Capitolo IX
La mattina dopo mi svegliai di soprassalto sentendo il pianto isterico di mia sorella che, attraverso lo strato di metallo del muro, mi bucò il timpano. Grazie alle ricchezze che mio padre riportò dalla città fantasma, ancora in ricostruzione al tempo, avevamo aggiunto al lato sinistro della nostra casa un secondo cassone, formando una terza stanza dove si erano spostati a dormire i miei genitori e la figlia nata qualche mese prima. Una casa con tre stanze era un lusso incredibile, molto raro anche tra i soldati più abbienti. Il cassone lo avevamo preso dal camion incidentato in mezzo alla strada per Crossroad dando un terzo dei guadagni di quella spedizione all'uomo a cui apparteneva, con un paio di gabbie in omaggio che il fabbro modificò per farci una culla per la nuova nata. Dopo questo acquisto spese un altro sesto per comprare dei veri materassi. Erano delle strisce gommapiuma ingiallita con uno spessore di appena cinque centimetri, ma rispetto a dove dormivamo prima era un grande miglioramento. La metà che rimase la tenemmo in casa, pronta per essere usata in caso di problemi.
Maledicendo l'infante mi alzai dal mio letto, disgraziatamente addossato alla parete della nuova camera, e andai a mangiare. Entrai nella stanza principale e mi diressi verso l'angolo cucina, dove afferrai alcune salsicce dure di non so bene quale carne e le mandai giù con una sorsata d'acqua. Mentre mi apprestavo ad addentare un pezzo di pane entrò mia madre, con i capelli castani scompigliati e la neonata che veniva cullata tra le sue braccia. La bambina aveva gli occhi chiusi e piangeva, contraendo le mani in due piccoli pugnetti e agitandosi nel fagotto di stoffa in cui era avvolta. Mia madre invece indossava una semplice veste grigia e aveva gli occhi arrossati con un po' di cispa agli angoli.
«Donnie? Che ci fai alzato a quest'ora?» mi chiese lei appena mi vede.
«Secondo te?» le risposi, indicando il fagotto che portava appresso.
«Ah, giusto. Scusa.»
«Bah, credo che mi farò un giro appena finisco colazione.»
All'improvviso dalla camera da letto uscì mio padre, avvolto in una cappa marrone-chiaro che dalla testa gli arrivava alla cintola e con degli occhiali protettivi appesi al collo. Per nulla interessato alla conversazione, prese un pezzo di pane con formaggio e uscì dalla porta, rivolgendoci un semplice «Ciao». Finita questa breve interruzione mia madre si rivolse di nuovo a me.
«Sta' attento. Stanno preparando una nuova spedizione e lo sai che i soldati mal sopportano i bambini che li disturbano.»
«Tranquilla, so quello che faccio.»
«Lo so anch'io» mi disse, per poi darmi un bacio sulla fronte.
Dopo esserci salutati uscii di casa e mi diressi verso l'abitazione di Abdon, sperando che si fosse ricordato della seconda mantellina. In realtà non ero stato proprio onesto con mia madre. Certo, la causa materiale della mia sveglia erano state le grida di quella poppante, ma anche senza di esse probabilmente mi sarei alzato ugualmente presto. Visto che si stava preparando una spedizione e molti uomini sarebbero andati in giro a destra e a sinistra sarebbe stato molto più facile uscire senza essere notati. Dei proiettili che avevo portato dalla città fantasma ormai ne rimanevano soltanto tredici e, a meno che non ne avessi rubato qualcuno dalla scorta, opzione che escludemmo quasi subito, la cosa migliore da fare era sparare i colpi rimanenti e lasciare là l'arma. Era un peccato, ma anche provare a nasconderla insieme alle altre sarebbe stato pericoloso.
