Prologo
La sabbia le scivolava fra le dita come seta, finendo per depositarsi in un mucchietto dorato sul suo vestito.
Era facile per lei recuperare quasi ogni granello da quella lieve conca formata dalla sua posa a gambe incrociate e si divertiva a compiere quel gesto diverse volte, finché la sabbia non scompariva tutta a mano a mano che filtrava dal leggero tessuto di lino.
Suo padre amava ricordarle, e non solo a lei, quanto fosse rara una sabbia tanto fine, che in tutto il continente non esisteva tranne in quel regno. Sua madre non mancava di ribattere che la finezza della sabbia era inutile quando le spiagge erano ricoperte da rocce e l'acqua infestata dalle alghe. Lei che veniva dal nord, dove il gelo della neve aveva forgiato il suo temperamento tenace, e non esistevano che foreste e montagne, non riusciva ancora ad apprezzare le sponde cristalline, che bisognava saper trovare vagando per miglia oltre le dighe di roccia.
Ancora una volta stava consumando lentamente il suo mucchietto di sabbia, perdendosi nei suoi pensieri, ignorando il resto della corte attorno a lei.
Sapeva che sua madre non distava molto, seduta diritta tra cuscini di seta sotto il suo opulento chiosco e attorniata da zelanti ancelle pronte a ogni suo capriccio. Eppure la regina non era capricciosa; algida, severa e di poche parole, non somigliava certo alle tante dame oziose, civettuole e pettegole che le giravano intorno nel vano tentativo di entrare nelle sue grazie.
Sentiva i loro chiacchiericci inutili in quello stesso momento, espandersi nel cortile rovinando l'atmosfera placida, quasi magica, delle prime ore mattutine dopo l'alba.
«Corinne.»
La principessa non si disturbò a sollevare lo sguardo; riconosceva bene quella voce dolce, limpida, di suo fratello.
«Cos'è accaduto ora?»
«Madre richiede la tua presenza al suo cospetto, sorellina.»
Ecco, cos'altro disturbava il suo prezioso momento della giornata. «Arrivo.»
Lasciò andare la sabbia che teneva ancora tra le mani e alzandosi scivolò sulle sue gonne per poi ricadere a terra come polvere magica. Sorrise senza osservarla; non ne aveva bisogno. Conosceva fin troppo bene ogni sua sfumatura dorata e rosea, non molto dissimile al colore della sua stessa pelle.
Il fratello le porse una mano, bronzea e dalle dita un po' goffe, che lei afferrò con grazia. Il calore della sua pelle le trasmise come sempre forza e un beato senso di quiete, poiché bisogna essere così di fronte a sua madre, forti e calmi al contempo.
Sentì le sue vesti leggere frusciare ai suoi movimenti, mentre il fratello la conduceva rigido e con sguardo sereno fino al chioschio della regina.
La sabbia lasciò il posto a un'acciottolato grigiastro, inospitale per i suoi piedi abituati alla sabbia e poi a una candida stradina che si apriva su un rigoglioso giardino fiorito. Roseti bianchi incontravano peonie e camelie, ranuncoli e garofani. Era cresciuto col tempo anche un gruppetto di margherite qua e là, in mezzo al verde dell'erba.
Quel giardino era l'orgoglio della casa del re, poiché nessun sovrano prima era riuscito a far nascere tanti fiori in un clima così caldo. Duravano ben poco però all'estate torrida, appassendo già con il caldo della primavera inoltrata. Per questo lei odiava quel giardino, che considerava un tetro simbolo dell'egoismo umano. Amava l'acqua, la sabbia, gli anemoni e le palme, che non pativano il clima caldo di quelle terre. Forzare la natura a fare ciò una regina voleva, non per capriccio ma per orgoglio della sua nativa patria, era per la principessa un mero simbolo di cattiveria.
«Ricorda di non sorridere» le sussurrò suo fratello tra i denti mentre si avvicinavano al palchetto rialzato dove sedeva la madre.
«Non temere, non sono una sciocca.»
«Volevo solo ricordartelo, perché non accada come l'altra volta.»
Un nodo le strinse la gola. Suo fratello aveva usato un tono gentile, come il suo solito, ma a lei faceva male comunque; non voleva ricordare uno dei suoi tanti, troppi, errori.
La regina volse loro lo sguardo già quando si affacciarono sulla stradina bianca; anche da lì in fondo si distinguevano bene i tratti alteri del suo volto, ma era avvicinandosi che si delineavano bene la mascella serrata, il taglio degli occhi allungato all'insù, gli zigomi alti e il collo sottile. Abbassò lo sguardo per non incontrare il glaciale azzurro del suo sguardo severo.
Al suo fianco il fratello ai fermò e allora lei fece un passo all'indietro, la testa chinato fino a sentire quasi dolore al collo. Con le mani cercò di trattenere la stoffa della gonna, che svolazzava alla brezza mattutina.
«Madre, siamo ora entrambi al tuo cospetto.»
