Le Urla Del Silenzio
Chiusì violentemente la porta alle mie spalle, per poi sdragliarmi sul letto con un cuscino sopra la testa.
"Cassandra, vieni subito qui!" Sentii la voce di mio padre entrarmi nelle orecchie ma risolutò solo un fastidioso suono, nulla che potesse intimorirmi.
"Mai!" Ribattei urlando contro l'entrata della porta, prima che questa subisse un colpo secco e potente che mi fece sobbalzare all'istante.
Odiavo quando mio padre si comportava da incivile, sempre con un'espressione rabbiosa che lo accompagnava ormai da mesi.
Era un periodo difficile per entrambi: quando uno dei due iniziava un discorso, si finiva sempre col litigare per questioni futili ma che sembravano avere un importanza cruciale per quei dialoghi.
Ogni notte, andavo sempre a infilarmi sotto le coperte, con una rabbia in corpo però salate lacrime sull'orlo dell'occhio.
Ma quella sera, i continui lamenti e gli sbuffi che si udivano dalla porta, mi perseguitarono anche dopo il silenzio della notte.
Per quanto non se lo meritava, per la prima volta pensai: Ti odio con tutto il cuore, papà.
Era la mia pura rabbia che parlava, non me stessa! Ma non feci in tempo di poter ripensarci che il sonno mi privò di guidare la mia coscenza e le palpebre si chiusero lentamente.
Fu un rumore improvviso e terrificante a svegliarmi di colpo nel mio letto. Misi i piedi per terra, ma il pavimento tremava sotto di me in modo violento e instabile.
Il panico si impossessò della mia mente, uno scarico di pura adrenalina prese il sopravvento su tutto il corpo, dovevo scappare, immediatamente!
Mi misi sotto la soglia dell'entrata, ricordando di quanto fosse importante in un terremoto stare al riparo dai muri e finestre.
Avevo paura, molta paura. Gli oggetti cadevano come sassi mentre sbattevano sul pavimento, ma non quanto l'improvviso crollo della libreria alla mia destra: ogni libro, ogni foglio presente, si sparpagliò su tutto il pavimento mentre finestre e muri mostravano i primi segni di cedimento.
Le scosse non finivano, a mala pena il continuo tremolio sotto i piedi. Facevo fatica a restare nella soglia, ma non potevo muovermi! Ora la mia unica salvezza.
'Ma papà dov'è?' Fu solo una domanda di poco conto che passò da un estremo all'altro, ma ora il panico si unì alla pura preoccupazione di cosa fosse successo al mio genitore.
Fu un solo passo, quello fatale, che permise ad un pezzo del soffitto di colpirmi in piena testa per poi accasciarmi a terra, con la polvere nei polmoni.
Il risveglio sembrava essere più amaro del solito, uno strano dolore prevalse su tutto il corpo, procurandomi una fastidiosa emicrania. La testa pulsava atrocemente e io emisi i primi gemiti dal dolore toccandomi il cranio con la mano.
Attorno a me solo un accattivante buio pece, nero come le piume di un corvo e invece l'aria che mi circondava era pesante e sporca, si faceva fatica a respirare per quanto la polvere entrava nei polmoni.
Con i piedi, dove non riuscivo a vedere, sentii un muro o una parete bloccarmi il passaggio. Ero in trappola!
'Ma perché sono qui? Aspetta... chi son io??' Mi domandai con espressione interrogativa.
Il male atroce non mi aveva permesso di pensarci, ma la domanda arrivò come un pugno in pieno stomaco "Chi sono?" A questo questionario non sapevo rispondere, ogni mio pensiero era offuscato dalla paura ma almeno avevo un nome? Non dovevo pensarci, infondo prima o poi mi sarei ricordata, giusto? Allora, preso il coraggio, urlai con tutte le mie forze un disperato aiuto a chi potesse veramente sentirmi.
Più le ore passarono, più la gola si faceva secca e la voce spezzata; solo fredde lacrime soccorsero al mio cuore deluso, mentre già mi rannicchiai in un angolo tra le macerie.
Mi resi conto di quanto poco spazio avevo per muovermi e anche se le urla rimbombavano sulle pareti, era solo un maledetto silenzio ad accogliermi in una risposta.
Non sapevo che fare, il male non diminuiva e i ricordi non riaffiorarono. Il panico di una volta si sfumò in una arresa alla mie condizioni, non potevo farcela.
Avevo forse dormito per disperazione, non mi ero nemmeno resa conto che i miei occhi si chiusero all'istante anche con un dolore insopportabile. Mi guardai attorno, circondata dal buio e sole macerie, ma che avevo fatto per finire qui? Non potevo vedere e nemmeno respirare aria pulita, dovevo solo aspettare con ansia e in silenzio.
La mia voce non usciva, era troppo preoccupata come se nel chiamare aiuto le macerie non avrebbero retto. La pura sensazione di timore riprese il controllo di me, per l'ennesima volta.
"Ehi, Cassandra." Una voce calma e soave, rimbombò sulle pareti, arrivandomi alle mie orecchie. Ero forse impazzita? Non potevano essere i soccorsi ad avermi chiamata... ma allora chi era?! E poi è questo il mio nome... Cassandra?
"Tranquilla, io non ti farò del male!" E ancora quella voce così spiensierata mi parlò, non era normale: il suono proveniva davanti a me stessa, ma se tastavo con il piede c'era solo una parete a bloccarmi.
"Dove sei?" Chiesi con timore, eppure ero certa che non provenisse dalla mia testa.
