettemmo in viaggio, io in testa e Abdon dietro. Di tanto in tanto lanciai delle occhiate indietro, scorgendo nella sua faccia la rabbia e la paura. Purtroppo, non gli avevo detto tutto. È vero che potevano esserci spie, ma il motivo vero per cui era così importante che andassi là era che questa situazione non poteva durare ancora. Anche riuscendo in questa missione, Bill sarebbe rimasto il capo e io e la mia famiglia non saremmo mai stati al sicuro. Ormai lui e l'emissario erano ai ferri corti e, dopo quello che aveva fatto, non ci sarebbe mai stato un momento migliore per farlo deporre. Mio padre era fermamente contrario a farsi tenente, ma era l'unica soluzione per questa situazione: doveva diventare il capo dell'accampamento e cacciare Bill.
...
All'improvviso Abdon si fermò in mezzo alla strada, guardando il grosso albero contorto dove si era schiantato il camion, anni prima.
«A cosa stai pensando?» gli chiesi.
«Questo è il punto più vicino a Crossroad che chiunque nell'accampamento abbia mai raggiunto. Persino tuo zio non ha mai osato andare oltre.»
«Lo so» dissi, reprimendo un brivido al pensiero. «Però dobbiamo andare. Rimani con me.»
«Certo» rispose, cercando di contenere l'agitazione. Con un cenno, ci rimettemmo in viaggio.
Galoppammo per ore sotto il sole cocente, senza la più pallida idea di cosa ci saremmo trovati davanti. Crossroad era il punto fermo del deserto, ed esisteva da ben prima che l'accampamento venisse fondato. L'uomo più vecchio della comunità, un tale che era morto qualche anno prima di quel giorno, diceva che esistesse già ai tempi di suo padre, quando i miei antenati ancora vagabondavano per questa terra desolata, come facevano ancora molti dei gruppi più piccoli. La città si poteva definire come l'unica autorità di tutto il deserto, oltre che il solo centro abitato degno di questo nome prima dell'insediamento dei religiosi. Nessuno all'accampamento l'aveva mai vista prima, nonostante fossimo quelli che vivevano più vicini. Questo era dovuto al fatto che Crossroad custodiva gelosamente la propria sicurezza, giustiziando chiunque osasse provare a entrare senza il suo permesso. Per lo più agiva inviando emissari, come quello che di tanto in tanto veniva a parlare con Bill, oppure facevano affidamento sui loro mercanti, che viaggiavano in tutto il deserto commerciando in egual modo con villaggi e accampamenti, ma potevo immaginare quanto facesse piacere ai primi. Anche se avessero avuto qualcosa da ridire, comunque, non avrebbero potuto avere altra scelta essendo quei mercanti gli unici a poter viaggiare quasi senza rischi per fornire merci che altrimenti sarebbero state introvabili.
La prima cosa che scorgemmo fu il profilo delle montagne, poi quello delle mura ai loro piedi. All'inizio credemmo di essere piuttosto vicini, ma man mano che ci avvicinavamo le mura divennero sempre più lunghe e alte, finché non coprirono tutto l'orizzonte, separando la catena montuosa dal deserto. Dovevano essere dieci, quindici o venti volte più lunghe di quelle dell'accampamento, e almeno tre volte più alte. Sopra di esse svettavano le rovine di due ponti intersecati, con grossi e tozzi piloni di cemento che reggevano delle strade. Probabilmente un tempo queste continuavano a ergersi per una lunghezza di centinaia di metri prima di tornare a terra, ma in molti punti le strade erano crollate, lasciando delle torri grigiastre frastagliate sulla cima, dove non reggevano più niente. Il ponte più alto entrava dentro un tunnel completamente buio, mentre l'altro proseguiva per un tratto lungo il fianco di una montagna, per poi essere cancellato da smottamenti avvenuti nel corso del tempo.
Ci fermammo di fronte ai cancelli della città. Le doppie porte, in ferro, erano alte quanto tre uomini adulti, sormontate da un altro paio di metri di muro sempre in ferro che terminavano in un parapetto. Dalla cima un uomo si sporse.
«Cosa ci fate qui, ragazzini? Questo posto è offlimits per gli abitanti del deserto» ci disse l'uomo. Tirai un piccolo sospiro di sollievo; da quello che avevo sentito dire, in genere davano dieci secondi di tempo prima di sparare.
