23 - Non voglio più niente
È raro che un desiderio si avveri, ma quando succede l'importante è non pretendere altro. Volevo che la gravidanza di mamma procedesse bene, così da catalizzare tutte le attenzioni di casa e fui accontentato. Persino papà diventò meno propenso ad alzare le mani se non per ubriacarsi. Povero diavolo, era stato costretto dal perbenismo sociale a far vivere in casa sua un estraneo. Io, per assecondare la sua necessità di non avermi attorno, svolgevo tutti i miei compiti in totale silenzio e alla minima occasione andavo via. Ero e volevo essere un fantasma per lui.
Pur con questa nuova prospettiva scelta di proposito però, il fottuto pensiero del fottuto soldato americano non accennava ad abbandonarmi. Poteva essere la stessa malia esercitata da mamma su Funiello? Poteva lui subirla tutt'ora per l'irrealizzabile sogno di stare assieme a lei? Non avere mamma con se, lo stava ancora tormentando? Non volevo lo stesso destino. Dovevo togliermi dalla mente quello là. L'unica persona che consideravo capace di consigliarmi era solo Filomena.
Il caso scelse per me un giorno di fine gennaio del 1945, l'anno in cui la guerra sarebbe terminata. E ancora il caso volle che, dopo essermi liberato dalle faccende, sorpresi Funiello a casa di Filomena. Era nella camera da letto, spensierato, con la porta finestra aperta, con una sigaretta in bocca e il "crea popoli" al vento. La sua spensieratezza mutò in vergogna appena mi vide sulla soglia. Non ero turbato, anche se vedere un padre nudo era l'apice dello scandalo domestico. Si coprì alla meglio, indeciso se imprecare o salutarmi. La sigaretta cadde sul pavimento spegnendosi in un mare di scintille e il trambusto che stava provocando allarmò Filomena che comparve di corsa da una porta accanto.
«Che cosa combini Fun-uh! Robbè!» E anche quella, svestita di sopra, incrociò le braccia per proteggere il seno dalla mia vista, indecisa a chi rivolgersi per primo. Le tolsi l'imbarazzo.
«Devo chiederti una cosa.»
«Pago io!» Si intromise Funiello e per quella insinuazione lo fissai come se avessi potuto lanciargli le spine con lo sguardo.
«No.» Filò scosse la testa. «Fernando non vuole. Mi ha detto che ci avrebbe pensato lui a trovare quella che va bene per Roberto.» Era convinta di ciò che aveva detto. Non se l'era inventata quella scusa. Nando le aveva detto davvero quella bugia. Amato fratellone.
«Dammi un po' di tempo, mi sistemo e sono da te. E tu...»
«Me ne vado.» Disse piccato il farabutto. Chissà cosa stava pensando - nemmeno m'interessava.
Filomena prese il suo tempo. Attesi non poco, prima di vederla con i capelli in ordine, e vestita con una vestaglia casta. Mi fece accomodare in cucina. Era la prima volta che accedevo fin dentro casa sua. La sua era una vera cucina dell'epoca. Aveva il forno a legna di metallo, un caminetto con i testi (pentole di terracotta) di coccio a cuocere qualcosa, una nicchia scavata nella roccia per conservare al meglio la frutta e tanti vasetti di conserve. Il tavolo avrei giurato fosse nuovo per come era tenuto. Brillava di lucido e le sedie avevano pure i cuscini. Il pavimento era grezzo, non aveva le mattonelle come le altre camere, ma era liscio e senza polvere. I tessuti sì, erano rammendati, ma erano puliti e addirittura ricamati.
«Cosa devi dirmi?» Interruppe il mio sbalordimento. Mi fece accomodare a tavola. Giacché era stata disponibile non tirai per la le lunghe.
«Come si manda via dalla testa una persona che ruba ogni pensiero, ogni attimo, ogni giorno, ogni sempre?»
«Non so chi sia questa figliola, ma ti ha proprio rubato l'anima. Dev'essere un diavolo.» Commentò asciutta, ma a me non importava. Rimasi in attesa. Immobile. Lei si accese una nazionale e me ne offrì una. L'accettai. Soffiò una nuvola di fumo denso prima di decidere la risposta.
«C'è chi ama e c'è chi non è capace. C'è chi ama sempre, cioè trova sempre qualcosa in qualcuno di cui innamorarsi. E c'è chi ama una sola volta nella vita.»
