Mele e Torsoli
Mi chiamo Beatriz, vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia, anche se mia madre è originaria della Spagna.
Questa è la mia storia.
Ero la ragazza più paurosa del mondo... O quasi. Per fare qualche esempio, avevo paura degli insetti, delle lucertole; ma soprattutto del buio. Quando andavo a dormire per ultima, correvo veloce in camera dopo aver spento le luci. Una volta avevo persino fatto cadere Lucas sul didietro. Già, la mamma era proprio fissata con i nomi spagnoli.
Quella mattina sembrava come tante altre: mi svegliai, e pronta, scesi di sotto a fare colazione. Si erano alzati tutti, tranne Lucas che dormiva ancora, e come sempre toccò a me svegliarlo e pregare che si sbrigasse. Odiavo arrivare in ritardo, ma con mio fratello mi capitava spesso.
Per fortuna fece in tempo, per questo uscimmo poco dopo. La scuola era a pochi passi da casa, non c'era bisogno di prendere l'auto. «Bea, questa mattina sei più silenziosa del solito» osservò Lucas, studiandomi con i suoi occhi azzurri. Se lui era la copia di papà, con i suoi capelli biondi e i lineamenti marcati, io somigliavo alla mamma. Avevo i capelli e gli occhi scuri, neri come un incubo, mi diceva sempre Ada.
Lucas si allontanò di corsa all'improvviso dopo un veloce saluto. Roteai gli occhi avendo già capito di chi si trattasse.
Era totalmente, inevitabilmente innamorato di Jennifer. A me sembrava solo svenevole, e a tratti anche un po' stupida. In un paio di occasioni le avrei volentieri chiuso la bocca, ma Lucas l'amava.
Poco prima di arrivare a scuola, incappai in quella che sembrava una moneta. Di certo, non era statunitense. Quando la raccolsi, il colore argento vivo mi ricordò una corona. Sì, somigliava proprio a quelle monete che venivano dalla Repubblica Ceca, anche se dubitavo che lo fosse davvero. Sembrava più un oggetto magico o qualcosa del genere.
Eraldaketa. Era questa la parola scritta sulla prima facciata. Doveva essere una qualche specie di formula, ma non conoscevo la lingua. Ormai incuriosita, la girai dall'altro lato. Strane rune incise ne ricoprivano la superficie. Pensai che l'avrei analizzata una volta a casa, avevo paura anche di essere sgridata dagli insegnanti, se mi avessero beccata a distrarmi.
Una voce chiamò il mio nome e mi distolse dai miei pensieri. «Ada» sorrisi alla mia più cara amica, raggiungendola di corsa. Il suo nome per intero era in realtà Adalind, ma non le era mai piaciuto.
Il suo sguardo era stranamente vuoto, come se fosse stata ipnotizzata. Era sempre lei, ma le sue iridi celesti non avevano la solita luce. «Sai, è arrivato un ragazzo nuovo! Ho sentito dire che si chiama Walter» mi comunicò su di giri «e dovresti vedere com'è bello!»
La solita Ada. Probabilmente lo sguardo vacuo era dovuto al suo vagare con la testa. Sollevata, ridacchiai. «Avanti, adesso sono curiosa» dichiarai, prima di iniziare a dirigermi verso la scuola.
Una strana sensazione mi assalì prima di varcare la porta del corridoio: mi sentivo come di fronte ad un pericolo, ma non ce n'erano. Decisa ad ignorare i miei pensieri, mi incamminai con Ada.
Tutti parevano assenti.
Prima che potessi anche solo dire qualcosa, ognuno cadde al suolo privo di sensi; come sotto incanto.
«Ada, svegliati!» esclamai scuotendo la mia amica, ma non servì a niente. Respirava, respiravano tutti, ma ero l'unica a stare bene.
Strinsi la moneta in un pugno, mi sentii meglio, più coraggiosa; e sicuramente ero decisa a capire cosa stesse succedendo. Mi lasciai guidare dal mio istinto, perchè sapevo di dover andare in palestra.
L'unica altra persona sveglia era Walter, il ragazzo nuovo. Quando mi vide sgranò gli occhi, e fu allora che successe qualcosa di terrificante: suoi lineamenti da perfetto umano si distorsero, fino a rivelarmi il suo vero aspetto.
Grandi ali nere da gargoyle gli spuntavano dietro la schiena. La pelle grigio antracite era squamosa, la bocca piena di denti affilati e gli occhi arancione fluorescente. Trattenni un urlo, la paura mi aggredì come uno tsunami, eppure... La Bea che conoscevo sarebbe scappata, ma qualcosa mi diceva di restare, combattere.
Stavo per sfidare un mostro e non avevo più paura.
«Eraldaketa!» esclamai. La moneta mi si attaccò al polso destro con due nastri spuntati dal nulla. Un attimo dopo ero sempre io, ma indossavo una maschera sul viso.
Ma. Che. Cavolo.
Stavo sognando. Eppure per istinto sapevo già cosa fare. «E tu chi sei?» la voce sibilante del mostro ruppe il silenzio surreale. «Quella che ti farà tornare da dove sei arrivato» risposi sicura.
Lo scontro iniziò subito, ci colpimmo a vicenda quasi senza sosta, anche se normalmente me la sarei data a gambe. Aveva ipnotizzato lui tutti, lui aveva risucchiato le loro energie, tranne le mie. La moneta mi aveva protetta, era una fonte di potere, un talismano.
Una voce soave, leggera come l'aria, giunse al mio udito. Non sapevo chi parlasse, ma la capivo perfettamente. Usa la Moneta, diceva, lei è la chiave.
La chiave.
Capii subito cosa fare. Rifilai al mostro un calcio che lo spedì qualche metro all'indietro, poi piegai il braccio destro davanti al viso, la moneta rivolta verso la creatura. «Desagertu» sussurrai, prima che un raggio di luce dorata colpisse e distruggesse il mostro.
Avevo sconfitto Walter o qualsiasi fosse il suo diavolo di nome.
Mi ci volle del tempo prima di capire da dove venissero quelle creature spaventose, o come proteggere i miei amici. Quando non usavo i miei poteri tornavo a spaventarmi per qualsiasi cosa, urlavo se vedevo le lucertole e correvo in camera con la paura del buio. Quando invece mi trasformavo il mio terrore spariva, anche se nessuno lo sapeva. Non ricordavano mai niente quando i mostri venivano sconfitti, ma in fondo era meglio così.
Preferivo essere Bea-la-fifona, almeno per la maggior parte del tempo.
Che fatica la vita da supereroina!
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