51. SECRETLY
Il silenzio ci accompagnò per tutto il tragitto fino al motel. Non sapevo più che cosa dire, visto che loro due si erano preoccupati di togliere tutti i paletti che io avrei potuto mettere come blocco per rifiutare la loro proposta. Ormai sembrava che tutto l'alcol fosse sparito dal mio corpo: ero perfettamente lucida per rendermi conto della situazione.
Con i minuti che scorrevano, presi a riflettere sulle varie possibilità che io stessa avevo pensato come soluzione alla nostra condizione; sebbene la loro rappresentasse la più vergognosamente allettante per la mia coscienza, allo stesso tempo mi rendevo conto di quanto fosse sbagliato, che forse io ero soltanto un'egoista e che loro si erano alla fine adeguati a questo per via degli eventi. Anche se non lo avrei mai ammesso ad alta voce, quella possibilità mi attirava sopra ogni altra: l'idea di averli entrambi poteva diventare la soluzione ai nostri problemi... sopratutto ai miei.
Immaginavo però che ci sarebbe stato un prezzo da pagare, ma ancora non mi rendevo conto di quale sarebbe stato, e di quale portata.
Una volta che la macchina si fermò nel parcheggio del motel, ecco che il mio cuore prese improvvisamente a battere con più insistenza, nel timore dell'ignoto e l'aspettativa di ciò che sarebbe successo di lì a poco. C'era la fiducia più totale, sapevo che non mi avrebbero mai costretta a fare qualcosa che non volevo. Edward aveva detto che ne avremmo dovuto parlare di volta in volta, passo dopo passo, e che forse avremmo compiuto degli errori, ma che con il tempo avremmo imparato come comportarci per poter stare bene insieme. Quelle erano semplici parole, però, solo aria mista a buone intenzioni, ma adesso, con la macchina ferma e silenziosa e le chiavi della nostra camera che pesavano nella tasca dei pantaloni, il silenzio iniziò a chiamarmi: a bussare insistentemente alla mia coscienza, come se ogni prossimo evento e decisione aspettasse una mia parola per azionarsi.
Cosa avrei dovuto fare una volta scesi da quell'auto? Scegliere uno o l'altro? Aspettare ancora per procrastinare la decisione? Tante domande, ma nessuna risposta.
La possibilità della contemporaneità era per me fuori questione, fuori da ogni ragionevole pensiero e, dai loro discorsi precedenti, avevo intuito che lo stesso valeva per entrambi. Mi stavo aggrappando a quello con tutte le mie forze: nonostante ciò che avevano fatto nel locale fosse stato troppo intraprendente fino a spaventarmi, loro stessi mi avevano mostrato una fiducia senza pari, e anche loro erano persi e confusi tanto quanto lo fossi io.
Eravamo in tre in quella situazione, ma io non me la sentivo di prendere una decisione per tutti.
Edward si passò una mano tra i capelli, in quel ciuffo che durante il ballo avevo trattenuto tra le mie dita umide di sudore, alcol, desiderio e musica, ma non mostrò l'intenzione di scendere quando la macchina fu del tutto ferma. Stava aspettando... stavano aspettando tutti...
Will sfilò con calma la cintura di sicurezza e mi lanciò un'occhiata dallo specchietto retrovisore. «Kat, va tutto bene?»
Annuii e abbassai lo sguardo; nell'agitazione avevo strappato una pellicina dal pollice, e ora la pelle arrossata aveva iniziato a sanguinare. Portai il dito al labbro e presi a succhiare, nascondendomi nel buio e alla loro vista. Il sospiro di Edward si fece più intenso solo dopo diversi secondi. «Giusto per informazione, il momento di disagio lo percepisco solo io o...»
Con tutta la tensione accumulata negli ultimi minuti, mi ritrovai subito a irrompere in una stridula risata che, senza alcuna fatica, contagiò anche Will. «Non ci posso credere», borbottai passandomi le mani sul viso. «Sei incredibile.»
Fu Will ad aprire la portiera per primo. «Intanto, vediamo di scendere da qui e prendere un po' d'aria. Che ne dite?»