Quando passai in mezzo alla piazza fui travolto dagli uomini che si stavano preparando. Alle volte si allestivano spedizioni anche di cento e più uomini, ma la nella maggior parte dei casi, come questo, il gruppo si aggirava tra i trenta e i quaranta soldati. Molti di loro portavano un set di pistola, coltellacci e un'altra arma, che poteva essere una mazza, una lancia o anche un arco. Della quarantina circa di persone che dovevano partire quella volta notai che solo sette di loro portavano un fucile, per lo più dei canne mozze, ma uno aveva un fucile lungo con il mirino telescopico, di quelli che si usano per sparare dalla distanza. Il motivo di questo esiguo numero era che se già i proiettili per le pistole erano rari quelli per i fucili erano praticamente introvabili. Ovviamente i mercanti di Crossroad disponevano di tantissima di questa merce, ma la maggior parte veniva spedita verso oriente, finendo chissà dove. O meglio, escludendo i colpi a vuoto la loro destinazione ultima era ovvia, solo che non ci era dato sapere chi li avrebbe usati e chi se li sarebbe beccati.
Mentre passavo in mezzo agli uomini in armi scorsi con la coda dell'occhio mio padre che si stava dirigendo verso Billy, intento a dare disposizioni a un uomo con una profonda lacerazione in faccia che gli denudava i molari in un perenne ghigno sinistro. Preso dalla curiosità mi avvicinai, cercando di non essere notato.
«... er finire il cibo, quindi cerca di tornare al più presto possibile, e ricorda che abbiamo bisogno di manodopera alla miniera di zolfo.»
«Certo, sarà fatto.»
«Bene. Ora puoi andare.»
Mentre l'uomo sfregiato se ne stava andando mio padre si avvicinò a Bill, che gli scoccò un'occhiata ben poco amichevole. Da quando era tornato carico di ricchezze il capo dell'accampamento provava una certa antipatia mista a timore nei confronti di mio padre. Probabilmente non avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi da quell'uomo semplice che desiderava solo offrire il meglio alla sua famiglia, ma gli uomini di potere devono sempre presupporre il peggio della gente, cosa che in seguito capii molto bene.
«Perché mi hai fatto chiamare?» chiese mio padre a Bill, che non smise un secondo di fissarlo.
«Ho un compito da affidarti» gli disse, cercando di trattenere l'ostilità.
«Di che si tratta?»
«In quest'ultimo periodo i coyote sono diventati stranamente aggressivi e gli attacchi ai cavalli selvatici sono aumentati. Alcuni parlano di uno strano esemplare particolarmente grande che sembra comandarli. Voglio che tu vada a vedere.»
«Va bene, in questo caso vado a farmi dare qualche arma.»
«Non ce n'è bisogno. Tieni» disse il nostro capo, tendendogli una faretra mezza vuota e un arco con i flettenti scheggiati. Mio padre, dopo essersi infilato la faretra a tracolla e l'arco su una spalla si rivolse di nuovo a Bill.
«Posso avere anche una pistola?»
«Stai scherzando? Tra poco partirà una spedizione e non ho intenzione di privare l'accampamento di armi preziose.»
«Ma come farò nel caso mi attaccassero?»
«E secondo te per quale ragione ti ho dato quell'arco? Per bellezza?» Detto questo si allontanò, non lasciando a mio padre il tempo per replicare. Alla fine anche lui se ne andò, digrignando i denti per la rabbia.
...
Una volta che fui sicuro che mio padre non fosse più in circolazione andai a casa di Abdon. Lo trovai davanti alla porta vestito con una mantella grigia che lo copriva dalla testa alle cosce. Sotto il braccio destro teneva arrotolata un'altra mantella di un colore tendente più al marroncino, una versione in miniatura di quella con cui era uscito mio padre. La madre di Abdon era morta provando a dare alla luce sua sorella, morta poco dopo il parto, di conseguenza, dato che il padre sarebbe stato via insieme alla spedizione, pensai che il luogo migliore per tenere gli abiti per uscire sarebbe stato da lui.