«E io in quale genere mi trovo?»
«Eh!» Sbuffò fumo pure dal naso. «Il bello è che non puoi decidere che tipo di amore riesci a dare.» La osservai intensamente. Era arrossita. C'era qualcosa di personale nascosta nelle sue parole. «Se sei il tipo che dà una sola volta, bello di Filò, stai inguaiato per la vita.» L'amaro gusto espresso confermò che di se stessa stava parlando. Ecco il perché del bisogno di cercare conforto tra le braccia di tanti uomini. Chissà chi era il diavolo che aveva rubato a lei l'anima.
«Come me ne tiro fuori, Filò.» Sospirai una nuvola densa di fumo dalla bocca, quasi l'avessi vomitato.
«Eh, se questa stronza non ricambia, se non ti pensa, meglio che la lasci andare. Non ne vale la pena. Sei ragazzino ancora. Funiello mi ha detto che la guerra forse finirà presto. Il mondo diventerà più sicuro. Sei maschio, puoi fare quello che vuoi. Rimanere qui in questo posto, andare via, stare bene, stare male, dipende da te. E per il bene che ti voglio, ti dico fa quello che è più giusto solo per te.» Si sforzò di svelare quello che avrebbe voluto fare se fosse nata maschio. Ero incapace di aggiungere altre domande, ma non di riflettere per la prima volta sulla possibilità che Vuòlt non mi pensasse affatto. Non avrei potuto biasimarlo. Ero stato sgarbato quando ci eravamo lasciati. Certo, aveva anche detto che mi avrebbe pensato. Ma come si fa ad appurare se è vero quando uno promette di pensarti? Fernando mi aveva pensato mentre stava per perdere la vita, però poi era venuto di persona a dirmelo. E Vuòlt? Sarebbe mai tornato a dirmelo?
Mi alzai dalla tavola imitando la fretta di Filomena.
«Và! Ora va'! Che ci ho da fare, va'!» Mi esortò mentre la raggiungevo per darle un bacio sulla guancia così, d'istinto. Non si ritrasse, ma nemmeno corrispose l'affetto, e come avrebbe potuto? Alle mie spalle era apparsa Cosetta con le braccia ai fianchi e la perfidia negli occhi celesti.
«Oh! Non con mio fratello!» L'ammonimento frustò me per primo, e forse solo me. Mi voltai e la raggiunsi.
«Nulla di ciò che immagini è avvenuto o accadrà mai. Filomena ti dirà quello che è successo.» Mi assicurai che Filò fosse a suo agio per poter raccontare la verità. Tanto non le avevo detto che era un soldato il mio diavolo. Baciai anche Cosetta e lei, incapace di opporsi, rilassò la fronte e mi mostrò i suoi begli occhioni celesti rasserenati. Non mi sarei perdonato se le donne migliori del mondo avessero litigato a causa mia.
«Mamma vorrebbe del pesce.» Si affrettò a informarmi prima che sparissi dalla porta sul retro. Mi consegnò la tela d'ordito che s'era portata appreso. Soppesai l'orario indicato dall'orologio a pendolo di Filò e realizzai di poter essere in tempo per scendere a mare e tornare per il pranzo. Mi baluginò l'idea di usare la bicicletta per fare prima, ma passare dalla chiesa proprio non ne avevo voglia. Andai quasi correndo, così mi scaldai visto che faceva fresco, anche se l'inverno non si era presentato rigido e qualche vecchietta ci aveva letto del buon auspicio. Strada facendo mi venne l'idea di dire addio all'attimo felice vissuto col soldato ai piedi della sorgente. L'avrei congedato dai miei pensieri e da tutto il resto. Forse.
Superai la ferrovia quasi senza accorgermene e la vista del mare mi sorprese, sembrava volesse rovesciarsi dal vicino orizzonte. Puntai la direzione dove una volta c'era la tenda degli americans, ma non c'era. Il lido del Mar Piccolo col suo monastero abbandonato dei Battendieri era immerso nella solitudine più completa, uno specchio dove potevo riflettermi. Scesi giù dal sentiero armato di coraggio. Mi diressi verso la sorgente scoperta. Per lo meno non incontrai un altro tedesco.