Una volta fuori insieme, passai rapidamente lo sguardo al cielo stellato, limpido e sereno come raramente avevo visto in vita mia. Riuscivo a scorgere le montagne più vicine, imponenti, inquietanti come giganti pronti ad attaccare, e appena sopra c'era la copertura di velluto tempestata di diamanti più o meno lontani, ma incredibilmente luminosi.
Poi, successe tutto all'improvviso quando chiusi la mia portiera. La macchina riprese vita e si allontanò con un rombo, a gran velocità, lasciando me ed Edward soli.
«Ma...» dissi soltanto, confusa e a bocca aperta.
Edward mi si avvicinò con le braccia incrociate e insieme guardammo la macchina allontanarsi dal parcheggio. «Idiota.»
«Tu lo sapevi?»
«Che Will è idiota? Certo.»
Scrollai la testa. «No, stupido. Intendevo dire se sapevi che se ne sarebbe andato. Avete fatto un accordo... o qualcosa del genere?»
«No, mi serve un foglio e un righello per stendere la tabella dei turni.»
Tentò di mantenersi serio, ma non ce la fece e, mentre rideva sguaiatamente appoggiandosi con le mani sulle ginocchia, io lo schiaffeggiai sulla nuca. «La vuoi smettere? Potresti essere serio per un momento?»
Roteò gli occhi al cielo e, rapido e inaspettato, si accucciò per afferrarmi le gambe e issarmi sulla spalla con agilità. «Non sono serio perché per far funzionare questa cosa, dobbiamo stare tutti bene e se iniziamo a pensare seriamente a ogni minima questione e alle conseguenze di ogni nostra singola azione, allora diventiamo due giganteschi rompipalle come William Noia Coleman.»
«Mettimi giù», sibilai per evitare di farci sentire dagli ospiti nelle camere nascoste dalle porte blu che superavamo rapidamente. Edward camminava veloce, troppo veloce. Mi mancava il respiro mentre ondeggiavo sulla sua schiena... e un po' mi mancò anche il cuore alla consapevolezza di ritrovarmi da sola con lui dopo tanto tempo.
«Taci, nanetta. Comunque, Will non mi aveva detto un cazzo prima, ma visto che in macchina non spiccicavi una parola e l'aria si stava facendo pesante, ha pensato bene di...»
«Di?»
«Devo essere serio o no?»
Sbuffai, estraendo le chiavi dalla tasca posteriore mentre l'agitazione aumentava più i suoi passi ci avvicinavano alla nostra camera. «Serio, grazie.»
Sbuffò. «Ci ha voluto lasciare un po' di privacy. Così va bene?»
Davanti alla nostra porta, Edward si fermò voltandosi di schiena per permettermi di aprirla, anche in quella scomoda posizione.
«Continuo a sentirmi a disagio, Ed», mormorai una volta dentro.
Solo quando la porta fu chiusa a chiave dall'interno, Edward mi lasciò andare. «Lo ha deciso da solo, Kat, di sua spontanea volontà. Non devi essere a disagio con lui. Se lo ha fatto, è perché si sentiva di farlo.»
«Ma io sono a disagio anche con te.»
Si sedette sulla poltrona, abbandonandosi con un sospiro, con le gambe appena divaricate e assorto a guardarmi. Era così bello che quasi pensai di chiedermi se fosse reale. Picchiettò la mano sulla coscia e mi richiamò a sé. Con il cuore agitato e in tumulto, assecondai la sua richiesta, incuneandomi tra le sue gambe. «Ascolta», iniziò a dire quando mi accolse tra le sue braccia e mi lasciò appoggiare la testa sulla sua spalla, cullandomi appena. Fu un gesto dolce e premuroso, diverso da tutto ciò che avevo conosciuto prima di lui. Ci volle qualche momento per adeguarmi alla diversa forma del suo corpo, al suo odore nelle narici, al ritmo che impartiva alle carezze che mi lasciava sulla schiena. «Questa malsana idea, in principio, è venuta a me, non a Will. E prima di proporgliela, non sai quante volte avevo deciso di lasciare perdere tutto. Mi davo del coglione anche solo per averci pensato. L'idea di condividerti non mi va neanche un po', Kat. Te lo dico sinceramente e se Will non fosse mio fratello, non ci avrei mai nemmeno pensato.»
