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Capitolo quattro: Bella

⚠️TW: autolesionismo, lacrime, mezza depressione.⚠️
Ho cercato di essere il più delicata possibile, ma se non avete voglia di leggere vi capisco. Non fa niente, questo capitolo non è importante per il corso della storia, aiuta solo ad inquadrare meglio il personaggio di Bella e a ricordavi che non siete solə né sbagliatə.

Isabella

Uccelli. Questo è il primo suono che le mie orecchie percepiscono appena mi sveglio. Cinguettano come al solito, poggiati sull'alberello di albicocche dietro casa mia.

La luce filtra dalle fessure nella serranda, è una luce forte, probabilmente è mattina inoltrata.

Non so che giorno sia né che ore siano, per me potrebbe benissimo essere la sera del ventiquattro dicembre, non cambierebbe molto. In un paio di anni ho smesso di sentire la "magia" delle feste, quell'aria felice e spensierata che ricopre tutte le festività natalizie, ma che a quanto pare solo pochi privilegiati riescono a sentire.

Mi metto a sedere cercando il telefono tra le lenzuola, mi sono addormentata davanti allo schermo ieri sera.

È da un po' di tempo che ho preso l'abitudine di aspettare che i miei siano andati a dormire e mettermi a leggere scleri di persone che inveiscono contro omofobi o raccontano le loro esperienze queer, per poi addormentarmi dimenticandomi di mettere il telefono in carica.

Io non mi sento parte di loro, pur essendo lesbica. Non sento di appartenere a quella categoria di persone in pace con sé stesse, che vivono nella loro piccola bolla arcobaleno.

Io non mi sento e basta, in realtà. Non ricordo l'ultima volta in cui sono stata davvero felice. Certo, momenti felici ci sono stati, soprattutto con i miei amici, con Livi, ma un po' mi manca quel calore di una risata sincera, proveniente dal fondo dell'anima. Della mia anima.

Trovato il telefono apro whatsapp in un gesto automatico, senza controllare l'orario, ignoro le notifiche dei miei amici e scorro fino alla chat con mia madre, dove vedo l'anteprima di uno dei cinque messaggi.

'Non mi piace come ti sei comportata in questi giorni'
'Qua il registro deve cambiare, non si può andare avanti così'
'Non fai niente tutto il giorno, non ti degni di sistemarti la camera, e quando io e tuo padre arriviamo a casa inizi a rispondere male senza motivo'
'Oggi inizi a fare qualcosa di produttivo:
1 stendi la lavatrice quando finisce
2 riordinati camera
3 fai almeno una materia
4 passa l'aspirapolvere in casa'
'Spero di non averti scomodata troppo, so che sei molto occupata a fare l'ameba nel letto ultimamente'

Che se ne andasse a fanculo, lei e le sue ramanzine del cazzo.

Sono tentata di lasciare il non visualizzato, visto che ho disattivato le conferme di lettura, ma poi decido di optare per un semplice 'ok' per cui, sono sicura, si incazzerà tantissimo.

Adesso posso controllare l'orario, sono le undici e quarantadue. Grande Isabella! Anche oggi hai sprecato la mattinata a dormire.

Spengo il telefono, lo poggio per terra e mi butto di nuovo sul letto, guardando il soffitto.

Ieri sera io e mamma abbiamo litigato. Mi ha detto praticamente le stesse cose che ha scritto nei messaggi, rinfacciandomi vecchie questioni e arricchendo il tutto con qualche insulto o con qualche espressione del tipo 'non sei brava a fare niente'.

Mi ha rinfacciato persino quando, due giorni fa, ho 'creato fastidio a gratis' andando a casa di Olivia bagnata dalla pioggia. 'Hai fatto un casino costringendola ad asciugare anche te prima di entrare in casa', mi ha detto.

Spesso riguarda le foto di quando ero piccola con un sorriso nostalgico in volto, ripetendo ogni volta che ero bellissima e che non davo fastidio come faccio ora, ignorando la mia reazione. E si chiede ancora perché a volte mi chiudo in camera.

Così, se le carte da giocare erano a tema 'ti rinfaccio tutto gne gne', tanto valeva uscirsene con quello, che mi faceva star male per davvero.