Pescare a strascico da soli non è facile, ancora meno togliersi i pantaloni in pieno inverno e camminare nell'acqua gelida. Tuttavia l'esperienza mi aveva insegnato che muovendomi lentamente il freddo diminuisce. Agganciai la tela d'ordito a dei vecchi pali di legno, una volta usati come ormeggio dai pescatori locali. Mi diressi verso la sorgente e poi a ritroso presi a cazzotti l'acqua per mettere in fuga i pesci e dirigerli in rete. La trappola funzionò. Certo, molto pescato sfuggì mentre recuperavo e chiudevo la rete, ma il risultato fu accettabile, nonostante mi costrinsi a essere veloce perché l'acqua era davvero gelida.
Buttai il sacco sulla spiaggia e prima di rivestirmi improvvisai una specie di tarantella per asciugarmi. Imprecai a squarciagola, tanto non mi sentiva nessuno. O almeno l'avevo creduto fin quando non udii una voce dal mare. Mi girai con ancora in dosso solo la camicia. E chi mi ritrovai davanti? Un prete su una barchetta a remi che mi indicava come se avesse visto il demonio. Siete curiosi di sapere cosa pensavo? Bah! Di tutto avrei avuto bisogno in quel momento, meno di un altro "moscone" in abito talare.
«E tu d'inverno vai in giro senza calzoni?» Mi disse quello dopo aver ormeggiato la barchetta a un paletto storto.
«Vedessi d'estate, vado in giro senza niente. Comunque buongiorno!» Mi rimisi i pantaloni, solo perché cominciava a farmi davvero freddo, sennò non so cosa avrei fatto succedere. Rispose al buongiorno ma non mi mollò con gli occhi fino a quando non mi ero sistemato. Contento lui. Mi congedai all'istante senonché mi chiese dove fosse Murice. Ma proprio il mio paese cercava? Mi chiese di aiutarlo. Accidenti, mica potevo dargli l'indicazione e poi seguirlo per la stessa strada.
«Venga con me, padre?»
«Don Cataldo De Felicis. E tu, bel figliuolo?» "Stronzo tu e il tuo bel figliuolo".
«Marchese Roberto Peretti Amana.» Risi sotto i baffi per avermi concesso il titolo che, a onor del vero se la storia non avesse preso la piega che il mondo conosce, sarebbe stato il mio legittimo grado nobiliare. Non sarebbe nemmeno suonato male. «Vi faccio strada, c'è da camminare.» Raccolsi il sacco di tela di pesci e me lo misi in spalla. Il prete non sembrava abituato alle scarpinate, tant'è vero che sbuffò.
«Buon Dio, mi costringono a prendere la barca e a navigare il mare dalla città e ad approdare in questo lembo di terra desolata, e ora devo farmela pure a piedi!» Adocchiò il monastero. «Chiediamo là, forse ci daranno un mezzo.»
«Quel casale dei monaci sono secoli che è abbandonato. E poi è stato sconsacrato per abbandono. Là dentro ci vanno le coppiette a fare l'amore, quando non è usato dai pescatori come punto d'appoggio durante i periodi di pesca.» Non era un tipo acuto... Gente di città. Sgranò però gli occhi all'ultima informazione. Era incuriosito.
«E tu, marchese, non hai una carrozza, un cavallo, una vettura o un ciclo a motore?»
«No, ma qualche volta guido il treno.» Gli risposi voltato di spalle e mi scappò una risata.
«Non c'è bisogno di fare lo spiritoso, birbante!» Mi ammonì. «Su, andiamo che così potremo dire le preghiere e leggere qualcosa.» Aggiunse tirando fuori un breviario. Mi mancava proprio la "messa marciata". Se non altro non avrei pensato a Vuòlt. Col cavolo! Anche quando gli anticipavo i passi della Bibbia la mia mente mi sbatteva in faccia addirittura il bel cazzo di Walter.
«Sei ferrato nella teologia. Dimmi, vorresti diventare prete?» Scoppiai a ridere così tanto che per poco non mi scappò il sacco del pescato. Non potevo evitare di ridere paragonando l'aspersorio a ciò che avevo ricordato.
«Non devi ridere, è una questione seria. Ne hai fatto cenno a Don Mauro D'Aargento?» Conosceva don D'Arcento?! Avrebbe dovuto non sorprendermi. Perché lo cercava? Per consegnargli qualcosa, una enciclica, così mi aveva detto. Roba da preti insomma.
