2
Alice
Tra tutte le foglie dell'autunno so riconoscere l'unica che, invece di cadere, ha provato a volare. E so anche innamorarmene.
(Fabrizio Caramagna)
Le giornate si erano accorciate precipitosamente e l'estate sembrava solo un ricordo lontano, ma meglio così. Da un po' di anni avevo iniziato a odiare quella stagione, così corta ed effimera, così ingannevole: ti costringeva a diete ferree e alla estenuante ricerca di qualche costume nuovo perché quelli vecchi erano tutti sistematicamente rovinati dalla salsedine e dal sole, era tutto troppo bello e ti innamoravi di qualsiasi ragazzo vedessi passare sul bagnasciuga perché sì, il sole ti dava alla testa. Ma io ero pronta. Ero pronta a sostituire i costumi da bagno coi maglioni di lana e qualche maschera per Halloween o qualche addobbo fuori dalla porta. Mia madre e mio padre odiavano la festa dei morti, dicevano che era solo un'americanata che non aveva senso di esistere qua in Italia e con gli anni non hanno cambiato idea. Infatti non mi avevano mai portato a fare 'dolcetto o scherzetto', ma di fatto alla fine non c'erano molti vicini a cui potessi bussare dato che abitavo sì in provincia di Roma, ma in mezzo a pecore e balle di fieno, in un paesino di periferia lontano dalla città vera e propria, dal suono incessante del clacson e dallo smog; il rumore più acuto che potessi sentire durante il giorno era quello del citofono che puntualmente mi faceva prendere un infarto. «Papà lo dobbiamo cambiare, è troppo alto il suono!» gli dicevo sempre e quando lui mi rispondeva con un «È?» allora capivo che avrei dovuto lasciar perdere.
«Per Natale ti compro un bell'ipod» esordì Giovanni con il sorriso tra le labbra, mentre mi fissava, poco prima di entrare a scuola, nel cortile. Giovanni giocava a fare il clown della situazione, era quello che faceva ridere tutti, quello che si nascondeva sotto ai banchi per non farsi trovare dai professori durante l'appello o anche quello che scambiava i gessetti con dei sassi. Una volta si è addirittura comprato il telecomando per spegnere e accendere la Lim, così i professori che facevano lezione con quella, si trovavano ogni volta a dover combattere con una lavagna difettosa che faceva i capricci, o almeno così credevano loro.
«Non c'è bisogno» feci io, accarezzando con il pollice il mio walkman grigio metallizzato, doveva essere bello sentirsi così avanti da offrirsi di regalarmi un ipod, ma non era quello che volevo, ero così legata a quell'aggeggio che se l'avessi perso, sarei impazzita. Me l'aveva regalato mia nonna per il mio compleanno, aveva appena compiuto undici anni allora. L'aveva impacchettato lei malamente con la carta che riciclava ogni anno, quella rossa con Babbo Natale anche se Babbo Natale non c'entrava niente, e ci aveva inserito anche una coccarda gialla di quelle che aveva nel cassetto di riserva.
«Ti piace amore?» mi aveva chiesto non appena avevo finito di togliere la carta.
«Da morire.» Ed era vero, era il primo aggeggio elettronico che mi capitava per le mani, avrei tanto voluto un telefono, ma non lo vidi prima dei dodici anni e fu anche giusto così.
«Lo sai che ora con Spotify ti puoi sentire la musica gratis dal telefono, vero?» la voce di Giovanni riportò alla realtà.
«Non ricordo se sei stato eletto rappresentante di classe o rompipalle di classe.»
Lui ignorò del tutto la mia provocazione e continuò. «Fammi sentire che ti ascolti, dai.» Gli porsi controvoglia le cuffiette e lui se ne portò una all'orecchio con un gesto impacciato. A cantare erano i Pink Floyd con The Wall. La canzone che mi accompagnava ogni volta che facevo un bagno, quella che mi faceva fare tardi perché avevo sempre voglia di risentirla e risentirla e risentirla mentre ero immersa nelle bollicine di sapone.
All'inizio fece una faccia stranita, come a dover capire se gli piacesse o no, poi iniziò a battere il tempo con il piede. «Figo, come si chiama 'sta canzone?»
«The Wall.»
«The Wall» ripeté lui in tono stordito mentre si ascoltava le note nelle cuffie. Poi la campanella suonò e dovettimo entrare in classe. Fu allora che segnai il mio nome e quello della mia migliore amica uno accanto all'altro su quel foglio. Giorgia Ferrari e Alice Bianchi, i primi due nomi dopo quello di Giovanni.