«Sì, Leido, lo vedo.» La voce della regina era tagliente, il tono incolore. «Corinna, quale incompetente ancella ti ha fatto indossare tale abito?»
Il nodo nella sua gola le bloccò il respiro. Senza la mano del fratello nella sua, poiché davanti alla madre l'aveva lasciata per inchinarsi, non sentiva più quella forza rassicurante di poco prima. Si sentiva debole e indifesa, come le tartarughe appena nate che aveva visto una volta camminare verso il mare. Più della metà era stato arpionata dai becchi e dalle zampe dei volatili prima di raggiungere la riva.
«Nessuna ancella madre. Sono stata io a mettere questo abito. Non credevo di dover...»
«Taci! Non ti permetto di parlare oltre.»
La voce della regina era pregna di collera, nonostante Corinna fosse certa che il suo volto non lo mostrasse, ma non ebbe il coraggio di accertarsene.
«Le tue ancelle saranno frustate prima dell'ora di pranzo. E tu, Leido, la prossima volta che lascerai tua sorella a giocare sulla sabbia, sai bene cosa ti aspetterà.»
Sentì suo fratello irrigidirsi al suo fianco. Poteva vedere di sottecchi la sua mano destra stringere l'abito pesante che indossava, ma le sue dita arpionavano la stoffa dietro la schiena così che la madre non vedesse.
«Vi ho convocati perché come ben sapete presto vostro padre partirà per la guerra. L'esercito si sta preparando, le truppe radunando e a ognuno spetta la sua parte. Guardatemi negli occhi, figli.»
Corinna sollevò titubante lo sguardo, evitando di tenere la testa alta, ma drizzando il più possibile le spalle. Sperò che i suoi non tradissero le sue emozioni.
La regina, seduta dritta tra cuscini bianchi, indossava un abito blu notte dal collo alto e le maniche lunghe, nonostante fosse già arrivata la primavera. Faceva caldo e lei sudava anche con indosso la sua veste leggera con le maniche ai gomiti.
«Con il tuo corpo debole, tu non puoi combattere Leido, ma la tua parte la farai come capo della scorta personale della principessa Corinna.»
«Cosa? Un improvviso terrore s'impadronì di lei. Perché sua madre aveva detto scorta? Voleva mandarla via, allontanarli entrambi perché erano nati strani?»
«Corinna, guardami!»
Puntò lo sguardo sulla madre. Sapeva di avere un'espressione confusa, che non tentò nemmeno di mascherare.
«È volere del tuo re, che mi ha ordinato di comunicartelo, unire la casata dei Voldork con la nostra. Costoro sono venuti dal nord per stabilirsi a Gania. Tu dovrai recarti lì, dove al compimento dei tuoi dodici anni diverrai sposa del loro lord.»
Il cuore di Corinna ebbe un tuffo; sentì la mano di suo fratello prendere di scatto la sua e fare un passo indietro.
«Madre, che follia è questa? Corinne ha solo undici anni!»
«Mancano pochi mesi ai suoi dodici e tua sorella è già una donna. È pronta per diventare moglie del lord e starà a Gania per qualche tempo prima delle nozze, così da imparare meglio i loro costumi e comportarsi come una vera nordica.»
«Ma io non sono nordica!»
Si rese conto troppo tardi della gravità di quello che aveva detto. Sua madre si alzò dalla panca senza spostare nemmeno un cuscino. Rigida come una roccia, come quelle rocce che disprezzava, prese a scendere i gradini di legno del palchetto. Subito le dame del suo seguito si mossero per servirla, ma lei le allontanò con un breve cenno di una mano.
Quando fu a un passo da loro Corinna abbassò la testa; sentiva di stare tremando ma non riusciva a contenersi. La mano della regina si sollevò e si aspettava uno schiaffo che non arrivò.
Suo fratello accanto a lei accusò il colpo senza fiatare. Avrebbe dovuto immaginarselo, pensò con rabbia e dolore, che se la sarebbe presa con lui.
Una serva osò avvicinarsi, ma solo per porgere alla regina un lungo bastone scuro, le due estremità decorate da una grossa gemma blu. Corinna non aveva il coraggio di guardare ma sapeva di doverlo fare, altrimenti avrebbe aggravato la punizione.
La regina sollevò il bastone, gli occhi di ghiaccio spalancati da una rabbia che tradiva solo lì. Il resto del suo corpo eseguiva il suo vere come un muto servo. Il bastone lo colpì alle gambe. Con un urlo soffocato il principe Leido crollò a terra, il volto rigato di lacrime, la bocca serrata in una sottile linea scura.
Un dettaglio però la colpì: suo fratello sosteneva lo sguardo della madre, con un coraggio e una forza tale da renderla orgogliosa. Il suo gesto la colpì nel profondo; non l'aveva mai fatto.
Continuò a fissarla con occhi colmi d'ira per tutto il tempo in cui il bastone calò su di lui.
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