37. SECRETLY
Edward ci precedette al piano sovrastante, come suo solito in silenzio protratto, e non ci diede nemmeno la buonanotte. Si informò soltanto sull'ora in cui ci saremmo dovuti alzare il mattino seguente, poi se ne andò.
William, dopo aver chiuso a chiave la porta della nostra camera e aver controllato l'unica stanza presente e il bagno, mi invitò a usare per prima la doccia. Ne approfittai con immenso piacere, visto che ne avevo un estremo bisogno dopo giorni passata a lavarmi come potevo, chiusa nei bagni delle stazioni di servizio o dei supermercati che incontravamo lungo le strade. E in quel momento, ne approfittai della tranquilla privacy raggiunta per piangere un po' in solitudine, godendo del minuscolo momento di isolamento.
Una volta fuori dalla doccia, avvolta nell'asciugamano e nella nebbia di umidità che si era facilmente creata nell'ambiente, guardai con attenzione la mia figura allo specchio: la ragazza dai capelli ormai così corti che non le toccavano nemmeno le spalle, lo sguardo triste e spento che Edward era riuscito con il tempo a cancellare ma che, ora con il suo comportamento, aveva contribuito a far riapparire. Mi odiava e io odiavo me stessa, e soprattutto credevo di odiare anche lui di rimando. Mi chiedevo come potesse credermi capace di un simile gesto nei suoi confronti.
«Kat? Va tutto bene lì dentro?» la voce velata di preoccupazione di Will mi staccò dai miei pensieri e mi ricordai che, così come me, anche lui aveva davvero bisogno di un bagno decente dopo giorni passati in viaggio continuo.
Aprii piano la porta e lo lasciai entrare. «Sì... vai pure.»
Oramai mi muovevo come un fantasma che trascinava i lembi del proprio lenzuolo a fatica, così restai diversi minuti sul letto, solo con l'asciugamano indosso per sentire l'ossigeno sulla pelle e liberarmi della sensazione di costrizione degli spazi chiusi alla quale l'auto mi aveva costretto. William mi disse qualcosa una volta uscito dal bagno, vestendo solo un paio di boxer neri, ma solamente quando si sedette accanto a me sul materasso riuscii a dargli la giusta attenzione. «Dio mio, Kat. Parlami... non sopporto vederti così.»
Il suo braccio sulle mie spalle mi riscosse abbastanza da farmi voltare il viso verso di lui. «Tuo fratello mi odia», riuscii a dire soltanto questo.
«Ed non ti odia. Non odia nessuno, non ne è mai stato capace», spiegò con tono paziente.
«Non mi guarda nemmeno in faccia e mi accusa di una cosa orribile. Almeno tu mi credi?» domandai speranzosa. Anche se immaginavo la sua risposta, avevo bisogno di sentirmelo dire. «Mi credi che non ho mai detto nulla alla polizia?»
Non aspettò un attimo per rassicurarmi. «Ma certo che ti credo. Devi solo dargli un po' di tempo per metabolizzare la cosa, poi si renderà conto da solo che spara soltanto cazzate.»
Scrollavo la testa mentre passavo le dita tra i ciuffi di capelli umidi, ancora non abituata a trovare una lunghezza tanto misera. «Ha voluto persino prendere una stanza divisa, non mi può proprio vedere.»
Alle mie parole, William si schiarì la voce e mi accarezzò la spalla solo con la punta delle dita. «A essere del tutto onesto, l'idea delle stanze separate è stata la mia.»
A quell'ammissione e al significato che veicolava, alzai gli occhi per incontrare i suoi. Sempre blu, sempre intensi, sempre sicuri. Solo quelle parole, il tono dolce usato, le sue dita gentili che mi accarezzavano ora il collo e poi il viso, per qualche momento mi riscaldarono le ossa e il cuore. Mi costrinsi a sorridergli in risposta e non feci altro che posare la mano sul suo viso, sulla guancia che si era appena rasato e che ora profumava di menta, insieme all'aroma di tabacco della sigaretta che doveva aver fumato durante la rasatura come sua abitudine. «Ti dispiace?» domandò non ricevendo una risposta.
