Menta 3
Mentre scavalcava il muro pensava al futuro e a quanto si lasciava dietro; aveva impiegato mesi ad aprire la catena. Per storcere un singolo cerchio ramato aveva preso sempre posto vicino al camino durante il giorno e la sera, quando la portavano in giardino per dormire, aveva colpito per ore e ore sempre il medesimo punto con una pietra. Quando, pochi minuti prima, la lega aveva ceduto a uno di quei colpi e la catena era caduta per metà al suolo il cuore le era balzato in gola. L'aveva devastata andarsene senza dire niente agli altri, il dover andar via da sola, ma non c'era alternativa. Con la pietra aveva inciso un segno dove dormiva di solito, un segno che voleva dire molte cose ma non sapeva parlare. Poi si era alzata, in silenzio, aveva scalato il muro. In quel momento, a cavalcioni tra la prigionia e la libertà, sentì evaderle dal cuore la voglia di gridare; libera, libera, si sentiva solamente, finalmente libera: "Non morirò da schiava. Sono libera! E sarò questo, da ora e per sempre. Io sono Libera!" Voleva urlarlo al mondo.
Se lo impedì, saltò giù. "Dovrei muovermi velocemente o andare piano per non farmi notare?" Le gambe fremevano, ma la testa vinse di nuovo. "Cautela e silenzio." Le strade del paesino erano sfiorate a malapena dal sole nascente. Era lucida, ma l'emozione si faceva ogni minuto più forte. Poi un pensiero le si palesò di colpo: "Le guardie sorvegliano le mura. Come evaderò da Fängelse, se ogni lato è sorvegliato?" Per la prima volta dopo molto tempo, una smorfia gioiosa fece splendere il suo sguardo. "Le cascate di Brand."
Proseguì, la determinazione e la voglia di vivere a mostrarle la via. Le cascate, che in realtà erano fontane artificiali, erano l'unico lato non sorvegliato di Fängelse; era da idioti pensare di uscire o entrare da lì: oltre la cortina d'acqua che faceva da scudo agli abitanti si distendeva il bosco di Autumna, che era gremito di fate, gli unici Magici che gli umani non avevano ancora conquistato. Ma per Libera, oltre Autumna, c'era il mondo: ogni strada era aperta. "Forse troverò altri elfi, forse i miei genitori... forse..." Sognò per un momento di tornare, di liberare coloro che aveva lasciato indietro, ancora in catene.
La cortina di acqua scrosciava davanti a lei, le sembrava un canto materno che giurava gioia. Sentì le lacrime scendere lungo le guance. Si guardò intorno, una guardia la vide, a pochi metri di distanza. Libera rise e scomparve oltre il muro d'acqua. La guardia si fermò su due piedi, indecisa se proseguire nel suo giro e ignorare la cosa o se seguirla e rischiare. Poi continuò la ronda.
Libera era fradicia e felice. Non ricordava di aver mai sentito così poco peso su di lei. Il sole sorgeva dietro agli alberi spogli. "Entro poco mi asciugherò... poi avrò le fate come unico pensiero." Poté sfogarsi, corse fino a quando non si asciugò quasi completamente. Non le avevano mai lasciato imparare ad usare i suoi poteri, l'unica abilità che riusciva a dominare era la corsa, ma non l'aveva mai potuto fare per più di un paio di metri, quel tanto che le consentiva la catena... la sensazione era incredibile, sentiva il sangue pulsare in ogni vena. Qualche fata l'aveva sentita, ma l'avevano ignorata, non era mangiabile finché bagnata. Aveva iniziato a procedere sempre più lentamente, a farsi notare sempre meno. Libera si sentiva sospesa nel tempo.
"Ora inizia la parte complicata... non devo fare rumore", pensò, nel riprendere il percorso. Senza l'umidità di prima, non aveva altro scudo che il silenzio. Sperò di non venire tradita dal crepitio del fogliame. Le sue gambe tremavano quasi, esasperate da quel procedere lento e monotono; l'istinto desiderava la velocità. Gli elfi del vento l'avevano sempre avuto, anche lei, sin da bambina, ne sentiva il bisogno. Ora che l'aveva provata senza vincoli lo sentiva come un bisogno, come respirare. Ma doveva procedere così, non doveva farsi sentire.
La foresta sembrava infinita, il sentiero si snodava tra le foglie aranciate in un groviglio disordinato che aveva come solo scopo il far perdere i viandanti. Con la luce del sole, gli alberi di Coglio erano magnifici. Stendevano i rami al cielo come mani, le foglie scendevano lievi senza mai fermarsi. Ad Autumna la stagione non cambiava mai; in qualsiasi mese c'era un forte vento e le foglie avevano tinte sgargianti. Le fate invece adoravano quel clima e il Coglio, vi avevano costruito una vera e propria capitale. La loro concentrazione lì era la più alta del mondo conosciuto. Non erano benevole con i visitatori, anzi il contrario, la gelosia per loro casa le aveva rese maligne e spietate. Il che era già da solo un buon motivo per non recarsi in quei boschi. Inoltre, il rumore le infastidiva e non era facile muoversi senza un suono su un suolo coperto di foglie disidratate.
I respiri ordinati e precisi, i piedi che si scambiavano sempre pronti a scansare ogni foglia e ogni ramo, Libera proseguiva sicura. Poi le parve di vedere un'ombra. Alzò lo sguardo nel panico: era una fata? Le sue gambe reagirono da sole, per un breve secondo corsero avanti istintivamente... pestò senza volerlo un bastoncino, un sonoro "Crok" risuonò nel bosco quieto.
Libera chiuse le palpebre, imprecò mentalmente. Poi tornò vigile, inspirò e corse. Un fastidioso ronzio spinse via il silenzio. Più veloce del vento, doveva venirle semplice, era la prerogativa degli elfi aerei. La radura si scaldò, le ali dei suoi abitanti avevano preso a vibrare insieme e le foglie cadevano più rapidamente di prima.
Le fate erano note per le loro strategie di branco, sentiva la morte intorno a sé. Aumentò l'andatura, quasi non sfiorava il suolo coi piedi... ma il suo cuore palpitava a ritmo con la paura, sempre più veloce non bastava per le fate, doveva muoversi rapida come il suono.
Non aveva mai corso così prima, non pensava neanche di poterci riuscire, ma non era abituata, dopo poco la velocità iniziò a bruciarle i polmoni. Non si fermò.
I nugoli di fate si alzavano dai Cogli come sciami di vespe ogni volta che posava il piede destro davanti al sinistro, la quantità di fate dietro di lei aumentava a dismisura, il loro volo frenetico scaldava l'aria e il calore la confondeva quasi fino a stordirla. Poi uno sciame le si alzò davanti, Libera frenò di colpo e la sua testa si schiantò sul pavimento di foglie. Cercò di recuperare il respiro che aveva perso nel cadere, le fate planarono su di lei una dopo l'altra e le tolsero luce e aria. In un momento ne fu ricoperta e i primi morsi le rosero la carne. Gridò. Bruciavano come carboni ardenti, i loro denti erano tanto acuminati quanto roventi.
Tentò di alzarsi, di riprendere la corsa, ma il loro peso, così in branco, la incatenava al suolo. Del denso fumo grigio si alzò da Libera, l'odore di bruciato e le sue urla strazianti riempirono ogni angolo del bosco. L'ultimo pensiero di Libera prima di perdere i sensi fu che il suo desiderio più grande era diventato realtà: non morire da schiava in quel cortile, ma da Libera in qualsiasi altro posto.
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