Non riuscivo a vedere i suoi occhi, percepivo solo il battito del suo cuore, accelerato come il mio. Quando notò la minuscola goccia di sangue che riluceva sul mio pollice là dove l'agitazione mi aveva fatto torturare le pellicine, sollevò la mia mano e portò il dito alle labbra. Succhiò appena, come se quella mano fosse stata la sua. Naturale. Non mi guardò quando mi feci più indietro per osservare la sua bocca, rapita, desiderosa.
«Ho sempre visto quello che lega voi due, anche quando sei stata solo con me per quelle poche settimane a Los Angeles. Lo so, non sono stupido. Non sei mai stata solo mia. Il vostro rapporto è un qualcosa che va al di là di quello che posso comprendere... e mi sono arrabbiato tanto, per diverso tempo, e... e confesso di non averla presa bene per quello che avete fatto insieme», continuò senza fermarsi. I battiti del mio cuore non seguivano più alcun ritmo, prima agitati, poi quasi assenti, e i sensi di colpa mi graffiarono la gola come artigli invisibili. «A San Francisco, quando Will mi ha raccontato tutto, per qualche ora ho creduto di perdere la testa. Ma alla fine ho capito che non posso vivere sempre arrabbiato, sempre a soffrire. Non riesco a odiare lui, e non riesco in alcun modo a odiare te. Allora mi sono adeguato, soprattutto al fatto che Will è ritornato nella mia vita dopo anni che ci eravamo del tutto persi di vista. Ho capito che lui è troppo importante per me e non ho più intenzione di perderlo così come è successo tempo fa per colpa di Malone. Anche se non abbiamo così tanti anni di differenza, mio fratello è stato la figura più importante: quando ero bambino si è preso cura di mia madre e di me... forse, era l'esempio di uomo che sarei voluto diventare. Un po' come un padre, o cazzate del genere», concluse in tono leggero, come a voler drasticamente diminuire l'importanza del messaggio veicolato dalle sue parole.
Mi teneva stretta e giocava con le mie dita; capivo che si stava lentamente mettendo a nudo, parole dopo parole che svelavano il suo passato, ma il suo sguardo non ricercava il mio: non voleva mostrarmi tanto.
In risposta, io non avevo nulla da poter dire che sapesse completare adeguatamente il suo discorso. Dal momento in cui ero salita sull'auto e accettato la loro proposta, avevo perso le redini della mia volontà, della mia vita. In qualsiasi luogo loro fossero andati, qualunque fosse stata la loro decisione sul futuro, io li avrei seguiti. Ovunque.
Mi baciò la fronte prima di continuare a giocare con le mie dita. «Il problema è questo. Se tu un giorno scegliessi di lasciare andare Will per stare solo con me, tu non saresti del tutto felice e, in un certo qual modo, non lo sarei nemmeno io, e così anche Will nella situazione inversa. Mi sentirei in torto nei suoi confronti, e io con te avrei voluto essere felice per... per sempre», sussurrò sul finale, come potesse vergognarsi di quelle ultime due parole che uscivano dalle sue labbra. Alzai allora la testa per guardarlo, ricambiò lo sguardo quasi con difficoltà. Edward era a disagio, come fosse stata la sua versione timida a parlarmi, e la stessa timidezza non diminuì quando gli accarezzai la guancia, quando vide i miei occhi inumidirsi di felicità.
«Kat, quello che Will ha detto in macchina», si schiarì la voce, il suo torace era teso, «non ho mai avuto l'occasione di dirtelo prima, ma... è tutto vero. Ogni cosa.»
Frullò qualcosa nel petto. Non era un battito d'ali di farfalla come tanti raccontano. Era un intero stormo di fringuelli che, con le piume delle loro ali in agitato movimento, schiaffeggiarono il mio cuore mentre si levavano verso il cielo. Capii immediatamente cosa volesse dirmi, ciò che aveva avuto il coraggio di confessare a Will, ma mai a me.
