Cartoline d'estate
Avevo organizzato la mia vacanza nei minimi dettagli. Maniaca del controllo? Sì, un pochino. Per questo, quell'imprevisto fu come un'esplosione. Boom.
Il caldo era straziante, ma io ero un osso duro. Arrivai alla Pensione Stella con il sorriso sulle labbra, dovevo resistere con il peso della mia enorme valigia solo un altro po'. Il braccio mi faceva male tanto questa era pesante, ma non importava.
Indossai il mio miglior sorriso. Sapevo che si abbinava bene al mio vestito floreale e al cappellino estivo, e persino ai miei capelli biondi, che avevo tagliato qualche giorno prima. Se solo avessi saputo che, dalla rabbia, mi si sarebbero rizzati in testa come una staccionata!
Sembrava tutto perfetto. I titolari della Pensione furono gentilissimi, in men che non si dica raggiunsi la mia stanza e mi preparai per andare al mare. Cosa avrebbe mai potuto andare storto? Ve lo dico io: Samuel.
Mi immagino le vostre espressioni... Vi starete chiedendo: chi diamine è Samuel?
Tranquilli, ve lo spiegherò!
Presi tutto l'occorrente e mi precipitai al mare. La mia pelle d'alabastro aveva proprio bisogno di un po' di sole, era peggio di quella delle ballerine di danza classica!
Riconobbi quella capigliatura da lontano. Non ebbi bisogno che si girasse per capire che era lui. Era bello. E molto alto. E aveva dei pettorali da urlo, un fisico tonico... Ma aveva una particolare caratteristica: era uno stronzo patentato!
Mille ricordi mi tornarono alla mente. Fu come andare a sbattere contro un muro di cemento armato e passarci attraverso. Ahia, che dolore!
Un po' mi arrabbiai, e quando succedeva sapevo essere una vipera. Quasi quasi, da una vipera avrei preferito farmici mordere, altroché! Almeno sarei caduta stecchita da qualche parte in santa pace.
Comunque, non gli avrei permesso di rovinare la mia vacanza. Stesi il telo sulla sabbia, presi Cime Tempestose della Brontë, e iniziai a leggere. Niente paura, avevo già spalmato la protezione!
Presto detto, sentii picchiettare sulla spalla destra. Alzai lo sguardo, e per poco non rimasi stecchita a terra. Accidenti a quegli occhi azzurri.
«Ciao, Ari. Non si saluta?» disse Samuel, con quel suo sorriso da faccia da schiaffi. Ma doveva pure notarmi? E perché poi usava quel diminutivo, ancora? Per lui ero Arianna.
«Ciao Samuel» risposi fredda «non ti avevo visto.»
Uccidi con gentilezza, mi ripetei mentalmente, come un mantra.
Lui rise. «Sì, come no.»
Aveva ragione, ma non gliel'avrei mai detto. Io e Samuel eravamo stati amici per anni. Poi, poco prima che finisse il liceo aveva mandato tutto a farsi benedire, senza ragione. Iniziò a prendermi in giro e comportarsi male, così fui io a troncare definitivamente. Erano sei mesi che non ci vedevamo più, e non volevo credere di averlo incontrato proprio a Misano Adriatico!
L'unico rimpianto che avevo, era quello di non essere riuscita a capire il motivo di quel suo comportamento. La mia migliore amica Delia sosteneva che gli piacessi, ma con me aveva totalmente sbagliato approccio... Chiaro, sempre che Delia avesse ragione. Francamente, non ci avevo mai creduto. Non osai nemmeno immaginare la sua reazione quando le avrei detto di aver incontrato Samuel, avevo già i brividi.
Tornai alla realtà, perché Samuel mi stava guardando. Aveva questo modo irritante di fare che mi faceva venire voglia di strangolarlo.
«Hai bisogno di qualcosa da me?» chiesi, leggermente nervosa. Ecco che la mia pazienza cominciava ad andare via.
«No, volevo solo salutarti» replicò un po' incerto. Avevo l'impressione che volesse aggiungere qualcosa, ma non glielo lasciai fare. Era storia vecchia, un capitolo chiuso e volevo che rimanesse tale.
«Okay allora» scrollai le spalle con finta disinvoltura. «Ciao. E comunque, mi chiamo Arianna.»
Lui rise. «Messaggio ricevuto. Ciao Ari» si allontanò, ma non prima di avermi fatto un occhiolino. Aspettai che si fosse allontanato, poi diedi un pugno sulla sabbia. Tutti quei mesi, e ancora mi faceva arrabbiare.
Inutile dirlo, quella settimana fu impossibile evitarlo. Cercai di non girarmi a guardarlo ogni volta che uscivo, o di non osservarlo da lontano mentre nuotava, ma non servì.
Ci ritrovammo a parlare una sera, seduti entrambi in riva al mare. L'agitazione fin dentro le viscere, la rabbia e anche la stanchezza... In fondo, capii, non volevo portargli rancore. E per farlo avevo bisogno di una cosa: capire il perché di quel suo comportamento. Magari, se avessi capito la ragione, avrei estirpato il problema alla radice.
«Devo chiederti una cosa, Samuel» ruppi il silenzio con queste cinque parole.
«Che cosa, Ari?»
Mi guardò, gli occhi azzurri ancora brillanti sotto il cielo blu stellato. Si divertiva da matti a tormentarmi con quel nomignolo, ed io mi ero arresa quando avevo capito che non avrebbe smesso.
«Prima che te lo dica, però, sappi che vorrei che tu fossi sincero. D'accordo?» indugiai.
«Te lo prometto.»
Annuii. «Sarà anche storia vecchia, ma è da mesi che vorrei chiedertelo. Perché hai mandato la nostra amicizia a quel paese?»
Lui rise, quasi sbuffando. Lo conoscevo abbastanza da sapere che quella domanda se l'aspettava. E conoscevo anche me, perché non sapevo se la sua risposta mi sarebbe piaciuta.
«Ancora non l'hai capito?» chiese retorico. No, sinceramente non avevo capito proprio un tubo, per questo scossi la testa.
«Mi piacevi, Ari, da matti. Mi bastava vederti da lontano e non ci capivo più un accidente. Ma ero piccolo, e anche stupido immagino...»
La sua rivelazione mi tolse il fiato dalla bocca un istante. Delia allora aveva ragione, me l'aveva ripetuto fino allo sfinimento ed io non ci avevo mai creduto.
Mi scappò una risatina. «Molto stupido.»
Quella sera incatenò gli occhi ai miei, e mi sentii bene di nuovo. Poi mi baciò, e persi contatto col mondo intero.
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