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3 - Ficus, fici, ficorum

Povera Cosetta, che pena con quella pesante cesta dei panni in mano, faticava a starmi dietro lungo le vie che scendevano verso la pineta. Ahimè, non potevo aiutarla, perché non era accettabile che un maschio portasse in pubblico un carico destinato alle femmine. La distinzione di genere imponeva che i maschi e femmine facessero le cose a loro affini. Però, appena potevo, di quella regola me ne infischiavo e le toglievo i pesi dalle mani, proprio come feci quel giorno. Anche perché arrivare fino al canale era una scarpinata. Districarsi nel fitto della vegetazione esigeva un buon senso dell'orientamento, spesso ostacolato dalla fatica. Poi, per essere sicuri di non aver sbagliato strada, bisognava trovare il sentiero battuto che zigzagava tra le alte siepi spinose. Però a me piaceva quel sentierino, affondare i piedi nudi nel tappeto di aghi secchi di pino che lo rivestiva, sentire il solletico a ogni passo mi dava il buonumore. In quella zona l'aria aveva il gusto della resina dei pini e del fogliame odoroso mosso da rari sbuffi di vento, mentre la luce del sole filtrava tra le fronde irsute in costante movimento ipnotico. Nelle occasioni in cui ci si sdraiava all'ombra di un albero, si poteva subire l'effetto soporifero dei canti stonati di cicale e uccellini. Era un mondo a parte. Una volta raggiunto il canale ci si rendeva conto che la conformità labirintica di quella zona costituiva un discreto teatro dell'intimità delle donne.

In segreto facevano anche il bagno e in faccia a Cosetta lessi quel desiderio. Una volta raggiunto il riparo della pineta mi convinse a rallentare il passo e a restituirle la cesta, e lei la posò a terra. Mi guardò sorniona con quei occhi celesti e sorridenti mentre pescava tre fichi maritati che portava nella tasca del grembiule. «Adesso te ne vai a farti un giro», mi cacciò in bocca un frutto secco e mi riempì una mano con degli altri. Indovinata la sua intenzione, pagò in anticipo la mia diserzione a farle la guardia. «Tanto dovevo andare a scavare la liquirizia per Sabino», la informai voltandomi.

«Fai attenzione, mi raccomando!» Feci finta di non ascoltarla e mi allontanai. Non mi andava d'incontrare Paolo proprio là dove c'era anche lei, perché sapevo cosa sarebbe successo quando notai Filomena che cercava di nascondersi dietro un'alta frasca. Mi voltai ma Cosetta era già giù a un passo dall'amica. Aveva già liberato i lunghi capelli neri dal fazzoletto. Inarcai le sopracciglia e masticai il fico che avevo trattenuto tra i denti. "Quante cose succedono oggi e la campana non ha ancora suonato il mezzogiorno!" Sorrisi affrettando il passo per onorare la tacita promessa di farmi i fatti miei altrove. Grazie a non so cosa trovai subito i cespugli di liquirizia. Però erano cresciuti spontaneamente sullo scosceso roccioso che dava sulla scarpata che interrompeva il selciato del canale. Oltre c'era la zona frequentata dai maschi, anche se non ci andava quasi mai nessuno proprio perché era un'impresa arrivarci. Un'impresa era soprattutto per me recuperare la liquirizia. Nell'arco della storia di Murice, molta gente era finita in quel precipizio. No, non volevo fare parte di quella storia. Tentennai giusto un attimo ma mi convinsi che Sabino doveva essere accontentato. Solo per lui ci provai.

