Tortuosi Percorsi
Il corpo di Ambrose giaceva lì, immobile. Respirava, ma era in pericolo. Se gli altri non l'avessero salvato sarebbe rimasto in stato catatonico per sempre, ridotto a un vegetale.
«Pronti?» sussurrò Dahlia, ad occhi chiusi.
Candice annuì, anche se nessuno di loro poteva vederla. «Fate attenzione.»
«Anche tu» sospirò Elijah. «Ricordate il piano. Non sappiamo cosa affronteremo, ma se dovesse diventare troppo pericoloso, svegliatevi.»
Candice rilassò i muscoli, gli occhi chiusi. Riuscirò a salvarti, Ambrose.
Quando si svegliò, si ritrovò in un lunghissimo, grigio corridoio; che si diramava in ogni dove. Sorrise. Tipico di Ambrose: non si sarebbe mai nascosto in un posto qualunque. Quello era un labirinto, anche per l'Incubo era difficile trovarlo.
Le probabilità di Candice erano persino inferiori, forse era solo più disperata.
Dei suoi amici nessuna traccia, probabilmente si trovavano oltre le pareti. Non c'era tempo da perdere: si fece largo tra i grigi cunicoli, lo spazio appena sufficiente.
Era scossa da brividi di freddo, o forse di paura. Sperava di uscire da lì quanto prima, in ogni modo. Possibilmente viva.
Certamente non poteva girare a vuoto, o si sarebbe persa. La sua mente sarebbe rimasta intrappolata e successivamente spezzata.
Sospirò, frustrata, fino a quando non le venne un'idea. Era nella mente di Ambrose, ma poteva comunque agire.
Guardò il pavimento, e decise di aumentare la forza di gravità. Avrebbe lasciato delle impronte, così avrebbe saputo tornare indietro in caso di necessità.
Proseguì per un tempo che le parve infinito, ma non sapeva se si trattasse di minuti od ore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter ascoltare un po' di musica; sentiva quel silenzio infinito opprimerle il petto, e l'ansia saliva sempre più.
«Andiamo, Ambrose. Dove ti sei nascosto?» sussurrò a denti stretti. Non ebbe il tempo di finire la frase, che il muro alla sua destra collassò. Riuscì ad evitare i massi per un pelo.
Sospirò e riprese a camminare. Aveva una strana sensazione dietro la nuca. Qualcosa di viscido, serpeggiante, che sembrava urlare pericolo.
Imprecò, scostandosi i capelli rossi dal viso. Sembrava aver imboccato un vicolo cieco, poi la vide lì in fondo: una porta grigia.
Corse a perdifiato fino a raggiungerla, sperando che non fosse un'altra trappola. Provò ad aprirla, ma sembrava chiusa a chiave.
Nessun problema, pensò. Allungò la mano davanti a sé, e immaginò una forcina. Era merito di Ambrose se aveva imparato a scassinare le serrature.
Quando aprì la porta, imprecò di nuovo. O era una trappola, o uno dei colpi di genio di Ambrose. Si trovava sempre in quell'odioso labirinto, ma in un altro punto.
Guardò il cielo. Anche se somigliava a quello del tramonto, aveva delle sfumature dorate decisamente surreali, e questo significava solo una cosa: era ancora nella mente del ragazzo. Per uscire doveva trovarlo, o tornare indietro.
Un rumore la fece girare di scatto. Le bastò vedere un'ombra slanciata per capire all'istante che era nei guai. L'Incubo voleva trovarlo, quale miglior modo se non seguire lei?
Candice cominciò a correre a perdifiato. Ristabilì la forza di gravità così da non lasciare tracce, e sfrecciò tra i cunicoli.
Ma l'Incubo era veloce, e la trovò in fretta. Non restò che combattere, ma Candice sapeva come difendersi. Dal taschino apposito tirò fuori una lama, che scagliò contro la gamba del nemico. Era poco più di un graffio, ma almeno l'aveva rallentato. Ormai senza fiato riprese a correre, pregando di uscire di lì alla svelta.
Come in risposta, una sagoma spuntò da uno dei corridoi laterali. I capelli scuri, gli occhi grigio ardesia... Il cuore di Candice partì in quarta contro la cassa toracica. Era Ambrose, si era risvegliato! Elijah o Dahlia l'avevano trovato!
«Ambrose!» lo chiamò a bassa voce. «Qui!»
Lui però non la notò affatto. Eppure erano troppo vicini perché non avesse sentito.
Poi Candice guardò. Le labbra ad arco di cupido socchiuse, l'espressione urgente sul viso e la paura negli occhi. La sua mente fu catapultata a due sere prima, quando Ambrose si era addormentato nella sua stessa mente.
La ragazza sentì di nuovo il peso della Pergamena nella tasca dei jeans, poi le loro mani intrecciate e il tocco delle labbra di lui sulle sue.
Quello non era il vero Ambrose. Probabilmente era un sogno, o un ricordo; aveva senso. Qualsiasi cosa fosse, Candice doveva approfittarne. Fintanto che l'illusione avesse distratto l'Incubo, lei aveva il tempo di trovare il ragazzo e risvegliarlo.
Fece per correre via, quando notò uno scintillio nella mano del ragazzo, prima che sparisse dietro l'angolo. Era il riflesso della collana dorata che portava quella sera, la stessa che aveva dato a Candice, e che ora lei portava al collo.
Saprai quando usarla, le aveva detto. Guardò meglio il ciondolo a forma di chiave, fino a quando non si accorse di una scritta; così piccola che non si notava. Gold.
Di sicuro era uno stupido riferimento al colore della collana.
Candice pensò che non poteva perdere altro tempo. Sapeva di doversi sbrigare, l'Incubo doveva già essersi ripreso, e la stava cercando. Se aveva visto l'illusione, non ci avrebbe messo molto a capire che non era reale.
La ragazza avanzò ancora, fino a quando non arrivò in quello che le parve il centro della struttura. Su un tavolo erano posati tre carillon. Tutti grigi, ma le serrature avevano colori differenti.
Candice strinse il ciondolo e capì. Ambrose aveva progettato il tutto molto prima di consegnarle la Pergamena. L'unica che avrebbe potuto trovarlo era lei, perché aveva la chiave.
Il carillon dalla serratura dorata si aprì con uno scatto, e fu allora che il labirinto sembrò cedere. I muri grigi si creparono fino a collassare in una nuvola di polvere.
Con gli occhi semichiusi, Candice riuscì a scorgere la figura di Ambrose che le si avvicinava. Corse ad abbracciarlo, rilassandosi totalmente tra le sue braccia.
«Ce l'hai fatta» le sorrise lui tra i capelli, prima di stringerla e svegliarsi con lei.
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