Mi concentrai su di lui, sul fatto che era da tanto tempo che non lo guardavo per davvero, troppo presa da Edward e dal modo che aveva di dimostrarmi il suo disprezzo. Da tempo non mi lasciavo annegare in quel mare cobalto che si nascondeva nei suoi occhi sempre vigili e attenti. Mi ero tanto concentrata su cosa avevo perso con Edward, che mi ero dimenticata di guardare lui, di guardare chi avevo davvero in quel momento. Mi maledii per essere stata così ingiusta con nei suoi confronti, per aver pensato a Edward mentre per lui, invece, c'ero soltanto io.
Senza interrompere il contatto oculare, mi feci più vicina fino a mettermi a cavalcioni sulle sue gambe. E le sue braccia erano lì, già pronte per accogliermi e stringermi con intensità, con una naturalezza che non mi sorprese affatto, bensì mi rilassò. Il mio no atterrò in un sussurro sulle sue labbra dischiuse mentre il mio corpo si adeguava al suo, si plasmava nel suo abbraccio e si dissolveva nel suo respiro bollente; in quel luogo che, nonostante tutto, avrebbe sempre saputo di casa.
Perché se nell'agitazione degli ultimi mesi avevo trattenuto una solo certezza, questa era che William sarebbe per sempre stato fondamentale nella mia vita.
******
Fu con uno scatto rapido che le sue mani si infilarono sotto il mio asciugamano, allargandolo appena per poter scorrere con più agilità sulla mia schiena nuda e ancora umida, scendendo fino alle natiche. Mi strinsi a lui con le gambe e io lasciai la mia pelle rivestirsi del suo tocco gentile ma energico, e godetti del bacio che impiegò solo un'irrisoria manciata di secondi a diventare più irruente e avido, affamato del tempo perso nei giorni precedenti, durante i quali non avevamo potuto nemmeno toccarci.
Cercai di non badare al singhiozzo che avvertii nel petto quando il cuore prese a battere più velocemente per l'eccitazione, la stessa sensazione che avevo provato quando ero scappata dalla polizia, o quando la notte mi risvegliavo senza fiato dopo un incubo; sentire l'asciugamano sganciarsi e infine fluttuare via dal mio corpo cancellò ogni altra sensazione che non fosse puro e intenso desiderio. I nostri gemiti fuoriuscirono nello stesso istante quando la pelle a contatto, ancora umida della doccia, prese a scivolare l'una contro l'altra, e Will mi avvicinò ancora per godere meglio delle carezze del mio seno e del mio corpo completamente nudo contro il suo. Lo sentivo teso tra le mie gambe, divisi solamente dalla stoffa dei suoi boxer che, con il passare dei secondi, prese a inumidirsi dai miei movimenti.
«Kat...» era più impetuoso quella sera, più impaziente di baciarmi e toccarmi, tanto che mi accorsi a malapena di essermi ritrovata supina sul materasso, sopra le lenzuola estranee e non di certo morbide e profumate.
I suoi occhi restarono serrati solo per il tempo in cui le sue labbra non abbandonarono la connessione con le mie, poi si sollevò appena con le braccia. Will non guardava altro che non fossi io sotto di lui, nuda e inerme, solo in sua attesa. Con impazienza i suoi occhi passavano sul mio corpo, fino a che le sue dita presero a percorrere gli stessi sentieri tracciati prima dal suo sguardo. Strade diverse nei loro tragitti, sinuose intorno ai seni, in discesa diretta e rapida sulla conca del ventre e carezzevoli sui fianchi, per finire in picchiata molto più in basso, in quel luogo che, nelle sere passate insieme sul tetto dopo il litigio con Edward, lui aveva già potuto conoscere.