Gli angoli della sua bocca si alzarono brevemente, il suo viso si tinse di un sorriso così puro, timido e ingenuo da farmi capire che forse aveva già detto quelle parole nella sua vita, ma adesso era la prima volta in cui le sentiva davvero. «Ti amo anche io, Ed.»
La mia voce fluì senza controllo, senza aver nemmeno pensato alla forma da darle. Gli spostai un ciuffo di capelli dalla fronte e lui acciuffò di nuovo la mia mano al volo, chiudendola a pugno e baciandolo con energia, reprimendo un sorriso che io riuscivo a vedere nonostante tutto. Su quella scomoda poltrona di un vecchio motel del Colorado, mi strinsi allora a lui e mi lasciai abbracciare, mi lasciai baciare, mi lasciai toccare nella speranza di ritrovare l'intimità che avevamo perduto da tempo. Dopo ogni bacio fatto di paure, speranze e affetto, lui mi sfiorava il naso con la punta del suo, e mi guardava... mi guardava... e io gettavo tutto il mio essere in quegli occhi che sapevano rapirmi, farmi male eppure bene; giocava a sembrare stupido e superficiale, quando invece il mio ragazzo dalle gambe troppo lunghe teneva nascosto tutto un mondo, segreto a quello bieco e meschino in cui vivevamo.
Il tempo quella notte prese a scorrere con un andamento diverso, più lento e sentito, personale, e i nostri passi scoordinati ci portarono infine al letto vuoto, in una pioggia silenziosa e frusciante di vestiti, sospiri, e anche qualche risata sfuggita qui e là.
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Il tuffo disordinato sul letto ci fece sorridere, l'uno sulle labbra dell'altro dopo essercele morse a vicenda. Quando raccolsi una breve distanza tra i nostri visi per guardarlo, Edward si fermò un istante per fare lo stesso. Era bello, così bello come avrei immaginato un'aurora boreale, come il tramonto che avevo ammirato sull'oceano Pacifico; era imponente come una pioggia di meteore, totalizzante e sconvolgente come la visione degli ultimi istanti di vita di una stella morente. La sua vista, insieme alla sensazione della realtà che stavo vivendo, al senso di concretezza che trasmettevano i suoi baci e le sue carezze, alla sua pelle accaldata che fluiva sotto le dita mentre ritornavo a mappare il suo corpo come fosse parte di me, erano quasi insopportabili da poter reggere.
Fu strano il rendermi conto di amarlo una seconda volta, come se alla prima avessi attribuito irrisoria importanza, come avessi dato per ovvio un qualcosa di così speciale che non poteva passare in secondo piano. Edward mai sarebbe passato in un piano inferiore rispetto a William ed era frustrante non sapere come dimostrarglielo.
Nel tragitto verso il materasso avevamo tolto ogni cosa, prima tra tutte l'imbarazzo, e io lo avevo aiutato a indossare l'unica protezione che ci avrebbe in parte diviso. Ogni cosa era parsa così naturale e fluida, che quasi mi sorpresi del momento in cui entrò dentro di me. Lo fece con una spinta unica, dolce ma rapida, e sentirlo scivolare così a fondo mi strappò un gemito sordo, un sospiro che lui ingoiò senza pensarci un attimo, a labbra spalancate e avide.
Nella stanza c'eravamo solo noi, solo i nostri silenzi, i nostri gemiti, i nostri cuori che correvano alla massima velocità, curva dopo rettilineo, incauti e ignari di tutti i pericoli nascosti. Era la nostra prima volta. Non era la mia sola, non ero la Kathrine che aveva scelto Will per quel passo così importante. A occhi chiusi e abbandonata completamente a Edward, io stavo vivendo una seconda prima volta, per l'altra parte di me che solo lui aveva conosciuto, e che soltanto lui sapeva tirare fuori.
La gioia più totale tassellò in un silenzio luminoso ogni minima parte di me, tutti gli anfratti che le ferite avevano lasciato nel mio cuore.
Lo tenevo vicino perché non ne sopportavo la distanza, una mano sulla nuca mentre mi baciava, e l'altra sulle natiche, percependo i muscoli che si contraevano e rilassavano sotto il palmo della mia mano. Mi piaceva sentirlo spingere, suggerirgli il ritmo e sussurrare solo con il tatto quanto riuscisse a farmi perdere la ragione. Sorridendo di truce soddisfazione, Edward mi imitò, e la sua mano sulle reni mi attirò a lui a ogni affondo, insistente, continuo, fino a che la mia voce non prese ad alzarsi fino a suo piacimento.