«Dobbiamo parlare con il consiglio della città» gli gridai di rimando. Il consiglio era l'organo decisionale di Crossroad, presieduto da un sindaco eletto tra gli uomini più ricchi ogni cinque anni.
L'uomo, più seccato che arrabbiato, disse: «Andate via, non è posto per voi.»
«Forse dovremmo ascoltarlo» suggerì a bassa voce Abdon.
«Ancora no.» Frugai dentro le tasche della mantella, poi mostrai il timbro. «Siamo qui per conto dell'emissario che mandate al nostro accampamento... Percy. Abbiamo un importante messaggio da riferire.»
La guardia ci osservò con attenzione e temetti che stesse per rifiutare di nuovo, poi sparì dietro al parapetto. Smontammo da cavallo e aspettammo per alcuni minuti, poi, da una porta più piccola che non avevo notato, uscì una donna sui quarant'anni, con la pelle nera come la pece e i capelli corti tenuti sotto un cappello marrone con la visiera. Venne verso di noi con passo sicuro, puntandoci come faceva un cane con un intruso. Era una donna molto alta e, quando ci fu davanti, ci superava entrambi di quasi l'intera testa.
«Datemi il timbro.» Glielo consegnai e la donna lo esaminò. «Questo è uno dei nostri timbri. Se non ricordo male, Percy si è diretto nell'accampamento del tenente Bill proprio ieri, giusto?»
Annuii. «Esatto. Veniamo da lì.»
La donna ci guardò con aria scettica, soppesandoci entrambi. «Perché avrebbe dovuto mandare voi due a portare un messaggio?»
«Bill vi ha imbrogliato e doveva mandare in fretta qualcuno ad avvisarvi. Lui e mio padre hanno fatto un patto che vi potrà aiutare, ma devo parlare con il sindaco e il consiglio.»
«Non avete niente di scritto?»
«Non ce n'è stato il tempo.»
«E come faccio a fidarmi di voi?» chiese, arricciando il naso leggermente schiacciato.
«Siamo ragazzi, e siamo assolutamente innocui.»
«Voi ratti del deserto siete tutto meno che innocui.» Afferrò il suo colletto con la mano sinistra e scoprì la spalla, rivelando una grossa cicatrice chiara sulla clavicola che le doveva scendere probabilmente fino al seno. «Lo so per esperienza.»
«Ascolti, è di vitale importanza che parliamo con loro. Il timbro vi dimostra che veniamo a nome suo.»
La donno si accigliò, coprendosi la bocca e il mento con la mano mentre rigirava l'oggetto con l'altra.
«D'accordo, seguitemi.»
La donna prese per le briglie i nostri cavalli e ci condusse oltre la porta di ferro. Ci ritrovammo all'interno di un enorme capannone, alto quanto le mura e lungo qualche centinaio di metri; era così grande che avrebbe potuto contenere da solo metà dell'accampamento. Almeno sei autotreni erano parcheggiati all'interno, ordinati nel lato sinistro, mentre il resto era occupato da carri che dovevano essere allacciati e mucchi di casse o container, stipati in pile che potevano arrivare fino al soffitto. C'era un viavai di gente che aggiustava carri, maneggiava casse e faceva chissà cos'altro. Dovevano essere una cinquantina di persone, anche se sembrava che a pieno regime potessero lavorarcene centinaia.
«Che posto è questo?» chiese Abdon, che si guardava intorno spaesato.
«È il centro di scambio della città» rispose, con tono incolore. «Da qui arrivano e partono tutti i convogli di Crossroad.»
«Compresi quelli che arrivano da est?»
«...Sì» confermò dopo qualche secondo di silenzio, rivolgendomi un occhiata guardinga mentre consegnava i cavalli a un uomo che la aspettava dietro la porta.
Arrivati sul fondo la guardia aprì una porta laterale, probabilmente usata dal personale, e la città ci travolse completamente. Il rumore, per uno abituato al silenzio del deserto, era assordante, e l'odore dei corpi di migliaia e migliaia di persone ammassate fu come un pungo che mi lasciò senza fiato. A differenza dei religiosi, che si erano insediati sui resti di una città antica, Crossroad era stata costruita quasi da zero come il nostro accampamento, usando telai, centinature, lamine e altro. La somiglianza però finiva lì; gli edifici erano alti, alcuni anche una decina di metri, e ogni spazio pareva essere occupato, così che la città dava l'impressione di dover strabordare dalle mura da un momento all'altro.
«Che fate lì impalati? Muovetevi!» ci chiamò all'improvviso la guardia, riportandomi alla realtà. Presi per un braccio Abdon, che era ancora imbambolato, e la seguimmo dentro la strada. Lì l'aria era ancora più soffocante, con centinaia di persone che camminando contemporaneamente alzavano uno spesso strato di polvere. Gli edifici ai lati della strada tiranneggiavano su di noi, facendomi sentire piccolo e oppresso; sensazione acuita anche dal fatto che, nonostante le dimensioni della città, la strada non era neanche il doppio della larghezza della via principale dell'accampamento.
All'improvviso sentii qualcuno che mi afferrava la mantella. Usando l'istinto, affinato con anni di allenamento, diedi una fortissima gomitata verso il borseggiatore, colpendogli in pieno il volto. Questi fu scaraventato a terra con una forza che lasciò stupito pure me. L'uomo indietreggiò sanguinante, tenendosi il naso con dita scheletriche. All'inizio pensai fosse un vecchio, ma poi mi accorsi che non doveva avere molto più di quarant'anni. Era di una magrezza spaventosa, e aveva parte della faccia segnata da ustioni. Quando alzò l'altro braccio, mi resi conto che gliene mancava buona parte, lasciando un moncherino all'altezza del gomito. Un ragazzino di poco meno della mia età, con gli occhi scuri che lanciavano lampi d'odio, provò ad lanciarsi su di me, ma la guardia sparò in aria con una pistola, facendo indietreggiare tutti quelli che ci stavano attorno.
Puntò l'arma contro i due, che probabilmente erano padre e figlio a giudicare dagli stessi zigomi alti e capelli castano scuro, facendoli indietreggiare. «State lontani, scarafaggi. Se osate ancora avvicinarvi vi ammazzo, e farete da pasto ai vostri compagni.»
I due si allontanarono ancora di più, rannicchiandosi in un angolo buio su un letto di sudiciume. A quel punto vidi che non erano soli. Decine e decine di persone se ne stavano rannicchiate sui bordi della strada e molte di loro erano mutilate in modi orribili. Ad alcuni mancavano le gambe, o le braccia, e altri ancora erano ciechi. Mi è capitato diverse volte di vedere gente disperata, come gli schiavi che catturavamo dai villaggi, oppure qualche disgraziato che si era perso nel deserto ed era tornato mesi dopo, ma nulla era paragonabile a quello che vidi quel giorno. Io e Abdon provammo a seguire la tizia, sperando di allontanarci da loro, ma i mendicanti continuavano, e continuavano, una lunga scia di dolore che sembrava non avere fine.
D'un tratto la strada si aprì, trasformandosi in un enorme piazza gremita di gente. Doveva essere cinque volte la piazza dell'accampamento, eppure era piena da scoppiare, con bancarelle che vendevano di tutto, gente che faceva affari a urla per sovrastare la folla e persone che si urtavano di continuo per passare. Ad assistere a questo caos, davanti a me, si innalzava un enorme pilastro, di almeno una decina di metri di diametro, che continuava ben al di sopra dei tetti e terminava reggendo una delle sezioni non crollate della strada. Continuammo in mezzo alla ressa, fino ad arrivare a una grossa porta doppia. La donna si avvicinò a una scatolina di plastica di fianco e premette un bottone.
«Cristian, sono io, Desiré. Apri subito.»
Come per magia, le doppie porte si aprirono, scorrendo di lato su un binario. Io e Abdon rimanemmo di sasso: era la prima volta che vedevamo un oggetto che funzionava a elettricità. La donna ci fece cenno di entrare e ci ritrovammo all'interno di una stanza circolare, con alcuni pannelli per dividere in altre tre parti lo spazio. In fondo c'era una struttura metallica rettangolare, con alcuni cavi che scendevano lungo tutto lo spazio. Due guardie stavano di fronte alla struttura, reggendo delle mitragliette. Avevano la bocca coperta e un elmo sulla testa che mi impedirono di distinguere i tratti della faccia, ma erano uomini grandi e grossi. Uno di essi salutò la nostra guida.