Se qualcuno avesse potuto vedere come al primo passo falso ero scivolato sulla pendenza rocciosa, e come mi ero aggrappato in extremis al pino novello spuntato tra i cespugli di liquirizia, avrebbe pensato fossi in caccia di disgrazia. Avrebbe avuto ragione. Un paio di sassi rotolarono saltellando a un palmo del mio naso prima di tuffarsi nel vuoto. Ogni tonfo del mio cuore suonava come: guarda, è così che morirai. Non avevo intenzione di seguire quell'indicazione, piuttosto mi trascinai su, incurante dei profondi graffi che stavo collezionando sulle braccia. Fu una brutta esperienza restare con le gambe sospese nel vuoto. Alla meno peggio immaginai di fratturarmi le gambe e di fare compagnia a Sabino. Brutta prospettiva pure quella. Imprecai, mentre spostavo la presa dal pino alla base del fusto della liquirizia. Però tanto bastò perché non solo mi trassi in salvo, ma riuscii a recuperare pure la radice sradicandola tutta. Ripresi il fiato, che nemmeno sapevo aver sospeso. Strisciai indietro e finalmente riconobbi la morbidezza della terra dove crollai di schiena. Avevo le braccia indolenzite e il frastuono nel petto che non voleva cessare, impedendomi di distinguere la voce di Paolo. Dovette coprirmi la visuale del cielo oltre le fronde degli alberi perché lo riconoscessi. Mi chiese cos'era successo, in risposta gli mostrai la liquirizia e comprese. «Tu sei tutto suonato!» commentò sbrigativo prima di tirarmi su a forza.

Dopo aver salito l'ultimo tratto di sentiero, reso ristretto da massi grigi e rocce scolpite dalle piogge, scendemmo vincendo gli ostacoli fatti di rovi e arbusti resi legnosi dal sole. Imprecammo e ridemmo in tutti i modi possibili. Poi raggiunta la meta, più sudato che mai, avevo anch'io voglia di fare il bagno. Paolo fu più veloce di me a spogliarsi e a buttarsi in acqua tutto allegro. Osservai taciturno senza che se ne accorgesse la maniera oscena con la quale si sciacquava il pene. Era bianco come i testicoli glabri. Turbato, arrossii nel segreto della camicia che mi sfilai senza sbottonarla. Rimasi con la testa falsamente impigliata nel tessuto e sconfitto dalla vergogna dell'erezione, misi anch'io le palle nell'acqua fredda del canale, la cui provenienza era un mistero. Si sapeva solo che sgorgava dalle viscere della terra, un fenomeno carsico piuttosto raro. Come raro era per Paolo ciò che, con premura, voleva farmi vedere. Si era appostato sul limitare del picco roccioso che interrompeva il selciato destinato alle donne, laddove già sapevo che Cosetta e Filomena stavano sconvolgendo l'ordine naturale delle cose.

Mi chiamò con urgenza, quasi allarmato, ma incurante della sua mano lanciata sull'uccello. Lo raggiunsi controvoglia. La superficie dell'acqua ci arrivava solo sulle natiche e molestava i pendagli.

«Ci stanno due femmine che si stanno... madò che roba!» esclamò sottovoce, timoroso di essere scoperto a spiare nonostante la distanza approssimativa di venti metri e il sonoro sciaguattio dell'acqua. «Guarda guarda!» diceva, ma io me ne stavo a braccia conserte schiena contro la roccia e gli occhi puntati altrove. Non avevo voglia di rivelare a Paolo che sapevo tutto prima di lui. Avevo già visto nello stesso luogo Filomena baciare Cosetta. Avevo già visto le sottane diventare trasparenti in acqua dove dentro facevano scintille. Avevo già visto mio malgrado ben altro. No. Non mi andava di svelargli la tenerezza che mi aveva fatto vedere come l'una apriva la spacca dell'altra (la ferita, ovvero: l'intimità femminile) con le mani e successivamente infilare la lingua in un moto perpetuo, consolante e alla fine appagante. Quando scoprii quel mistero tra donne, ero sconvolto? Sì. Quella volta mi nascondetti, nonostante fossi già al riparo da loro. Mi inginocchiai e mi coprii la faccia con le mani. Non avevo trovato nulla di disdicevole, tutt'altro, mi dispiacque aver profanato quell'attimo felice tra loro. Mi ripromisi di non oltraggiare mai più la loro felicità con la mia presenza.