Ma se Edward non avrebbe perso tempo e si sarebbe avventurato immediatamente dentro di me con la sua solita infantile impazienza, Will si fermò, accarezzandomi delicatamente l'inguine. Arrivò a toccarmi nel punto più sensibile solo quando riprese a baciarmi, e lo sentii muoversi piano su di me, lento ma insistente, fino a sentirmi pronta. Solo allora prese a giocare sempre più a fondo, fino a nascondere le sue dita all'interno, con gentilezza e premura. Nonostante tutto, quella sensazione per me era ancora estranea e, seppure estremamente piacevole, riusciva ogni volta a strapparmi un gemito incontrollato: non riuscivo mai a capire se fosse di dolore o semplice piacere. Forse entrambi.
Will, di quel gemito strozzato, si appropriava immediatamente, guardandomi con incredibile intensità contorcermi sotto di lui mentre le sue dita aumentavano e spingevano sempre più a fondo. Non si avvicinò di nuovo e io mi accontentai di godere del mio stesso piacere rimandato dalla sua espressione estasiata. Gli piaceva guardarmi in quei momenti, ormai lo avevo intuito, e io adoravo guardare lui, occhi negli occhi mentre le sue dita affondavano ancora e ancora, accompagnate dai momenti in cui si ammorbidivano per fuoriuscire e accarezzarmi, massaggiando proprio quel punto che mi faceva stringere le gambe per poi allentarle, senza sapere se volessi allontanarlo o intrappolarlo dentro di me.
Nel buio della stanza, mi accorsi in ritardo della temporanea lontananza dei suoi occhi. Lo sentii al tatto, quando la sua bocca e la sua lingua apparvero appena sotto l'ombelico, in un viaggio lento verso una meta che potevo ben intuire quale fosse. Non ci eravamo mai spinti così in là, ma quando i suoi occhi mi chiesero silenziosamente il permesso, io posai soltanto la mano tra i suoi capelli, spingendolo a scendere ancora più giù. Rivoltai la testa sul cuscino quando la sua lingua prese a ricreare le stesse carezze della mano, muovendosi in perfetta sincronia con le sue dita. I suoi capelli mi accarezzavano le cosce, cercavo inconsapevolmente di chiudere le gambe anche quando lui le spingeva da parte per ricrearsi il suo spazio. I suoi capelli tra le dita, l'altra mano avvinghiata al lenzuolo, che stropicciavo mentre ansimavo sempre più rapidamente.
Raggiunsi il culmine con così tanta veloce intensità da provare un capogiro, da farmi ribollire il sangue nelle vene e lasciarmi contrarre spasmodicamente i muscoli del ventre mentre riprendevo con fatica il respiro.
Le sue labbra ora mi accarezzavano dolcemente il ventre; con la solita pazienza, aspettava che tornassi nel mondo reale da lui. «Va tutto bene?»
Me lo chiedeva sempre, come fosse preoccupato di potermi rompere o danneggiare con i suoi movimenti. Sentivo il cuore scoppiare a quella vista, alle sue parole, al modo in cui attendeva la mia lenta ripresa, alla consapevolezza di quanto grande fosse quello che provavo per lui, che avrei voluto piangere per il minuscolo momento di gioia che mi aveva regalato dopo il buio dei giorni precedenti.
«Vieni qui», lo chiamai con gli occhi socchiusi, muovendo appena le dita per aumentare l'impellenza della mia richiesta.
Scivolò sul mio corpo fino a tornare sopra di me, premuta sul materasso dal suo peso e, nonostante l'orgasmo appena raggiunto e che stava scemando rapidamente via dalle estremità, percepii un nuovo brivido quando la stoffa dei boxer sfregò volontariamente tra le gambe. Ritrovare tra le sue labbra e sulla lingua il mio stesso sapore fu la scintilla che finì per accendermi di nuovo, anche se non riuscivo a capacitarmene. Quando la mia mano scese su di lui, quando Will capì che non volevo solamente nascondere la mia mano nella stoffa, ma volevo liberarlo del tutto dalla costrizione, allora mi fermò. «Che cosa vuoi, Kat?» sussurrò nella mia bocca a denti stretti, quasi in un lamento.
«Ti voglio... adesso...» trovai il coraggio di dire.
