Show don't tell [parte 2]
Show vs. Tell
di kanako91
𝘕𝘦𝘪 𝘥𝘪𝘢𝘭𝘰𝘨𝘩𝘪.
Partiamo da quella parte che dà sempre l'illusione di aver mostrato, quando spesso si sta raccontando selvaggiamente!
Perché la verità è che inserire dialoghi non basta a mostrare.
Il re storse la bocca, chiaramente infastidito.
«Io sono Norue-nolo. Io sono un Kinn-lai» ripeté più piano e scandendo bene le sillabe per farsi capire.
Il re incrociò le braccia e scosse la testa per dirgli che non aveva funzionato.
«Tu, Orco?» chiese.
Norue-nolo era oltraggiato. «Ma come ti permetti di darmi dell'Orco!»
Questa scena è piena di spiegazioni di troppo: se il re storce la bocca è chiaro che sia infastidito, per esempio, e la battuta finale non trasmette appieno l'oltraggio, tanto che si sente la necessità di specificarlo al di fuori del dialogo.
Nella versione mostrata:
Il re storse la bocca. Non un buon segno.
«Io sono Norue-nolo. Io sono un Kinn-lai» ripeté più piano e scandendo bene le sillabe.
Il re incrociò le braccia e scosse la testa.
«Orco?» disse.
Norue-nolo rabbrividì e sputò a terra. Come potevano paragonarlo ad un Orco? (1)
In entrambi i casi il dialogo descrive la comunicazione stentata tra due personaggi che parlano lingue simili, ma nel primo caso la scrittura esplicita ovvietà di cui si può fare a meno, nel secondo non ha bisogno di dire nulla di più dello stretto necessario, perché è facilmente intuibile cosa stia succedendo.
E la reazione di Norue alla domanda del re è molto più caratterizzante ed esplicativa di qualsiasi battuta. Questo perché quando un dialogo mostra, dentro e fuori dal discorso diretto, non c'è bisogno di abbellimenti particolari: parla da solo.
𝘕𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘢𝘵𝘵𝘦𝘳𝘪𝘻𝘻𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘪 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢𝘨𝘨𝘪.
Anche in questo caso c'è rischio di raccontare e i risultati sono più limitanti per te e per l'esperienza del lettore.
Per esempio, se descrivi un personaggio – anche attraverso le parole degli altri personaggi – come buono e giusto, ma le azioni che compie di fatto non sono né buone né giuste, potrebbe sembrare un problema di coerenza e di caratterizzazione (lo è, in un certo senso). Purtroppo si tratta di un conflitto tra raccontato e mostrato, che tradisce spesso le intenzioni dell'autore in opposizione alla vera natura del personaggio.
Passare l'inizio della storia a raccontare come è fatto il personaggio non serve, né serve spiegare il perché delle sue azioni: nel migliore dei casi ingabbi te e il lettore e togli tridimensionalità al personaggio; nel peggiore sarà la fiera dell'incoerenza e il lettore si sentirà tradito. In entrambi i casi, a perdere sei tu e la tua storia.
Lascia che sia il personaggio a rivelarsi attraverso le azioni e i lettori saranno molto più coinvolti dalla sua storia. Magari non lo ameranno, ma lo troveranno un personaggio reale, il che vale più di ogni interpretazione "corretta".
Guardiamo un esempio:
«La Regina è in travaglio».
Fëanáro non sollevò lo sguardo dalla mappa su cui era chino. C'era un passaggio attraverso le Pelóri che aveva intravisto in un viaggio precedente, ma ora non riusciva a individuarlo sulla mappa. Non era stato preciso, le sue conoscenze di quelle montagne erano state molto superficiali quando aveva disegnato quella mappa.
Era tempo di farne un'altra.
Una mano gli afferrò il mento e Fëanáro si ritrovò a fissare in volto Nerdanel, per nulla divertita. Non che avesse cercato di divertirla.
Solo di ignorare le sue parole.
Niente di che, davvero.
«Fingere di non aver ascoltato non tarderà il parto e non ti eviterà di ricevere un invito per l'Essecarmë».
Fëanáro si raddrizzò e la mano di Nerdanel ricadde sul tavolo, dall'altra parte rispetto a lui.
«Tu mi dici cose di cui non può fregarmene di meno». [...]
«Io intendo andare al palazzo ad assistere al parto» disse Nerdanel. «Credo che di questo dovrebbe fregartene. Anche perché tuo padre mi chiederà dove sei e sai che non mi piace mentire al Ñoldóran».
Nerdanel sollevò un angolo della bocca.
Fëanáro avrebbe voluto tanto fregarsene di lei e di quello che avrebbe potuto dire a papà.
«Mio padre sarà in ansia» disse lui e arrotolò la mappa. «Penso che ti accompagnerò. Vorrà la mia compagnia durante l'attesa».
Questa scena mostra, meglio di mille spiegazioni sugli antefatti, come ci siano dissapori con la Regina che Fëanáro è disposto a mettere da parte per amore del padre, e quanto sia orgoglioso tanto che non ammette apertamente di star facendo come vuole Nerdanel (e il valore che ha per lui il parere di sua moglie).
Ci sono dei casi in cui alcune brutte abitudini di noi scrittori possono rivelarsi un modo per mostrare la caratterizzazione.
Partiamo da una semplice verità: usare perifrasi ed epiteti assortiti (il biondo, il moro, l'elfa, il nano, l'uomo di Gondor) per non ripetere il nome di un personaggio è brutto.