E Paolo, era sconvolto quanto lo ero stato allora? Sì, ma non alla stessa maniera. Prese coscienza di ciò che stava combinando con la mano e portò a termine il lavoro. Eiaculò e l'acqua trascinò verso me quel muco lattiginoso appena espulso. Sembrava uno spettro informe sospeso nel vuoto. Raggiunse piano piano la mia mano immersa. Non la scostai.

«E tu, non ti fai?» mi chiese ancora ansimante. Pretendeva una prova di gradimento. Non lo accontentai.

«Non l'hai riconosciuta? Una delle due è mia sorella.» Allora sì, che vidi Paolo sconvolto come volevo fosse, muto e vergognoso. Da bravo vigliacco mi chiese di non dirlo a Nando. Mi fece abbozzare un sorriso. Se lo avesse saputo mio fratello, avrebbe ucciso lui e lasciata esanime Cosetta. O almeno così avrebbe agito il Nando che ricordavo prima dell'arruolamento. Cercai lo sguardo di Paolo ma me lo negò. Gli feci cenno di andare così avrei simulato d'incontrare Cosetta per caso, com'era prassi in situazioni simili. Di fatti in quel luogo molte vite erano state concepite anche fuori dal matrimonio e le coppie che vi si appartavano trovavano sempre il modo di separarsi dagli accompagnatori; di solito erano i fratellini o nipoti piccoli.

«E tu, non lo dici a Nando di Cosetta e Filomena?»
Non risposi. "Possibile che non arrivava a considerare le conseguenze se avessi riferito a Nando i fatti di Cosetta? Cosa avrei ottenuto oltre a rovinare i rapporti con l'unica sorella con la quale avevo legato di più? Mi conveniva sciupare la meraviglia di scoprire un Nando meno irascibile e più fraterno?" Feci una smorfia e mi vestii velocemente, tirai fuori dalla tasca un fico maritato e glielo regalai.

«Non posso, se mi trovano con questo i miei mi...»

«Se lo nascondi nella pancia non lo saprà nessuno.» Sospirai mentre sciacquavo nel canale le radici della liquirizia.

«Mm! Sono quelli con la mandorla dentro!» Apprezzò il boccone e gli diedi anche l'ultimo fico che divorò mentre ci rivestivamo. Fece per commentare ancora, ma un verso animale mi suggerì di zittirlo con un gesto. Cercai la fonte del lamento e scattai in quella che sembrava la direzione giusta. Infatti, in mezzo a un rovo trovai un grosso pollo impigliato. Sorrisi. Mia nonna diceva che a volte a essere generosi si viene ricompensati dalla provvidenza. Non ci credevo alla provvidenza ma all'inettitudine di Don D'Arcento che si perdeva il pollame sì. Sapevo che era suo perché aveva un segno di riconoscimento: un cordoncino rosso legato a una zampa. Non era il primo che perdeva. Chissà, forse li smarriva a posta per arricchire i sermoni annunciando ire divine se non gli veniva restituito ciò che gli sfuggiva dall'aia dietro la chiesa.

«Come c'è finito fin qui?» Il dubbio di Paolo era legittimo. Alzai lo sguardo.

«Si sarà buttato dal costone.» Gli indicai la parete rocciosa a forma di onda pendente sopra noi. Sembrava promettere di caderci addosso.

«Beh, allora è mio!»

«Se i tuoi ti vedono con un fico secco fanno storie e con un pollo no?» Paolo realizzò di non essere stato scaltro come credeva e così agguantai il collo del pennuto. Quello mi guardò truce, accusatore e forse implorante pietà, comprese che non avrebbe ottenuto nulla da me, perciò smise di starnazzare e mi ringhiò. Odorava la fine che lo attendeva e non gliela feci annusare un secondo di più. Almeno avevo procurato qualcosa di sostanzioso per festeggiare il ritorno di Nando. Lì per lì non mi ero posto il dubbio d'aver forse rubato né venne a bussare mai alla porta della mia coscienza quel pensiero. Purché avessi reso contento Nando offrendogli la parte migliore di quel pollo, avrei digiunato volentieri. Lo avrei visto mangiare, innocente e io mi sarei saziato della colpevolezza di volere che lui rimanesse tale.