Dopo più di metà strada cominciò a essere insofferente. «Per la pazienza di Giobbe! Quanto manca ancora?» Il volto da ultra quarantenne mi parve diventato da ultra settantenne.
«Non imprechi padre, altrimenti Don D'Arcento, cioè Don D'Argento le darà la penitenza.» Risi ancora.
«Sarà sempre meno di quella che darò a te se non la pianti di prendermi in giro, monello!»
«Non mi provocare.» Borbottai il falso, perché quello mi aveva già provocato a sufficienza. Prima che si potesse scorgere la parte emersa di Murice deviai per il canale e padre Cataldo mi seguì come un randagio. Lo condussi sulla riva e lì mi fermai. Era stremato e finalmente muto. L'ultimo fiato glielo tirai a forza chiedendogli se c'erano ancora i tedeschi a Taranto. Si meravigliò della mia disinformazione.
«Ma non vi è giunta la notizia? Gli americani li hanno cacciati da più di un anno! Hanno fatto tutti una grande festa per le strade. Non accendete la radio, marchese?» Si vendicò canzonando il mio titolo posticcio. Mal per lui che, per merito mio, vide la via terminare sulla riva del canale. «E ora?»
«Dica una preghiera come Mosè così si apriranno le acque, oppure attraversiamo il canale con le chiappe ammollo. Murice è dall'altra parte. Vede?»
«Ma che strada barbara! È da ultimo dei mondi guadare il fiume a corpo! Ma dov'è finita la civiltà? E poi non devi trarre sollazzo dalle sacre scritture, piccolo demonio!»
Risi sotto i baffi. «Guardi che è un canale, non un fiume e poi ci vuole poco.»
«Ma mi bagnerò tutto, e fa freddo giovanotto, e non ho più l'età io per certe cose!»
«Allora la saluto.» Mi voltai per non ridergli in faccia.
«Ma porco D...» Ero riuscito a farlo imprecare. «Marchese, mi dia una mano.» Ero già in mezzo al canale quando quel disgraziato mi aveva implorato. Mi girai di nuovo e balzellando lo raggiunsi. Che spasso, stava con la Bibbia sollevata con le mani e lo sguardo in basso. Mi faceva male la cicatrice sul viso per trattenere la risata. Marcai l'accento dialettale.
«"Sùbita padra!" Non abbia timora! Ci sono io-»
«Roberto!» La voce di Cosetta pose fine al sollazzo. Mi ravvidi a forza e trascinai il poveraccio dall'altra parte della riva. Godetti comunque del fastidio che accusava per l'abito fradicio. Seguii con lo sguardo mia sorella scendere l'avvallamento roccioso con il cesto dei panni già lavati. Era accigliata.
«Ma perché non hai fatto la strada buona?»
«Perché, c'è una strada buona in questo limbo infernale?» Disse Don Cataldo tremolante dal freddo. Sbuffando una risata lo presentai a Cosetta. Lei ribadì l'esistenza della via asciutta che avevo evitato di proposito. Al che il prete mise le mani ai fianchi e mi rimproverò col volto imbestialito. Cercai complicità a Cosetta, ma stavolta non mi accontentò. Poco male, vedere il prete lottare contro le fronde irsute dei pini e inciampare tra i sassi mi sollevò di più l'umore.
Quando sbucammo nel bel mezzo della piazza tirò un sospiro. Cosetta gli indicò la chiesa matrice, nonostante fosse evidente data la mole. Io adocchiai la mamma di Paolo e avvertii mia sorella che andavo a regalarle un po' di pesce, così forse avrebbe ricambiato con del pane.
«Non fare tardi!»
«Sì, e tu fai conoscere Don Cataldo a Don D'Arcento, a quest'ora non sarà occupato a pregare!» Cosetta carpì il sottinteso. Fece finta di ammonirmi. Sotto sotto sapeva anche lei che quella era l'ora della perpetua che non spolverava mai. Prima di raggiungere la mamma di Paolo feci in tempo a sentir Don Cataldo chiedere: «Ma chi è quel demonio impunito?» Cosetta rispose con un aggressivo senso di protezione: «Il demonio è mio fratello.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro