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Supereroi nel buco della serratura (FUORI GARA)

Jenna quasi mi ruppe i timpani. La voce le si alzò così tanto che dovetti allontanare il cellulare dall'orecchio.

«Ma che ti salta in mente?» le dissi, assicurandomi che non stesse urlando ancora il mio nome.

«Finalmente! Ti avevo chiesto se volessi venire al mare con me la settimana prossima, ma sembravi sparita. Scommetto che c'entra lui

«Mi stai spiando per caso?» diedi un'occhiata nei dintorni, nel tentativo di scorgere l'eventuale presenza di Jenna; nel frattempo, cercavo di sembrare naturale. Ci mancava solo che quel ragazzo mi beccasse a fissarlo come una maniaca.

Dall'altro capo del telefono, la mia amica rise. «No, ma dimentichi che ti conosco alla perfezione.»

Jenna aveva un tono di voce che non mi piaceva. Non lo dire, pensai, ma era tutto inutile. Sentivo che cercava di non scoppiare a ridere mentre cominciava con la sua recita. «Quegli occhi sono così belli, mi ricordano il mare» fece con tono civettuolo «e le sue mani... Le sue dita sono così affusolate che credo-»

Non la lasciai finire. «Io invece, credo che un giorno ti taglierò la lingua, così smetterai di prendermi in giro. Non ho mai detto queste cose, io!»

Jenna rise così forte che dovetti di nuovo allontanare il cellulare dall'orecchio. Prima o poi quella ragazza mi avrebbe fatto diventare sorda.

«E invece sì, le hai dette. Beh, forse non proprio così, però sai che ho ragione» rispose, ancora ridendo.

«Ah, sei un'idiota» bofonchiai «ma ora piantala.»

«D'accordo, la smetto» disse, ma sentivo che stava ancora sorridendo. Quella lì si divertiva da matti a prendermi in giro, ma non era mica colpa mia se quel ragazzo era così bello.

Beh, forse è ora che vi parli di lui.

Jackson, questo il suo nome. Lo sapevo perché avevo sentito sua madre - o almeno credevo che lo fosse - urlargli a squarciagola di non dimenticarsi i libri. Credo avesse circa ventidue anni - quattro più di me - e si era appena trasferito nella casa accanto. Ora era lì, sul marciapiede, che aspettava qualcosa o forse qualcuno.

Ed io ero affacciata alla mia finestra, a guardarlo come si guarda una torta... Più o meno. Lo so, ero patetica.

Ancora una volta, fu Jenna a riportarmi alla realtà, dicendomi che doveva andare a sbrigare una commissione. Quindi ci salutammo, ed io sospirai e rimasi a guardare il nuovo vicino cercando di non farmi beccare.

In realtà avrei dovuto studiare - avevo appena cominciato il college - ma ero troppo stanca per farlo.

Ad un tratto, quel qualcosa che il vicino aspettava cominciò a palesarsi. A quanto pare non aveva ancora ultimato il trasferimento, perché un grosso furgone arrivò trasportando un mobile di medie dimensioni.

Il vicino aiutò il trasportatore a scaricare il mobile dal furgone, poi quello ripartì e il ragazzo rimase da solo. Certo, se non si contava me che continuavo a guardarlo.

Poi successe una cosa stranissima. Giuro, non avevo mai visto nulla del genere. Dopo essersi guardato furtivamente intorno, Jackson sollevò il mobile con una sola mano. Letteralmente.

Feci un salto all'indietro stupita e leggermente impaurita, cercando di trattenere un verso di stupore. Fortuna che ero nascosta dai rami dell'albero che avevamo in cortile. Avrebbe dovuto arrivare di fronte per vedermi, quindi era decisamente un bene.

Cosa diamine avevo visto? Veloce, tornai ad affacciarmi. Adesso camminava come se nulla fosse, sempre tenendo il mobile con una sola mano.

Non sapevo cosa stesse succedendo, ma una cosa era certa: o io ero impazzita, o lui non era umano.

Naturalmente, speravo fosse la seconda opzione - anche se non troppo. Cavolo, avevo una cotta per un extraterrestre o che cosa? - di certo, non ci tenevo ad essere rinchiusa in qualche centro per l'igiene mentale.

Comunque, decisi che non ne avrei fatto parola con nessuno; o almeno, che non l'avrei fatto fino a quando la situazione non mi fosse stata chiara.

Mi sentivo una stalker, ma ormai avevo visto tutto, e poi volevo soltanto verificare. Magari avevo avuto qualche allucinazione.

Infilai le scarpe e poi scesi di sotto, dicendo alla mamma che avrei fatto un giro al parco, poi, veloce, sgattagliolai fuori.

Scavalcare la recinzione non fu proprio semplice, rischiai persino di rompermi una gamba, ma era l'unico modo che avevo per entrare nel cortile di casa sua senza farmi vedere.

Mi avvicinai di soppiatto, verso il retro della casa. Cercai di fare meno rumore possibile, camminavo in punta di piedi e con le spalle leggermente incurvate. Ci mancava solo un impermeabile nero e gli occhiali da sole e avrei potuto essere il classico investigatore privato dei film noir che piacevano così tanto a papà.

Il cuore cominciò a battere un po' troppo velocemente per i miei gusti, avevo una strana sensazione ma non sapevo spiegare cos'era.

Improvvisamente, sentii una specie di presenza dietro di me. Mi girai di scatto e quando mi ritrovai Jackson davanti, per poco non gridai così forte da farmi sentire persino dai pinguini in Antartide.

«Ciao, Sarah, come posso aiutarti?»

Un momento, come sapeva il mio nome?

«C-ciao» balbettai «io veramente...»

Cosa stessi per dire non lo sapevo nemmeno io, però fu sicuramente un bene. Riuscii a risparmiarmi una figuraccia, anche se in cambio mi presi un bello spavento.

Sentii l'aria gelare intorno a noi due, l'umidità piombarmi addosso come pioggia. Il cuore, che si era appena calmato, accelerò di nuovo a tutta velocità. Qualsiasi cosa stesse succedendo, sapevo di essere in pericolo.

Anche Jackson avvertì il cambio dell'atmosfera, perché lo sentii bofonchiare qualcosa che non capii. Poi successe una cosa ancora più strana.

Dagli occhi azzurri del ragazzo spuntarono dei raggi laser dritti verso il cielo, da cui qualcosa – o meglio, qualcuno – cadde.

Più tardi scoprii che si trattava di un antieroe che cercava di reclutare nuove persone per causare disastri in giro per il mondo. Gli iniettava una miscela nel cibo in modo che queste acquisissero dei superpoteri.

In quel momento però, riuscivo a pensare solo una cosa: il mio vicino era un supereroe.

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