Pepe 2
Stile di base
"Quel piccoletto che mi si siede sempre a fianco a mensa". Rimasi combattuto fino alla fine, ma riuscii a vuotare il sacco, che doveva essere di una iuta impregnata d'una certa cattiveria gratuita, visto che io stesso non arrivavo a un metro e settanta (nonostante un'adolescenza costellata di febbroni di quelli che t'alzano un centimetro per ogni neurone cotto). In effetti, in ufficio, per prendere certi documenti sulle mensole più alte, mi toccava arrampicarmi sull'opera omnia del Manzoni, che tenevo gelosamente accucciatta ai piedi dello scaffale.
No, il nano era lui. Il fatto era che quel mini-laghée (lo chiamerò così, visto che solo a nominarlo mi titilla l'uzzolo di tirare craniate contro la scrivania) m'aveva proprio fatto uscire dalle grazie. Era insopportabile. Poi finalmente la dea fortuna si incarnò nel mio capo (il che ne fece una specie di drag queen, credo), con quella domanda cui avevo appena risposto: "Secondo lei", m'aveva chiesto "chi è che ogni volta si prende due yogurt a mensa, anziché uno?". E io lo incolpai quel nano. Era una delle accuse più gravi che si potesse rivolgere a uomo. Dopotutto, lo yogurt era l'unica cosa che potesse risollevare gli immangiabili manicaretti che ci servivano in mensa. E per colpa del nano molti dipendenti rimanevano senza. Gli auguravo un trattamento da traditore della patria, una patria di colleghi tanto incazzosi quanto sottopagati.
Dopo la mia rivelazione, io già m'immaginavo chissà quale scampanio, quale sarabanda tra il collegame, con braccia tese per regalarmi cadot e dolcetti, più solfeggi di ringraziamentri per il mio gesto di giustizia.
Ma non andò così.
Il nano venne chiamato nell'ufficio del capo e processato, ma il sindacato impose la propria versione dei fatti, ovvero che, cito: "un nano non può essere accusato di alto tradimento". Lo prosciolsero. Ma la cosa peggiore fu che, da quel giorno, divenne una specie di Giuseppe Garibaldi, un vero condottiero! Si mise a capo di una piccola milizia (armati di tagliacarte, puntine e forbici, tant'è che la gente smise di portarseli a casa per schierarli in ufficio) e portò avanti la battaglia contro il limite di uno yogurt, accusando la mensa di nascondere una gran quantità di vasetti, che poi i cuochi si mangiavano di nascosto. Ne pretendevano due a testa! Assaltarono la mensa. Tutti confidavano nel nano, pronti a lottare al suo fianco. E io ero la spia di turno, schiavo dei potenti.
Divenni io il nano per statura morale. A gran voce tutto l'ufficio invocava il mio licenziamento. Così venne a prelevarmi il capo, mi prese sottobraccio e si inoltrò nella schiera di colleghi, fitta di teste, insulti, sputazzi. Mi portò via, promettendo che non l'avrei passata liscia, che quello che mi aspettavo era un vero calvario. Ma era solo un trucco. Alla fine, seduti ad un accomodante tavolo coi potenti, la questione finì a taralucci e vino. E non mi lamentai, benché a quel tavolo mi toccò ancora una volta sedere a fianco al nano.
Stile imitato (Alessandro Manzoni)
"Quel nano pelato di Como che ogni volta a mezzogiorno mi si accolla addosso mentre sono in mensa". Così, io sventurato, risposi. Non fu facile sentenza, e se lo chiamai "nano" fu forse per vera boria, tracotanza suprema, visto che le giovanili febbri (che dicono fan crescere ) non fecero un Telamonio nemmeno me. In effetti, in ufficio, per prendere certe carte giacenti sulle più aeree mensole, mi toccava arrampicarmi sull'opera omnia di Vincenzo Monti, che custodisco gelosamente accucciatta ai pié dello scaffale.
No, il nano era lui. L'occorrenza era che quel picciolo laghée (lasciamolo innominato che fervo e bollo e schiumo solo a pronunciarne il nome) m'aveva proprio rotto le fumeggianti libbre. Avercelo a fianco a mensa, col suo indomabile ciarlare, non era dissimile dalla sensazione di avercelo con le sue minuscole orme a calpestare il cruento carname dei miei genitali.
Poi finalmente la Provvidenza si palesò nelle vesti del mio capo, con quella squisita, gloriosa domanda cui avevo appena risposto. "Secondo lei", m'interrogò "chi è che ogni volta si prende due yogurt a mensa, anziché uno?". E io lo incolpai quel nano. Enormo sconcio era quest'accusa, qualcosa non dissimile dall'alto tradimento! E non esagero, visto che lo yogurt era l'unica cosa che potesse risollevare l'orrido bulicame che ci servivano in mensa. E per colpa del nano fiotti di dipendenti rimanevano senza. Indi io stesso gli auguravo una fine tipo quel Conte di Carmagnola che venne decapitato come traditore, benché innocente, e quindi con la differenza, per quanto riguarda il caso del nano, che questa volta l'imputato era davvero colpevole. Certo, e ovviamente la decapitazione sarebbe stata solo figurata, visto che per staccare quella minuscola testa ci voleva roba di precisione, roba di qualità, troppo costosa per la nostra azienda o per un'eventuale colletta tra colleghi sottopagati.
Dopo la mia rivelazione, io già mi vedevo esultante ed esultato tra i colleghi, onorato di strenni e dapi, inviti a cena per aver alfin smascherato il codardo oltraggio del ributtante nano traditor.
Ma così non fu.
Il nano venne convocato nell'ufficio del capo e processato, ma il sindacato impose la propria versione dei fatti, ovvero che, cito: "un nano non può essere accusato di alto tradimento". Ahi lasso! Lo prosciolsero. Ma la cosa peggiore fu che, da quel giorno, si tramutò in una specie di Napoleone, un vero condottiero! Egli si nomò capo di una piccola milizia (armati di tagliacarte, puntine e forbici, tant'è che la gente smise di portarseli a casa e schierolli in ufficio) e portò avanti la pugna contro il limite di uno yogurt, accusando la mensa di nascondere una gran quantità di vasetti, di cui poi i cuochi si riempiano il gorgozzule di nascosto. I militi ne pretendevano due a testa! Assaltarono la mensa. Ormai tutti quanti al nano si erano volti, come aspettando il fato, mentre per me erano solo sputazzi e percosse. Io ero la spia, io ero il traditore, io il vile servo dell'aquila grifagna ai piani alti.
Divenni io il nano, per statura morale. A gran voce tutto l'ufficio invocava il mio licenziamento. Così venne a prelevarmi il capo, m'afferrò pel sottobraccio e si inoltrò nella calca tumultuante, che lo incitava furente, mentre trascinandomi via gridava: "Sarà castigato! Un castigo severo! È un birbante, è uno scellerato! Grazie, grazie, grazie tante!".
Ma fu solo un prestigio. Da sezzo, seduti ad un accomodante tavolo coi potenti, la questione finì a taralucci e vino. E non mi lamentai, benché a quel tavolo mi toccò ancora una volta sedere a fianco al nano.
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