Il Mondo in Bianco e Nero (Fuori Gara)
Finalmente, mi sedetti sulla comoda poltrona del cinema. Nonostante la stanchezza, ero super contenta di poter guardare quel film!
Therese era accanto a me, forse un po' meno entusiasta. Caleb era in vacanza, quindi lei aveva deciso di accompagnarmi. Dopotutto, è quello che le amiche fanno. Almeno le migliori, come la ragazza al mio fianco. Lo sapevano tutti che non potevo perdermi il film sul famoso vampiro Dracula, proprio no!
Il Conte snudò i canini, acuminati e taglienti come lame, il sangue gocciolava dalle sue labbra nero come una tempesta; la sua vittima era bloccata in un muto urlo di terrore... La sua fine era vicina, quando un rumore mi fece tornare alla realtà.
Il telefono, dannazione. Avevo dimenticato di spegnerlo, oh povera stupida! Nell'impeto di acciuffarlo mi cadde a terra, così lo presi e mi rialzai; ma notai che qualcosa non andava. Qualcosa di enorme: tipo il mondo!
La cosa preoccupante era lo standby in cui sembravano piombati tutti, persino Therese, per non parlare dei colori. Ogni più piccola traccia di questi era letteralmente sparita! Mi sentii spaesata, come trascinata via dalla corrente in un posto ignoto.
Era surreale, nessuno si muoveva. Provai a scuotere la spalla di Therese, ma dovetti arrendermi. C'era un silenzio che mi metteva i brividi, eppure i miei pensieri emettevano un tale frastuono che non potevo sopportare oltre.
Il mondo sembrava solo un disegno fatto a matita, senza più i colori era tutto così triste! Avrei tanto voluto che qualcuno mi parlasse, mi dicesse che andava tutto bene, persino le battute squallide di Therese sarebbero state un sollievo!
Forse qualche Dio aveva ascoltato le mie preghiere, perché proprio in quel momento, dalle porte della sala entrò l'ultima persona che mi aspettavo di vedere.
Non avevo bisogno dei colori per riconoscerlo. La sua capigliatura era di solito bionda, e i suoi occhi sfumavano in un blu oceano che mi faceva girare la testa, ma Caleb rimaneva ugualmente bellissimo, anche senza i suoi colori, la sua luce.
«Oh, Caleb!» mi tuffai tra le sue braccia, aggrappandomi a lui come ad un'ancora, e sentii subito il cuore battere intensamente, in una sinfonia di suoni che mi fece sentire subito bene.
«Ciao tesoro. Non aver paura, sono qui» mi consolò, tenendomi ben stretta. I suoi baci sul capo mi tranquillizzarono all'istante, abbastanza perché potessi parlare normalmente, senza che un masso di paura mi schiacciasse il plesso solare.
Provai a chiedere cosa fosse successo, avevo un milione di domande per la testa, ma come al solito lui lo capì al volo. Mi puntò l'indice sulle labbra, come volesse zittirmi.
«Ti fidi di me, giusto Diana?» mi sorrise.
«Più che di me stessa» annuii, il mio viso doveva esprimere tutta la mia sincerità, perché lessi negli occhi di Caleb che, in qualche modo, tutto si sarebbe risolto.
«Allora vieni con me» mi prese la mano e mi condusse via, lontano da quel posto. «Ehi, e gli altri? Li lasciamo lì?» domandai, cercando di opporre resistenza.
«Loro stanno bene, credimi. Devi solo seguirmi» rispose pacato, per poi riprendere a camminare. Mi fidavo, quindi decisi di ascoltarlo.
Mi portò al mare. Di solito mi piaceva quel posto, ma senza i colori era così triste! Caleb mi lasciò bruscamente la mano. Improvvisamente avevo un terribile presentimento, che si rivelò subito esatto e doloroso.
«Mi dispiace, Diana. Dobbiamo lasciarci.»
Quelle cinque parole mi distrussero dall'interno. Mi sembrò di essere fatta di cenere, sabbia, qualcosa di incredibilmente triste, e sottile, e delicato... Così delicata che il vento avrebbe potuto portarmi via.
E fu allora che la magia avvenne: il cielo e il mare si colorarono di nuovo, ed anche gli occhi di Caleb. Cosa... Cos'era appena successo?
Ci misi un secondo di troppo a realizzare. E quando ci arrivai mi incendiai di rabbia a tal punto, che non so ancora cosa mi trattenne dal tirare un pugno al mio fidanzato. E la mia maglia tornò cremisi.
«Dovevi per forza usare questo metodo?» chiesi, il tono irato, quasi rauco. In effetti, contenevo a fatica la voglia di urlare.
Lui mi fece un sorriso di scuse. «Non sarebbe stato forte abbastanza. E poi ha funzionato, adesso possiamo goderci le cose belle» fece una pausa, che mi spaventò più del previsto.
«O quasi» aggiunse infatti subito dopo. Eh no, non mi piaceva per niente!
Ben presto dovetti arrendermi: volente o nolente, avrei fatto tornare indietro tutti i colori.
Mi aveva già portata sulla ruota panoramica, troppo in alto perché non iniziassi a tremare dalla paura, perché i fiori nelle aiuole non tornassero viola. Avevo sempre odiato quel colore, accidenti! E dopo quel momento ancora di più.
Era quasi tutto normale ormai, quando Caleb mi portò in un campo di fiori. Senza tutte quelle sfumature, era solo un posto triste, disegnato a matita da un artista precisissimo.
«Vedrai, manca poco. Sappi solo che io ti amo, Diana. E prega, spera» disse, prima di lanciarsi in un bacio che mi tolse respiro e battito, che mi si annidasse nello stomaco e lo facesse contorcere nel più difficile dei balli.
E d'improvviso, tornarono tutti. Giallo, rosa, verde speranza, colorarono di nuovo il mondo, proprio come lo ricordavo e lo desideravo.
Ci staccammo, le labbra quasi insensibili. Guardai nei suoi occhi blu e sussurrai di amarlo, prima che tutto sfumasse intorno a me come nebbia, e che sentissi una voce squillante chiamare il mio nome.
«Dormigliona, svegliati su! Ora dobbiamo proprio andare!»
Aprii gli occhi, più confusa di qualcuno che sente un gatto abbaiare, o forse un cane miagolare... Comunque, niente, la mia testa era una trottola.
Il viso di Therese era davanti al mio, sorridente, mentre i suoi occhi verdi puntavano nei miei, acquamarina.
Oh cavolo, mi ero addormentata!
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