Afferrai la mia mantella e iniziai a mettermela. In generale i momenti migliori per uscire dall'accampamento erano quando si preparava una spedizione. Molti uomini abili si concentravano nella piazza principale e si rifornivano di armi e provviste per il viaggio, creando un gran scompiglio. Non era strano che un uscita fosse preceduta da feste innaffiate di alcool. Inoltre i turni dovevano essere riscritti fino al loro ritorno, portando le guardie alla confusione e creando falle nella sicurezza. La cosa che mi spaventava di più era che mio padre doveva uscitre per cercare quel branco, ma pensai che sarebbe andato dalla parte opposta alla nostra dato che li avevo visti lì, quindi non avrebbe dovuto esserci alcun problema.
Una volta finito mi voltai subito verso sud quando Abdon mi afferrò la manica.
«Fermo, sei sicuro che sia una buona idea?»
«Che cosa intendi dire?»
«Fuori c'è quel grosso branco di coyote. Non è pericoloso?»
«Coyote ce ne sono sempre stati e non ci hanno mai dato problemi.»
«Ma che mi dici di quello strano esemplare? Non ne avevo mai visto uno così grosso.»
«In genere hanno paura degli esseri umani» dissi, cercando di ricacciare indietro l'ansia. Fino ad allora non avevo mai visto ne sentito parlare di attacchi all'uomo, ma quello sguardo che mi aveva lanciato mi faceva ancora rabbrividire. In più Bill aveva mandato a indagare mio padre, quindi era ovvio che qualcosa non andasse.
«In ogni casa quel branco si trova a nord mentre noi stiamo andando verso sud.»
«Se lo dici tu.»
Detto questo ci dirigemmo verso sud, attraversando strade polverose e baracche in lamiera prima di uscire dalla porta. Sotto di noi in alcuni tratti sbucava del vecchio asfalto, per lo più eroso dall'incessante azione della sabbia e dei piedi. Attraverso il nostro accampamento passava una strada che si allungava da nord a sud, ma era quasi interamente sepolta sotto la polvere, cosa buona visto lo stato di degrado in cui versava.
Una volta usciti dalla porta ci incamminammo sul terreno arido per sparare quegli ultimi sette proiettili. Mentre ero assorto nei miei pensieri non potei fare a meno di chiedermi una cosa. A stare a sentire i giornali che avevo letto un tempo tantissime persone, specie nella zona dove vivevo io, possedevano un'arma di qualche tipo. Era facilissimo trovarne e spesso hanno causato terribili stragi quando qualche pazzo scriteriato ne entrava in possesso. Mi chiesi perché allora se ne trovavano così poche, ma la risposta era abbastanza ovvia: il problema non era tanto nelle armi quanto nei proiettili. Nel corso del tempo moltissime erano andate perse e distrutte, ma all'interno della nostra armeria c'erano pistole per equipaggiare tutti gli abitanti dell'accampamento, bambini compresi. Quello che mancava erano i proiettili da inserire al loro interno. Soltanto a Crossroad sapevano fabbricarne di nuovi e i loro mercanti ce li facevano pagare a peso d'oro. Visto l'odore simile tra la polvere da sparo e le rocce nelle miniere pensai ci fosse dello zolfo all'interno, ma il colore era molto diverso e anche se fosse sicuramente ci avrebbero già provato a riprodurla.
Mentre il foro dell'entrata si allargava sempre di più iniziò a salirmi una certa malinconia. Una volta sparati quegli ultimi colpi ero certo che non avrei più avuto occasione di usare un'arma da fuoco per moltissimo tempo. Il peso dell'arma sulle dita, l'adrenalina quando premevi il grilletto e la gioia di aver colpito il bersaglio. Non sapevo ancora che quell'occasione sarebbe arrivata ben prima di quanto mi aspettassi, ne che avrei usato un'arma ben diversa da quella. Quelle cose sarebbero successe più in là, l'unica cosa importante era sparare quegli ultimi colpi e concludere quella storia.
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