"Di fianco a te, Cassandra." Mi rannicchiai con forza, in direzione del buio opprimente alla mia sinistra. "Davvero? Come ti chiami?" Volevo sapere il suo nome, ma non ricevetti risposta, solo silenzio.
Decisi di cambiare domanda "Che vuoi da me?" In quel momento, sentii l'aria sbattermi in pieno viso e un sussurro sopraggiunse alle mie orecchie.
"Farti ricordare, Cassandra cara." Mi spostai all'istante da quel angolo, avevo una paura immensa adesso.
"E come ci riusciresti, scusa?" Domandai con indignazione, infondo volevo ricordare ciò che ero.
"Sai... ti ricordi quando eri all'ospedale, in quel giorno di Marzo?" Rimasi quasi rattristita dalle sue parole come se sapessi già dell'argomento che stava parlando e nel buio totale si colorò una vignetta, sembrava che il ricordo stesso volesse mostrarsi a me.
Rappresentava una giornata umida, quasi gelida. Dalla finestra si potevano intravedere i grandi alberi mostrare i primi boccioli della primavera, così piccoli ma adorabili. Però li dentro nulla era colorato o da poco venuto alla luce, solo un misero cuore si stava per fermare. Le pareti attorno a me, erano di un colore così monotono: il bianco. Dottori e pazienti vagavano nei corridoi e io ero invece seduta su una sedia rossa mentre giocavo con i capelli, aspettando qualcuno. Odiavo attendere mio padre e lasciare la mamma in quel brutto posto ma era per il suo bene o almeno così dicevano.
Quando arrivò lui, lo vidì triste forse amareggiato, aveva così tanto da dirmi ma restava chiuso nel suo silenzio. Mi prese in braccio, riuscivo a malapena stringermi al suo petto con le gambe e mi portò dentro ad una stanza: le pareti bianche erano illuminate dalla luce che veniva dalla finestra. Le soffici lenzuola, dove mi appoggiò delicatamente, sembravano essere pezzi di nuvola ma non ero l'unica ad essere su quel lettino. C'era una donna, sdraiata difianco a me, che mi guardava con sofferenza. Il suo respiro era irregolare, i suoi occhi mezzi chiusi dallo sforzo e un accenno ad un sorriso. I capelli castano spento, si erano cosi tanto rivinati lungo il tempo.
Mi prese con delicatezza la mano, mentre già sighiozzando mi pronunciò flebili parole.
"Amore mio, ora la mamma dovrà partire per un lungo viaggio. Tranquilla, si prenderà cura tuo padre di te ma promettimi di non avere mai paura di ciò che ti aspetta, prometti che il silenzio non ti attenuerà, anzi urlerai contro questo..." Dalla sua bocca uscì una secca tosse, che dovette coprire con il dorso della mano. Ma poi mia madre perse coscienza e un rumore improvviso sorprese i dottori, presenti nella stanza, di ciò che stava succedendo.
Ci dissero di uscire immediatamente senza poter dire qualcosa. L'unico mio ricordo dopo il suo crollo: era solo di una bambina disperata che piangendo, ordinava di voler sua madre mentre fu proprio l'ultima volta che la vide.
Ritornai alla realtà come un risveglio inaspettato, traumatizzata da ciò che avevo visto. Guardai verso il buio e con timore ma con forse felicità, domandai. "Sei tu mamma, vero?"
Da lei non ricevetti risposta, solo il nulla assoluto.
Però mi diede la carica per poter urlare contro il buio totale, contro quel silenzio straziante e io ci misi tutta me stessa per poter farmi sentire da qualcuno.
Le ore passarono, le gola iniziava a bruciare ma io non demordevo.
'Devo farcela!' Mi incitavo con determinazione, iniziai anche ad avere un male atroce a tutto il corpo, adesso non solo alla testa ma dappertutto però l'unica parte che non mi faceva dolore, era proprio la voce di una figlia sotto le macerie. Mi accasciai dopo così tanto tempo, non riuscendo più a respirare, avevo un gran fiatone.
'Mi dispiace... mamma.' Pensavo mentre iniziai a singhiozzare lentamente.
Una tenera luce candida mi illuminò dall'alto, quasi accecante ma così familiare. Finalmente potevo rivederla, dopo così tanto tempo.
Mi dispiaceva per papà ma ora non era più importante: l'avremmo protetto sicuramente insieme, noi due.
"Sto arrivando, mamma."
SPAZIO AUTRICE
Mi scuso per aver usato un tema così delicato, non voglio offendere nessuno ma volevo comunque scrivere questo tipo di messaggio, per dare un certo onore a chi ha vissuto questa esperienza. Spero di esserci riuscita (¬_¬)ノ
Ma oltre a ciò volevo intrudurvi come ho pensato con il tema "Silenzio":
(ovviamente ci saranno spoiler) ಠ_ಠ
Mentre studiavo per questioni mie, mi sono cervellata per trovare un diverso tipo di silenzio e alla fine mi è arrivato: una sfumatura più raccapricciante e mostruosa, cioè quella del non essere sentiti. Un silenzio degli innocenti. (´ε`*)
Ecco il perché del titolo contrastante: è ciò che non si riesce a sentire per quanto si urli e si disperi... Inquetante ╥﹏╥
Ma ho voluto comunque dare spazio anche al solito silenzio, che si trova poi nel ricordo, un silenzio soppresso dalla persona.
Ah! Il finale può essere recepito anche come positivo: Cioè che quella luce non è la morte ma i soccorsi.(・∀・)
E... finito.
_Black_Dreamer_
MiracoloDiInverno
(Mi scuso per il ritardo, ma lo studio mi ha preso molto tempo (╯︵╰,)
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