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84. UNFAITHFUL

Muovendomi piano tra le calde lenzuola, riuscii a sfilarle completamente per alzarmi in piedi nel tardo pomeriggio di sole che si stava avvicinando alla sua conclusione. Andrew si era profondamente addormentato da quasi un'ora, nudo e ormai del tutto scoperto, e non si svegliò nonostante i miei movimenti. Aveva dormito tutta la notte dopo la gita a Volterra e persino l'intera mattinata seguente. Sembrava non averlo fatto davvero da anni, come se solo in quel luogo chiamato casa si sentisse completamente a suo agio, in qualche modo protetto.

Mi sedetti sul piccolo divano posto accanto alla finestra socchiusa, avvolta nel lenzuolo e con il sole alle mie spalle, ormai basso tra le colline. La luce che entrava nella camera delineava le curve del suo corpo, dei muscoli delle braccia e del torace, delle gambe lunghe e del viso rilassato. Quasi sempre dormiva con un braccio posato sulla fronte, posizionandosi né di profilo né supino, come fosse sempre in procinto di svegliarsi, di lavorare o di scappare.

Mentre lo ammiravo, riflettei sul fatto che un tempo erano i nudi maschili i più raffigurati nelle sculture, usando il marmo nella realizzazione perché è la pietra che meglio è in grado di trasmettere la solidità e la forza insita nei muscoli. Avevo sempre nutrito la convinzione di essere nata in un'epoca triste per le donne, dove solo l'armonia delle curve femminili veniva decantata nell'arte e nelle immagini trasmesse dai media. Gli uomini, invece, lasciati sempre un po' in disparte. Io guardavo Andrew, invece, e mi perdevo ad ammirare la perfezione delle sue forme, della mancanza di curve morbide ma della bellezza emanata dagli spigoli, dalla mascolinità dei muscoli dei polpacci, degli addominali e dei bicipiti... mi domandavo cosa potesse esserci di più armonioso del corpo atletico e prestante di un giovane uomo.

Solo per un attimo rividi Michael. Pensai a ciò che avevo provato guardandolo dormire negli ultimi anni con tutto l'amore che avevo tenuto in serbo per lui, quando alla fine lui invece non aveva mai pensato solamente a me. Prima ancora dell'arrivo di Andrew, c'erano state altre donne nei suoi pensieri. Immaginarne il numero sconosciuto mi dava la nausea.

Rimirai il corpo che ormai era mio per quasi un'ora, senza che Andrew muovesse un solo muscolo. Dopo averlo dipinto con gli occhi, fotografando ogni minimo dettaglio con accurata precisione, presi dalla valigia l'album da disegno e il carboncino che avevo portato con me. Cercai di riprodurre quell'immagine di intonsa perfezione sulla carta, ma questa volta era diverso: non volevo più intrappolarlo come avevo tentato di fare durante il mio primo e goffo tentativo attuato il giorno di Natale. Lo avevo già assorbito con i miei occhi, con le mani, con la mente, con il cuore.

Andrew si svegliò molto tempo dopo, quando ormai il disegno era quasi concluso e restavano solo alcune sfumature da aggiustare. «Non ti muovere», lo intimai, contrariata di aver perso l'ampiezza dell'ombra che gli nascondeva il pomo d'Adamo e parte della spalla.

Con aria confusa e assonnata si guardò attorno, poi strizzò appena gli occhi alla luce del tramonto che già aveva modificato i chiaroscuri sul suo corpo. «Che stai facendo?»

«Disegno te», spiegai con le dita che sfregavano sulla carta.

«Da quando mi stai disegnando?»

«Da un po'... mi piace guardarti dormire.»

Scrollò la testa e alla fine si alzò in piedi, nonostante le mie acute rimostranze. Mi arrivò accanto e si fece spazio sul sofà per sedersi dietro di me, avvolgendosi anch'esso con il lenzuolo. Guardò il disegno per qualche secondo, sembrava molto concentrato. «Lì sotto manca qualcosa», mi fece notare con una punta di ironia.

«Non manca nulla lì sotto. Ho solo coperto con un lenzuolo immaginario cose che nessuno oltre a me deve avere il diritto di vedere.»

«Potrei offendermi per il fatto che tu abbia deciso di nascondere una parte così importante di me, sai?»

Rideva sincero nella luce ocra che gli scaldava il viso, e io lo baciai come unica e più logica conseguenza. Era bello da togliere il fiato, vero e mio da annullare la ragione. Baciarlo non mi sembrava mai abbastanza, nemmeno dopo tutte le volte passate a fare l'amore tra le lenzuola che erano tornate ad avvolgerci entrambi. Ormai sapevano di noi due.

Andrew rubò il disegno per lasciarmi libera di toccargli il viso con le mie mani. Lo abbandonò a terra, ma con estrema cura. Ci avvolse entrambi in un caldo bozzolo fatto di lenzuola e speranze, sentivo l'aria più fresca arrivare dalla finestra lasciata aperta di uno spiraglio sul cortile, dove Milo si affaccendava per abbaiare a ogni essere vivente che gli capitava a portata di sguardo.