Chiuse gli occhi alle mie parole e appoggiò la fronte sulla mia spalla. Aveva il respiro accelerato. «Adesso, no.»
«Perché?» restai sorpresa, confusa da quel rifiuto inaspettato. Credevo che mi volesse così come lo desideravo io, credevo che fosse pronto. «Non mi vuoi?»
Fu solo un accenno la risata che anticipò le sue parole. «Mi sembra più che evidente che io voglia...»
«E allora? Qual è il motivo?»
Con un sospiro si alzò sugli avambracci prima di buttarsi a sedere accanto a me. «Perché non voglio sapere che lo fai con me per la prima volta pensando a mio fratello. Non lo sopporterei.»
Aggrottai la fronte e mi misi accanto a lui. «Non stavo pensando a lui.»
«Non mentire», mi ammonì.
«Te lo giuro: non stavo pensando a lui.»
«Se non ora, prima o poi lo avresti fatto, è inevitabile... e io ho bisogno di sapere che Edward non sarà un ostacolo quando e se mai vorrai davvero farlo con me. Non voglio che tu possa avere rimpianti perché... perché era lui quello che volevi davvero.»
Ero frustrata e amareggiata, soprattutto per la nota di dolore e rammarico che lasciava trapelare dalla sua espressione, visibile solo grazie alla luce della lampada sul comodino accesa, che tingeva la stanza dell'arancione di un sole artificiale. Ormai lo conoscevo da tempo: quando era così, quando Will prendeva una decisione, era irremovibile dalla sua posizione. Se con Edward era possibile giocare e tirare la corda, quella corda del desiderio che lo faceva sempre cedere perché era il suo punto debole, con Will non c'erano possibilità di gioco.
«Mi dispiace, Will...» mormorai avvicinandomi e baciandolo sulla spalla.
«Anche a me, ma continuare a dirlo non cambierà le cose.»
Lo accarezzai fino a spingergli il viso verso di me. «Vieni qui.»
Impiegò secondi per sciogliersi nel mio bacio, in quella piccola isola di pace che necessitavamo in fondo entrambi, ma alla fine si lasciò accompagnare sul materasso, stavolta con le posizioni invertite. Non era palesemente a suo agio, sembrava non sapere dove posare le mani, ma non disse nulla quando si rese conto che le strade dipinte sulla sua pelle accaldata dalla mia lingua erano estremamente piacevoli; che sentirlo sussultare quando infine abbassai lentamente i suoi boxer fosse di godimento anche per me. Il flash verso Edward fu inevitabile, una delle notti che avevamo passato in macchina, quando mi aveva insegnato a dargli piacere e lui aveva ricambiato senza nemmeno farselo richiedere. Provai a cancellarlo, ma fu come sentirlo alle spalle, il suo pensiero sempre accanto, che non mi abbandonava mai. Will aveva ragione, come sempre del resto.
Nel silenzio della stanza mi spostai tra le sue gambe, ma non ebbi il coraggio di guardarlo direttamente. Sembrava restio, quasi impacciato come mai lo avevo visto prima. Troppo spesso Will si tirava indietro dalle mie attenzioni perché si ostinava a pensare prima a me. Ma quella sera, quando sentì le mie labbra cingerlo completamente, la mia lingua accarezzarlo fino in fondo, non disse nulla.
Inebriante, sconvolgente, eccitante.
E mentre scendevo su di lui con profondi movimenti di labbra e lingua, prima lenti poi più veloci, godetti io stessa nel vedere il mio Will, l'uomo adulto, l'uomo controllato e sicuro di sé, quello che sapeva sempre cosa fare nelle diverse situazioni della vita, perdere temporaneamente le redini di tutto. La mano tra i miei capelli mi ricercò come la mia aveva fatto poco prima, i nostri sguardi si incrociarono per un breve istante e infine, contraendo i muscoli delle gambe e dell'addome, si rilasciò andare sulla stessa lingua, nella stessa bocca che sperava, un giorno, gli dicesse il suo aspettato e riservato ti amo.
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