«Ciao, Dee. È bello vederti qui di tanto in tanto.»
Lo sguardo di lei si sciolse un poco mentre gli diceva: «Lo sai che sono sempre molto impegnata. Non è facile trovare un momento libero.»
«Una sera di queste potremmo andare...» gli occhi dell'uomo si indurirono di colpo quando si accorse di noi, poi si rivolse di nuovo a lei e chiese: «Chi sono questi due?»
«Ratti del deserto. Hanno portato con loro il timbro di Percy e dicono di avere una questione urgente da discutere con i grandi capi di sopra. Prendi le loro armi.»
«Aspetta...» provò a contestare Abdon, ma lo fermai tendendo una mano davanti a lui.
«Le vostre armi» ci ordinò l'uomo.
Mi sfilai dalla mantella la pistola che mi aveva dato lo Smilzo, poi gli consegnammo i nostri coltelli.
«È tutto? Viaggiate leggeri.» L'uomo si rivolse di nuovo alla donna. «È sicuro lasciarli andare?»
«No. Anche disarmati, sono comunque pericolosi. Prima quello scuro ha steso a terra un uomo adulto con una gomitata. Sarà stato uno di quegli scarafaggi che accalcano la via principale, ma è stato notevole. Comunque, non credo faranno pazzie sapendo dove si trovano.»
«Ok, mi fido di te.»
L'uomo si fece da parte e noi entrammo dentro. Quando chiuse la porta, la donna calcò un bottone lì vicino e il pavimento iniziò a salire. Non avevamo mai visto un ascensore, di conseguenza io e Abdon ci allarmammo subito e ci sentimmo disorientati, causando l'ilarità di Dee. Arrossii per la vergogna, ma subito mi ripresi e le chiesi: «Cosa dobbiamo fare ora?»
«Rimarrete in una stanza e andrò a riferire al consiglio la vostra presenza. Solo poi, se vi sarà dato il permesso, potrete entrare.»
«Va bene.»
L'ascensore continuò a salire, con solo la debole luce di una lampadina amena sopra di noi che illuminava l'ambiente. Quando arrivammo in cima la donna aprì un'altra porta dell'ascensore dalla parte opposta a quella da cui eravamo entrati, portandoci in un ambiente molto diverso dall'ingresso al piano terra. Non avevo mai visto qualcosa del genere, o almeno niente di simile che non fosse una rovina dei tempi antichi, e rimasi a bocca aperta. La sala davanti a noi era stata completamente intonacata, con alcuni ritratti appesi a intervalli regolari per far apparire l'ambiente meno spoglio. Dal soffitto lampadari in bronzo illuminavano l'ambiente con una luce elettrica. A casa mia neppure accendendo tutti i fuochi possibili si riusciva a illuminare così tanto e soprattutto così uniformemente una stanza completamente chiusa.
Ci sedemmo su una delle panchine che percorrevano il corridoio e aspettammo mentre la guardia del muro entrava dentro il portone principale. Poggiai la testa, stanco per il lungo viaggio. Chiusi gli occhi e provai a riepilogare i passaggi di quello che dovevo dire nella mia mente, ma una serie di voci indistinte si insinuò nei miei pensieri. Mi staccai dal muro e queste scomparvero. Provai di nuovo, ma, appena poggiai la testa, tornarono e capii che c'era qualcosa di strano. Mi misi a cavalcioni sulla panca.
«Cosa stai facendo?» chiese Abdon.
«Fai silenzio»
Poggiai l'orecchio sulla parete, e il suono si fece più distinto.
«Credo di star sentendo la discussione del consiglio.»
«Ma la tizia è andata da quella parte» disse, indicando verso la fine del corridoio.
«Forse c'è un tubo o qualcosa del genere dove rimbombano i suoni.»
Continuai a spostare l'orecchio sul muro, finché alla fine le parole non divennero distinguibili.
«... questo è colpa loro.» «Forse, ma ci hanno fatto guadagnare bene.» «Come "forse"? È palesemente colpa di quella manica di invasati. Hanno fatto solo danni da quando sono arrivati qui.» «E tu cosa vorresti fare?» «Non è ovvio? Dobbiamo sterminarli.»
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