Quando Paolo mi lasciò solo, dopo aver risalito il picco roccioso, rimasi nascosto dietro un folto cespuglio per dare modo a Cosetta di ricomporsi e far allontanare Filomena. Perciò trovai utile spennare il pollo, così da anticipare il grosso del lavoro. La vista della carcassa sorprese mia sorella, ma non mi domandò nulla. Qualunque fosse la provenienza ormai il fatto era compiuto, glielo lessi in faccia. Però mi suggerì di togliere il laccio rosso dalla zampa e a quel punto non avevo dubbi che avesse intuito qualcosa. Mi piaceva la complicità che mi offriva. Ritornammo a casa percorrendo la strada più nascosta per non essere visti dagli sguardi indiscreti di certe pettegole. Fummo fortunati.

Nessuno a casa domandò l'origine del volatile, nemmeno papà che se ne stette a bocca aperta in perpetua espressione di disgusto nei miei confronti. Mamma invece fece un gesto col capo e Cosetta affermò che il pollo l'aveva trovato lei nella pineta. Il mio contributo era stato averlo acchiappato. Mamma mi puntò come a chiedere se doveva bersela. Chinai la testa ma non sganciai il contatto con gli occhi e alla fine mi ordinò di passarlo a Palma che lo cucinò alla brace.

Menomale che c'era Sabino, l'unico a darmi soddisfazione anche se non lo palesava mai. Difatti non mi ringraziò quando gli diedi un pezzo di radice di liquirizia, se la infilò in bocca tutto smanioso e con un gesto mi mandò via. A confessarla tutta, a me andava bene così, avevo voglia di stare insieme a Nando quel giorno. Lo trovai su, nell'orto. Per arrivarci bisognava salire sulla gradinata scolpita nella roccia incastonata al fianco sinistro della casa, il terrazzo della quale era in piano col terreno. Intorno nasceva ancora il grano, noi piantavamo un po' di tutto, incuranti della stagionalità; fin tanto le piante fruttavano proseguivamo a curare la terra.

Mascherai la delusione vedendo Gregorio assieme a Nando. Era prevedibile, lui faceva tutti i lavori pur di non allontanarsi da casa.  Ignoravo il motivo per il quale era sempre inchiodato in quell'angolo. Però era bravo a far seccare i fichi e le susine. Quando c'erano raccoglieva pure le mandorle dai nostri tre alberi. Da lui appresi come prelevare i ficodindia dalle pale spinose senza ferirmi e altre cose così. Per il resto era un enigma di ragazzo. Non meno enigmatico era il nuovo atteggiamento di Nando. Almeno di lui volevo capirci qualcosa di più. Purtroppo non ottenni nulla su quel fronte, appena mi avvicinai cambiarono il discorso del quale avevo afferrato ben poco. Anche le vanghe avevano cambiato ritmo e ciò mi fece credere di averli disturbati. Peccato. Il tempo era finito. Palma aveva chiamato già due volte l'ora di pranzo. Ancora peccato per me, che prima di sedermi a tavola dovetti ripulire di nuovo Sabino. Accidenti, per la smania di stare accanto a Nando non feci attenzione al pavimento irregolare, dove inciampai con tutta la bacinella. Il disastro sul pavimento accanto alla tavola esigeva un intervento velocissimo. Gli odori del buon cibo preparato da Palma si era mescolato a quello grave dei bisogni di Sabino. Naturalmente papà si trovò servito il pretesto per darmi il calcio che avevo schivato quella stessa mattina. Come punizione mi obbligò a mangiare gli avanzi degli altri fuori casa. Sul fatto che mi avesse bestemmiato contro tutto il tempo, anche mentre stava mangiando, desidero dimenticarlo.

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