«Sai... è strano vederti in questa casa», sussurrò al mio orecchio.

Appoggiata alla sua spalla, godevo delle carezze che mi solleticavano il braccio, poi il ventre, il seno. Non ricercava nulla, solo contatto, quasi disinteressato. Io rabbrividivo nel sentire i suoi polpastrelli e allora socchiudevo gli occhi, per sentirlo ancor più in profondità. «Spero sia uno strano bello.»

«Uno strano meraviglioso...»

La mia testa si mosse piano per guardarlo negli occhi e vedere le sue parole anche dalla mimica che gli muoveva le labbra e le guance. «Credevo che questo posto fosse morto, che prima o poi avrei dovuto abbandonarlo per sempre perché la mia nuova vita era da un'altra parte, ma...»

Mossi appena le sopracciglia e lui continuò, non prima di avermi accarezzato la guancia. Teneva la mano lì con me, nemmeno fosse una cornice naturale al quadro che stava osservando. Pensai che nessuno al mondo mi aveva mai guardata così: forse, Michael un tempo lo aveva fatto, ma ormai, avvolta nel tiepido mare di stoffa setosa, io quel tempo non me lo ricordavo nemmeno più. «Ma ora credo che mancassi proprio tu per renderlo vivo.»

Lo accarezzai con la punta delle dita che tremavano di impazienza. «Andrew», mi si scheggiava il fiato in gola per l'emozione. «Ora posso dirtelo? Ne ho... bisogno, ti prego.»

Alzò solo un angolo della bocca, ma non sorrise del tutto. Non in quel momento, così intenso e carico di emozioni che sentivo soltanto la voglia irrefrenabile di piangere tra le sue braccia.

«E io credo di aver bisogno che tu me lo dica», rispose sottovoce.

Credevo di essere pronta, ma liberare quelle parole non fu affatto facile nel turbinio confusionario che mi agitava l'animo. «Ti... amo.»

Mi fissò a lungo, senza dire una parola. Poi sembrò trovare le forze per parlare. «Giurami che è così. Giurami che non cambierai idea», mi pregò anche con gli occhi carichi di emozione.

Mentre annuivo, mi appropriai del suo viso per baciargli le labbra, le guance, la fronte, le palpebre appena abbassate. Strinsi con energia, conficcai le unghie tra i suoi capelli, quasi rabbiosa nel cercare un varco per permettermi di conficcare allo stesso modo quelle parole dentro di lui. Tutte quante. Ogni sillaba, ogni molecola del respiro che impiegai per ripetergli che glielo giuravo con tutta me stessa.

Non riuscivo più a respirare dall'eccitazione di aver finalmente tolto quel peso dal cuore, perché ora era subentrato un nuovo macigno a opprimermi il petto; ma era un peso dolce, questo, forse la felicità di aver finalmente accettato i miei sentimenti, la realtà dei fatti. Andrew mi stringeva forte, mi baciava forte, e nella sua bocca io perdevo ogni controllo. Con quelle parole mi aveva intrappolata per sempre, mi aveva resa sua come io lo avevo appena legato a me. Senza possibilità di scampo.

**************

Le lenzuola sfilarono morbide intorno ai nostri corpi nudi, gettati con scoordinata fluidità sul soffice materasso che così tanto aveva già visto di noi, eppure non abbastanza. Perché Andrew non era mai abbastanza.

Mi tratteneva il volto con una mano per non farmi sfuggire da lui, dall'attacco dolce e costante della sua bocca. Leccava, baciava e mordeva le labbra, il collo, scendendo al seno.

Lo disse in un nuovo bacio, uno uguale al precedente, ma diverso.

Lo disse in italiano, sottovoce.

Lo disse sconclusionato nella mia bocca, a occhi chiusi e capelli spettinati, preso dal desiderio e fuori da ogni controllo. Quasi non si rese conto di averlo pronunciato, ma io lo sentii forte e chiaro perché dalla gola quel ti amo scese giù in picchiata al mio cuore.

Andrew mosse i fianchi in avanti e penetrò dentro di me in quel momento, inaspettato e rapido, quasi come l'ultima difesa che teneva a disposizione per farmi dimenticare cosa si era lasciato sfuggire. Sperava di cancellare le sue parole, distraendomi con il desiderio profondo che aspettavo si esaudisse in un unico modo. Ma il ti amo lo avevo sentito e, anche se in una lingua diversa, non aveva bisogno di alcuna traduzione. Glielo avevo rubato e ora restava incarcerato dietro lo sterno, e io lì, in quel punto preciso, lo avrei custodito a ogni costo.

«Layla», diceva al mio orecchio, indeciso se restare sollevato per guardarmi o abbandonare la testa contro la mia spalla e perdersi nel piacere che sapeva regalarmi. Respirava piano, a fatica, e io quasi singhiozzavo a ogni spinta decisa, presa da eccitazione ed emozioni troppo intense da poter essere sopportate.