«Inizio a fare l'appello» disse la Cavilli appena si accomodò alla scrivania col suo caffè al ginseng mentre si inforcava gli occhiali tartarugati sul naso. Era una donna di bella presenza, con quei suoi capelli rossi naturali e quegl'occhi verdi come due smeraldi che con le lenti diventavano ancora più grandi e tondeggianti. Giravano voci che fosse stata espulsa dalla scuola dove insegnava perché si era invaghita di un ragazzo dell'istituto, io non sapevo se crederci o no, sapevo solo che era bella davvero. Aveva sempre le mani curate, e le unghie colorate di nero o di rosso. Sapevo che amava sciogliersi i capelli ogni volta che usciva dall'aula, glielo guardavo fare e mi sentivo felice con lei.
«Sta arrivando Marchini, un secondo prof. Mi ha appena scritto su whatsapp!» urlò Giovanni.
«E ti pareva.»
Leonardo Marchini detto 'il secco', era uno dei nostri, era un ritardatario cronico, di quelli che si facevano firmare l'entrata in seconda praticamente ogni giorno, spesso era anche entrato dalla finestra del primo piano perché veniva chiusa la porta d'ingresso dopo le otto e dieci.
Arrivò solo una ventina di minuti in ritardo con gli occhi spenti ancora abbottonati e il volto impastato di chi si è alzato con una sveglia troppo martellante e i segni del cuscino stampati sulle guance, i capelli in disordine e lo zaino pieno di cibo spazzatura che sballottolava da una parte e dall'altra ad ogni passo.
«Marchini!», si finse sorpresa la professoressa, «E pensare che ci aspettavamo che non arrivassi prima di un'ora.»
«L'ho stupita allora!» fece lui con aria maliziosa.
«Stop joking, Marchini, this is not funny! You're always late» lo sgridò in inglese e lui come al solito fece finta di niente e si andò ad accomodare al suo posto, vicino a Rebecca.
Leonardo era quello che tutti oggi definirebbero 'nerd', ma per me era solo Leo, un ragazzo con ottimi voti, imbranato forse quanto me a cui non piaceva tenere i piedi per terra. Lo chiamavano 'il secco' perché due anni prima pesava la metà e poi si era ingrassato davvero tanto "per amore del cibo" diceva lui, e io non l'avevo trovata una frase poi così malvagia.
«Ci siamo tutti ora» disse la professoressa, leggermente innervosita dai continui ritardi.
Quando si fecero le due, io, Giorgia e Giovanni rimanemmo in classe mentre tutti gli altri andavano via.
«Vi aspettate davvero di non prendere il debito in matematica anche quest'anno?» disse lui mentre si sedeva sul banco.
«Quanto sei stronzo!» tuonò Giorgia.
«Ci si prova, no?» dissi io che se non fosse stato per la mia migliore amica, non sarei rimasta là.
Arrivò la vicepreside, colei che aveva ingegnato questo esperimento e ci guardò proprio come fossimo tre cavie.
«Per adesso che siete solo in tre possiamo mettervi in tre classi diverse dato che sono tutte vuote a parte la quarta che fa recupero di latino. Che ne dite? I vostri tutor sono già stati assegnati. Arriveranno a momenti.»
Ci dividemmo nelle classi e aspettai il mio.
Mi prese un colpo quando vidi Mattia varcare la porta dell'aula. Abbassai lo sguardo per non far vedere che ero arrossita, ma lui non ci fece nemmeno caso, entrò smanettando al telefono e si accomodò davanti a me dall'altra parte del banco.
«Oh ma guarda» disse in tono ironico, sorpreso di vedermi, «tanto lo sai che non riuscirai a prendere più di quattro in matematica, vero? Tu e mia sorella al massimo potete alzare il voto di due o tre punti, e nemmeno in quel caso arrivereste alla sufficienza.»
Mi alzai e feci per andarmene ma lui mi trattenne per il polso. «Aspetta.»
«Non sono venuta qua per essere insultata da te, Mattia. Lo sapevo che non sarei dovuta venire» dissi mentre avevo ancora la sua mano che mi cingeva il polso.
«No, aspetta. Siediti dai. Mi servono questi crediti.»
«Non voglio essere una cretina che usi per avere i crediti» feci una smorfia di dissenso e mi pentii subito di aver pronunciato quella frase passando per quella stra-cotta di lui, ed erano passati a malapena due minuti. In due ore cosa sarei stata capace di fare? Inginocchiarmi per chiedergli di sposarmi magari?
«Non prendiamoci in giro su. Io sono un mezzo per arrivare al sei e tu sei un mezzo per arrivare a qualche credito in più. Non mi fare queste scenate da bambina che non le sopporto, lo sai, mi conosci bene.»
Già, è questo il fatto. Ti conosco troppo bene e mi piace tutto di te. È solo questo il problema. L'unico vero problema della mia vita da quando avevo dodici anni: essermi innamorata del fratello della mia migliore amica.
Ritirai il braccio, presi le mie cose e me ne andai, non sarei stata lì a farmi trattare così da lui.
***
La sera, quando furono le dieci e mezza mi arrivò un messaggio. Il suo.
- Scusami Alice, ok? Ricominciamo da capo. Domani presentati e non ci saranno disguidi.
Non mi sarei presentata. No, non l'avrei fatto.
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