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Ritorno a Casa

«Sei emozionata, tesoro?» chiese la mamma, con un dolce sorriso sulle labbra. Se lo ero? Poteva dirlo forte!

Eravamo una delle tante famiglie americane in viaggio a Firenze, la fila per entrare nella Galleria degli Uffizi era immensa. Aspettavamo ormai da circa tre ore, ma niente mi avrebbe fermata.

Papà era un archeologo, mia madre un'insegnante d'arte. Ero cresciuta tra reperti antichi e pennelli, racconti di battaglie epiche, e in camera avevo più fossili e tempere che bambole, al contrario delle mie amiche. Quando facevano le stupide viziate, proprio non le sopportavo!

«Non vedo l'ora!» esclamai, attirando su di me sguardi di rimprovero. In particolare gli occhi a mandorla di due bambini cinesi - o forse giapponesi, o coreani? - mi fecero sentire come un puntaspilli. Forse avrei fatto meglio a contenere l'entusiasmo...

La fila pareva interminabile, ma finalmente arrivò anche il nostro turno. Era ora!

Sapevo che il Museo era tra i più famosi al mondo, che custodiva un sacco di opere d'arte dal valore inestimabile, ma non immaginavo che i controlli all'entrata fossero come quelli dell'aeroporto!

Lasciai che i miei genitori sistemassero tutte quelle faccende burco... Bucro... Buro... Meglio lasciar perdere, e iniziammo ad esplorare quel posto fantastico.

Era un vero labirinto, una spirale di emozioni ed opere tutte insieme, mi lasciai travolgere da quello stupore così intensamente, fino a stordirmi, fino a privarmi di ogni percezione sensoriale che non fosse la vista... Che mi ritrovai senza i miei genitori in un secondo.

La realtà della situazione mi piombò addosso come un vaso di fiori sulla testa, come nei cartoni animati. Mi ero persa, in un museo, lontana miglia da casa. Come avrei potuto fare?

Non avere paura, Lauren. Chiedi ad un responsabile del posto se dovessi perderti di nuovo, e rimani calma.

Erano state le parole della mamma quando, un paio d'anni prima, mi ero persa al luna park e avevo dato di matto... Più o meno. Se non fosse stato per l'omino dello zucchero filato, sarei stata spacciata.

Feci un respiro profondo, come mi aveva insegnato a fare papà quando ero agitata, e col cuore al galoppo cercai qualcuno a cui chiedere.

Improvvisamente, una voce chiamò il mio nome. Feci un giro completo su me stessa per riuscire a vedere chi fosse, ma non trovai nessuno. Forse mamma e papà mi avevano avvistata da lontano e mi stavano chiamando? Anche se, comunque, la voce che avevo sentito somigliava più a quella di un bambino. Probabilmente mi ero impressionata. Mi spostai in avanti, facendo spazio ad una signora, ma di nuovo mi sentii chiamare.

«Lauren, dove vai?» disse qualcuno. Bene, ora sì che avevo paura, paura per davvero. Eppure sapevo che dovevo farmi coraggio, qualsiasi cosa fosse.

«Sono qui. Tu... Dove sei? Non ti vedo!» risposi. Fin dove il mio occhio arrivava a vedere, non scorgevo nessuno di familiare. Come faceva a sapere il mio nome?

La voce ridacchiò sommessamente. «Sciocchina, sono proprio qui! Alza la testa.»

Saltai all'indietro spaventata, non appena vidi chiaramente chi aveva parlato. Era... Un angelo! Uno del quadro davanti cui mi trovavo. Per poco non finii contro un'anziana signora, per questo mi beccai un'altra occhiataccia. Non ne avevo mai collezionate tante in così poco tempo.

«Non aver paura, Lauren. Io voglio solo aiutarti» disse, con tono gentile.

Sorrisi, un po' stranita. Era ancora così surreale. «E come fai a sapere che ho bisogno d'aiuto?»

Lui rise di nuovo. «Vedi, piccola, io so leggere nella mente delle persone. Ogni giorno, ne passano almeno mille qui davanti, ed io so cosa stanno pensando.»

Gli rivolsi un'occhiata scettica. Nonostante me l'avesse già dimostrato, faticavo un po' a crederci. Ridacchiò ancora. «Capisco, non mi credi; per questo ora te lo dimostrerò ancora. Vedi la coppia lì, quei due che sono mano nella mano?»

Se poteva indicarli non lo sapevo, in ogni caso non era necessario. Lei aveva i capelli biondo platino, era difficile non notarli. «Sì, certo.»

«Perfetto. So che non si conoscono da troppo tempo, e lui sta pensando che è stanco e vorrebbe tornare a casa. Lei, che la moda di quei tempi era davvero orripilante.»

Allora fui io a ridacchiare. «In effetti, non ha proprio tutti i torti.»

«Forse è vero, ma solo un pochino!» mi fece eco l'angelo. Comunque, gli credevo, ma c'era ancora una cosa che non capivo.

«Ora ti stai chiedendo perché ho deciso di aiutare proprio te» mi anticipò, ovviamente. Non sapevo se mi piaceva, questa cosa che potesse leggermi la mente come un libro. Per qualche strana ragione mi ricordai alcuni momenti imbarazzanti, ma dovevo evitare di pensarci. La prima cosa che mi venne in mente per distrarmi fu una canzone per bambini, così la cantai nella mia testa.

Twinkle twinkle little star...

L'angelo sembrava divertito. «Certo che sei proprio buffa» osservò «comunque, ho voluto aiutarti perché so che sei buona. Se ne hanno bisogno, aiuto tutte le persone che lo sono» spiegò. Ora aveva senso.

«A questo punto, suppongo di doverti ringraziare-» mi bloccai, quando mi resi conto di non sapere il suo nome. «Come ti chiami?» chiesi allora.

Incredibilmente, non fu la voce dell'angelo a rispondere. In compenso, riconobbi le voci dei miei genitori che mi stavano chiamando da lontano.

Tuttavia, adesso dal quadro non proveniva alcuna voce. Era un peccato, volevo davvero ringraziare l'angelo. Non sapevo come avesse fatto, e se non era stato lui a far sì che i miei mi trovassero, almeno mi aveva tenuto compagnia e non avevo più paura.

Sorrisi di gratitudine e parlai, anche se forse non poteva più sentirmi. «Grazie di cuore, angelo. Non lo dimenticherò.»

Mentre correvo incontro ai miei genitori, sentii un sussurro. Non c'è di che, Lauren. È stato bello conoscerti.

«Anche per me» sussurrai a mia volta, sperando che mi sentisse.

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