Erano passati minuti quando lo feci voltare per mettermi sopra di lui, per ammirarlo alla luce del tramonto ormai quasi svanito. Rade goccioline di sudore gli imperlavano la fronte, le spalle, i pettorali, gli addominali contratti, i bicipiti tesi mentre mi stringeva i fianchi per farmi muovere con più intensità. Ritrovai la mia mano intorno al suo mento, come quella notte a Filadelfia. Strinsi con forza fino a fargli contrarre la mandibola. «Dimmelo di nuovo...»

Chiuse gli occhi, sulle labbra un riso insoddisfatto. «Prima tu. Me lo devi.»

La sua mano seguì la linea del mio braccio fino a cingermi il collo. Aumentò la stretta per poi spingermi in giù, per farmi affondare con più forza su di lui, fino a strapparmi un gemito che sapeva di amore, di rabbia e di dolore. Spostai le mani intorno al suo polso, strette, ma non per tentare di liberarmi. Mi teneva in pugno, Andrew, ed era proprio in quel pugno che io avrei voluto vivere, morire, e amarlo ancora. «Ti amo», lo dissi a denti stretti, in italiano, con la rabbia e l'amore che trapelavano a ogni sospiro.

Si sollevò fino ad abbracciarmi, fino a bloccare i miei movimenti, fino a posare la testa sul mio seno e restare così, secondi di immobilità solo esteriore, ma non del cuore. Quasi potevo sentire il turbinio dei suoi pensieri e della sua paura mischiarsi con il battito cardiaco accelerato.

Appoggiai la testa sulla sua, dolcemente, nella pausa della guerriglia che sempre ci accompagnava. Avevo capito da tempo che combattere non aveva più alcun senso e in quella stretta, nel modo in cui gli accarezzavo i capelli con fare quasi remissivo, come gli baciai il capo più volte perdendomi nel profumo dei suoi capelli, gli ricordai che c'ero. Lo rassicurai che ci sarei sempre stata, anche dopo quel momento.

«Ti amo, Andrew», mormorai ancora una volta ricercando il suo sguardo. «Resterò qui con te, se è questo che vuoi. Torniamo in America oppure restiamo a vivere qui. Sarò sempre dove ci sarai tu.»

Era bello vaneggiare nell'amore, senza pensare alle conseguenze, alla vita vera.

«Mi ami davvero?»

Lo chiese con bisogno, come se avesse potuto considerare la reale possibilità che io lo amassi solo in quel preciso istante, mentre mi scrutava attentamente negli occhi. Fino a quel momento, Andrew non mi aveva ancora creduto. «Ho abbandonato tutto per te. Non... non è abbastanza?» singhiozzai quando realizzai davvero quanto il suo arrivo avesse sconvolto la mia intera esistenza.

Mi attirò con rapidità per avermi di nuovo sotto di lui, per riprendere a fare l'amore lentamente. La rabbia era un ricordo. Teneva entrambi i gomiti appoggiati al cuscino e le mani intorno al mio volto. Lo guardava ancora. Lo ammirava incorniciato dalle sue dita e dalla sua vita. «Layla... io ti amo...» I suoi occhi persero il contatto con i miei solo per un breve istante, poi riprese coraggio e lo ripeté dentro di me, rallentando appena i movimenti. «Ti amo da così tanto che non so nemmeno quando ho iniziato a farlo. Mi sembra di amarti da quando sei uscita a carponi da sotto la tua scrivania. E poi ti ho amata ancora di più quella sera a Miami, quando ballavamo insieme e mi ripetevi che eri sposata, come se io non me ne fossi accorto prima.

Ti ho amata quando hai usato la chiave della mia camera a Filadelfia, quando poi ne sei scappata come una furia dopo avermi fatto male e dopo che io ne avevo fatto a te, e quando il giorno dopo nell'ascensore mi hai sorriso...» Sorrise anche lui, nel nostro presente rubato alla luce del tramonto mentre il suo bacino danzava con il mio. «Ti amavo quando mi facevi del male, quando tornavi da lui, quando godevi nel ricordarmi ogni giorno di non essere mia. Eppure... forse ho capito di amarti davvero quando mi hai detto di essere tuo. Non avevo mai pensato di appartenere a qualcuno prima di quel giorno e ho odiato le tue parole perché non volevo essere di nessuno. Le odiavo tanto, perché purtroppo erano vere. Sei stata la prima ad accorgertene.

Ho aspettato solo che tu fossi... davvero mia per dirtelo.»

Si nascondeva un bisogno profondo nel modo in cui lo attirai a me per baciarlo, per farmi abbracciare, sempre più vicini al limite, non più solo fisico. Insieme.

«Ora sarò per sempre tua, Andrew.»

*************************

Spazio Dory:

... e nel frattempo... Milo insegue le galline in cortile, ignaro di tutto ahahah

Campane a festa, canti angelici e cori ultrà... ce l'hanno fatta!

Ma che bellini sono quei due??? Sì, siamo in Toscana e quindi dico bellini.

Sono felice di avervi mostrato questo capitolo... lo avevo scritto più o meno dodicimila anni fa e scalpitava per essere pubblicato.

Aspetto i vostri commenti e non dimenticate di votare se il capitolo vi è piaciuto!

A presto!

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