I suoi capelli erano sciolti e via, via che i minuti fuggivano, notai la sua fronte imperlarsi di minuscole gocce di sudore. Gli accarezzai il viso umido e allora i suoi occhi si socchiusero e le spinte rallentarono al mio tocco, come se quella semplice e irrisoria carezza fosse stata in realtà tutto ciò che stava aspettando. Niente gemiti, niente parole. Solo dita colme di emozione.
Riaprì gli occhi con qualche istante di ritardo e l'amore che stringevo a me in ogni modo possibile mi guardò davvero, dritto all'interno del mio nucleo essenziale. Era il vero Edward che mi stava parlando solo con gli occhi; il ragazzo giovane, solare e ancora un poco ingenuo, che si stava liberando di tutti i blocchi e delle paure così come stavo facendo io, e la domanda che mi porse mi fece lacrimare il cuore dalla gioia. «Tu mi ami davvero? Sul serio?»
La sorpresa che voleva mostrare, l'inaspettato che trasudava dalle sue parole, mi spiazzarono e mi spronarono a fare tutto il possibile per fargli davvero capire che cosa provassi per lui. «Ti amo da morire, Ed.»
Lo accarezzai ancora e non lasciai mai andare i suoi occhi, niente bugie tra di noi: solo sincerità. «Mi ami come ami Will?»
Scrollai la testa, ma mitigai immediatamente la sua frustrazione. «No... Ti amo con la stessa intensità, ma in un modo completamente diverso. E mi distrugge non trovare le parole per fartelo capire. Vorrei che potessi guardarmi dentro adesso, in questo momento, vederti con i miei occhi e sentirti con la mia pelle, e allora capiresti cosa provo per te.»
Forse qualcosa riuscì a comprendere, perché annuì con un accenno di sorriso sulle labbra. «Me lo... diresti ancora una volta?»
Prima di qualsiasi parola, lo baciai rapidamente sulle labbra. Nel movimento contrassi involontariamente i muscoli del ventre, e lui risposte immediato con una spinta contraria, portandomi le gambe a cingerlo in vita, così masticai quel ti amo in un gemito di piacere.
«È bello sentirlo...» mormorò appoggiandosi sugli avambracci e rispondendo al bacio con altrettanta rapidità, tutto per non doversi allontanare troppo dai miei occhi. «È piacevole.»
«Non ti è mai successo prima?»
Passò la punta del naso sulla guancia, forse per non dovermi guardare. «Le donne e gli uomini dicono spesso Ti amo, ma il più delle volte non sanno nemmeno cosa significa, men che meno riescono a provarlo davvero.»
«E come fai a sapere che io non sono una di quelle persone?»
I suoi occhi apparvero nuovamente nella penombra che rilasciava la lampada accesa sul comodino. «Perché io e te ci guardiamo nello stesso modo... e forse, certe cose si sentono...»
Poggiò le labbra sulla casa sicura delle mie e i suoi fianchi si spinsero in avanti. «Ti amo», nella sua bocca sussurrai la risposta a quella spinta. «Ti amo», ripetei ancora alla seconda spinta, e poi alla terza, alla quarta...
Edward sorrideva in segreto, nascondeva la sua pura felicità sul mio seno, mentre io pensavo a quanto fosse cambiato nella nuova intimità che stavamo vivendo. Se prima di quella notte avevo creduto di amarlo, dovetti in parte ricredermi: perché se amare Edward pareva essere una conseguenza inevitabile per ogni essere umano che gli volteggiava intorno, che veniva innegabilmente attratto dalla sua luce e purezza, io mi resi conto che il vero Edward che mi stava rivelando era ancora più luminoso, che ciò che mi aveva mostrato fino a quel momento era soltanto la punta dell'iceberg.
Fu quello il momento in cui iniziai a conoscerlo davvero, e fu quello il momento in cui imparai ad amarlo in un modo ancora diverso.
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