Lei ha iniziato a dire che tutte queste erano scuse, che mi comportavo 'peggio dei criaturi' e che quelle erano 'tutte mosse'. Così sono salita in camera e non le ho più rivolto parola.

So che mia madre ha ragione, lo so perfettamente. Non faccio niente dalla mattina alla sera, dormo fino a tardi perché la notte rimango sveglia e a stento mi preparo per uscire con i miei amici. E, come se non bastasse, sono pure lesbica.

Così mi decido a fare l'unica cosa che sembra farmi stare meglio in questo momento, e mi avvio verso il bagno. Ovviamente anche questa cosa è sbagliata, come tutto di me del resto. Mi pizzicano gli occhi. Che schifo, non riesco neanche ad evitare di piangere.

Arrivo in bagno e mi guardo allo specchio. Ho una riga irregolare e nera in faccia. Il mascara è un po' sbavato attorno all'occhio sinistro, e la riga, che parte proprio da lì, arriva oltre il mio naso, unendosi all'altro segno che parte dall'occhio destro, anch'esso circondato da mascara sbavato. Il tratto nero termina in una specie di pozzo sulla mia tempia, dove la faccia è stata a contatto con il cuscino. Avrò macchiato anche quello?

Ieri, dopo essere salita in camera, ho indossato in fretta il pigiama abbandonato ai piedi del letto e mi sono coricata, cercando di trattenere le lacrime fino a quando i miei non sono andati a dormire. Poi sono scoppiata.

Mi faccio pena. Sono talmente fragile che non riesco neanche a smettere di piangere. Non so fare niente a parte quello. E mi odio per questo. Mi odio profondamente per essere sbagliata, diversa dagli altri. Mi odio perché non riesco a smettere di soffrire. E mi odio perché mi odio. Insomma, come si fa ad odiare se stessi?

Finché sto con gli altri sto bene, riesco ad essere me stessa. Poi torno qua e divento nessuno. Torno qua tra le continue grida, litigate, sguardi delusi. E piango. Alle due, le tre, le quattro di notte, piango.

Stufa di tutti questi pensieri, mi avvicino al mobiletto accanto allo specchio e prendo la lametta. Mentre mi dirigo allo sgabello accanto alla doccia inizio lentamente a smettere di pensare. Non so bene perché ho iniziato a farlo. A tagliarmi intendo. Sapevo che la gente si tagliava quando stava male e allora ho voluto provare anche io, e ha funzionato.

Mi siedo e poggio la caviglia destra sul ginocchio dell'altra gamba. Ho la pelle molto sensibile, soffro il solletico anche sul palmo della mano e odio i graffi, perché bruciano più di quanto non possa fare un taglio più profondo.

Non mi taglio sulle braccia, per ora. Mi fa troppa impressione, brucia e soprattuto è difficile da nascondere. Ho scoperto un altro modo una settimana fa, quando mi stavo rasando i peli sulle gambe con la lametta. Non sono molto delicata e spesso mi taglio vicino al ginocchio, dove ci vuole un po' di manualità per evitare di tagliarsi.

Non so come né perché, ma ho afferrato il bagnodoccia e ne ho messo un po' sul piccolo taglio che avevo fatto. Bruciava, ma abbastanza da essere sopportabile. Poi ho preso il doccino e, dopo aver aspettato che l'acqua fosse bollente, ho sciacquato il sapone. Ora faceva male, ma abbastanza da essere sopportabile.

È troppo difficile fare questo ogni volta e, soprattutto l'estate, il ginocchio è una parte del corpo molto esposta.

Così ho deciso di optare per un punto più nascosto, più vicino a vene e arterie, in modo da sentire più dolore e meno bruciore.

Guardo distrattamente i tre segni incisi nell'arco di qualche giorno, vicini e irregolari. Afferro la caviglia e con velocità ne traccio uno nuovo, abbastanza profondo da fare male ma abbastanza in superficie da non rischiare di far uscire troppo sangue.

Lascio cadere la lametta dalla mano destra, portando il palmo a coprire il taglio. È sempre così all'inizio. Brucia e basta, e questo mi dà fastidio. Lentamente inizia ad arrivare il dolore.

Mi alzo, sedendomi per terra con la schiena poggiata alla parete. Stendo la gamba segnata e rannicchio quella sinistra, mentre rimango a guardare quella gocciolina di sangue che si sta formando, incapace di muovermi o pensare a qualcosa di sensato.

Tutta la mia mente è concentrata sul dolore e su quella goccia che ora scivola, pronta a lasciare il posto a un'altra.

Non so per quanto tempo rimango seduta, ma dopo un po' mi alzo, pulisco il sangue colato per terra, sciacquo la lametta e torno in camera.

Cammino lentamente, le spalle curve e la testa a penzoloni, fissando un punto indefinito oltre la porta della mia stanza.

Mentre entro in camera dirigendomi verso il letto non mi accorgo della presenza della scrivania, urtando il mio mignolo contro una delle sue gambe.

<< Porca puttana >> fa male. È un male brutto però, perché non l'ho scelto io.

Sto piangendo di nuovo. In realtà non so se ho mai smesso di farlo; il dolore ferma i pensieri, non la reazione del corpo. Mi rannicchio per terra.

Penso che siano passati una decina di minuti ora, durante i quali ho lasciato scivolare lacrime silenziose. Ho la mente annebbiata, non penso perché non so cosa pensare.

Allungo una mano verso il telefono, a circa un metro da me, e lo afferro. Ora sono a pancia in su, con le gambe piegate e i capelli sparpagliati sul pavimento. Accendendolo mi rendo conto che la carica è al cinque percento. Lo alzo allineandolo con la mia faccia e provo a sbloccarlo, magari rispondendo ai miei amici riesco a distrarmi.

Mentre digito la password perdo la presa, per niente salda per via delle mani tremanti, ritrovandomi con il telefono in faccia. Lo faccio scivolare per terra e lo spingo lontano da me, non ho più voglia di leggere i messaggi.

Sento le mie guance andare a fuoco, mi fa male la testa e ho bagnato i capelli con le lacrime. Mi rannicchio di nuovo su un fianco, e tutto d'un tratto mi sento sola, incompresa. Mi piacerebbe avere qualcuno che mi consoli in questi momenti, qualcuno come mia madre o mio padre, che invece sono sempre pronti a sgridami.

Sto iniziando a singhiozzare, il petto si muove a scatti. Tremo, anche se sto andando a fuoco. D'istinto rannicchio di più le ginocchia al petto nascondendoci la faccia, strofinando la fronte contro la mia pelle calda. Papà una volta mi ha detto che da piccola lo facevo contro il loro petto.

Continuo a muovermi in spasmi irregolari per via dei singhiozzi, sento tutta la faccia bagnata dalle lacrime; ormai non provo neanche più a fermarmi. Mi sento sola, incompresa. Dalle mie labbra esce un mugolio, simile a un lamento.

<< Mam- ma >> continuo a tremare, la voce spezzata dai singhiozzi.

<< Mamma, per favore >> a queste parole la mia voce stride sul "favore", in un acuto straziante.

<< Mam- m- ma n- non m- mi lasciare, ti prego. Mamma, io ti voglio bene >> pronuncio quel "ti voglio bene" in un sussurro urlato, mi brucia la gola.

Continuo a ripetere queste parole respirando a scatti, la mano che mi accarezza la testa, tremante, come faceva la mia mamma quando da piccola mi svegliavo da un incubo.

Poi il respiro inizia a farsi più regolare, la faccia brucia, smetto di parlare. Braccia e gambe si rilassano, mi concedo un'ultima carezza sulla guancia prima di abbandonarmi ad un sonno privo di sogni, sola nella penombra, sul pavimento di una stanza troppo in disordine, con la caviglia ancora macchiata dal sangue e lo stomaco in subbuglio.

Angolo autrice:

lo so, avevo detto che la storia era in pausa, ma ho aggiornato per un motivo importante. Ultimamene sto vedendo annunci di molte persone a cui tengo qui su wattpad, e ho capito che non tuttə state passando un bel periodo.

Quest'anno per fortuna sto bene, ma riconosco in molti dei vostri sfoghi quello che sentivo anch'io l'anno scorso. 

Quando non stavo bene mi sarebbe piaciuto leggere un capitolo come questo in una storia classificata come "romanzo rosa", per capire che queste cose capitano a tuttə, non solo ai personaggi di storie create apposta per raccontare queste situazioni.

Infine volevo ringraziare Gataz13 per avermi aiutata con la stesura del capitolo, grazie davvero.

Siete perfettə,

- Emma 

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