Aggiungiamoci pure che filtra l'esperienza del personaggio, ossia racconta (si sente la presenza dell'autore!), e che il personaggio/POV non penserà mai facendo attenzione a non ripetersi, al massimo potrà esserci un alternarsi di nome/pronome.
Infine, le ripetizioni vanno male solo nei temi a scuola perché i professori vogliono spingerci ad allargare il nostro vocabolario, mentre nella scrittura usare la stessa parola più di una volta in un racconto è meglio di usare sinonimi sempre più fantasiosi che distraggono il lettore e fanno sentire la nostra presenza (anche questo c'entra col mostrare!).
Mi sembrano ottimi motivi per smettere subito di farlo.
Ma gli epiteti diventano un modo molto efficace per caratterizzare il personaggio se lui si ostina a usare di proposito un termine – che non sia il nome – per riferirsi a un altro personaggio: è perfetto per mostrare chi è, in cosa crede, cosa prova.
Per esempio, un cacciatore di vampiri che all'inizio della storia chiama "succhiasangue" il suo nemico-compagno di avventure vampiro, quando cambiano i sentimenti per lui inizierà a chiamarlo per nome. Sarà il segnale per il lettore che qualcosa si è smosso e che the ship has sailed!
𝘕𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘴𝘤𝘳𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘪.
Come dicevamo, il lettore di oggi non è quello dell'Ottocento, che aveva bisogno di descrizioni nei minimi particolari.
Quindi oggi la scrittura può permettersi il lusso di passare oltre i dettagli scontati, che il lettore immaginerà in automatico (sappiamo tutti che un'auto ha quattro ruote, no?), e concentrarsi sugli elementi importanti per la trama, per il personaggio o per l'ambientazione: se descriverai una poltrona in particolare, il lettore si aspetterà che questa poltrona giochi un qualche ruolo nella storia – chissà, nell'imbottitura è nascosto quel medaglione che tutti stanno cercando!
Inoltre, il POV gioca un ruolo determinante in cosa descriverai, perché mostra gli stati d'animo del personaggio e i suoi trascorsi:
Quella strana caverna era stata scolpita come se fosse una dimora di Nani, ma era diversa da quelle che aveva visto nelle Montagne Rosse. I soldati condussero Norue-nolo sulle vie sospese nel vuoto. Passarono oltre diverse diramazioni che salivano e scendevano da alcove o stanze scolpite. Lanterne d'ambra in reti lignee erano incassate agli angoli delle vie o pendenti dai soffitti delle alcove e davano a quel palazzo l'aspetto di una foresta avvolta nella luce del tramonto. Una foresta di pietra, con le colonne scolpite a forma di albero in ogni dettaglio, compresi corteccia e rami, e di cui i sentieri erano le radici della foresta sovrastante.
Non c'erano vie laterali in cui svicolare per fuggire, a meno di buttarsi nel baratro buio. Ma perché cercare la fuga? Lui aveva finalmente trovato quegli Elfi, era giunto nell'ultimo regno elfico a Ovest! (1)
Questa descrizione non solo mostra a cosa è abituato Norue (per esempio guardandosi intorno pensa alle città dei Nani con cui ha più familiarità) ma anche che, nonostante abbia trovato quel che cercava, non si senta del tutto a suo agio tanto che cerca vie di fuga proprio mentre ammira ciò che lo circonda.
Per questo le descrizioni sono un mezzo potentissimo per mostrare le emozioni di un personaggio: quando guarda all'esterno rivela cosa si agita al suo interno, in un modo che arriva dritto alla pancia del lettore.
𝘕𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘴𝘤𝘦𝘯𝘦.
Così come nelle descrizioni, anche nelle scene mostrare attira l'attenzione del lettore su momenti chiave. Mette il lettore allo stesso livello del personaggio e quindi crea il legame empatico che gli farà vivere in prima persona le vicende, lo farà sorprendere e sconvolgere con lui davanti alle rivelazioni che lo aspettano.
È dare i pezzi del puzzle e lasciare che sia il lettore a metterli insieme.
Raccontare, invece, è parlare di pezzi di puzzle e poi far vedere la figura completa: al lettore cosa dovrebbe importare del puzzle? Glielo hai fatto tu!
Le scene apparentemente mostrano in quanto scene: c'è azione, ci sono dialoghi ma spesso il raccontato si infila in maniera insidiosa e un campanello d'allarme in questi casi sono le espressioni filtro (come sembrare, tentare di, pensare di, provare a, ecc.) che diluiscono l'azione e la rendono meno diretta e più debole. Possono andar bene nelle introspezioni, dove magari il personaggio sta cercando di addolcire la realtà dei fatti, ma altrove il personaggio o sta facendo un'azione o non la sta facendo. Parlarci delle sue intenzioni ("tentò di colpire Caio") è mettere il nostro beccaccio di autori in mezzo alla storia.
L'Orco alzò la sua lama e [Urwen] parò il colpo con lo scudo, e, con un movimento dal basso, schiantò l'ascia contro il ginocchio.
L'Orco fece un passo indietro, nel tentativo di scansare il colpo, il grugno distorto da un sorriso, e con lo scudo colpì la mano che impugnava l'ascia. La presa sul manico fu debole e Urwen cercò di stringere le dita, ma l'ascia le sfuggì di mano.
Alzò lo scudo e il legno gemette ancora, ma resistette. Urwen afferrò il manico del coltello di selce e lo lanciò. L'Orco si abbassò e il coltello sparì in lontananza ma lei afferrò l'ascia da terra e con un mulinare di colpi riuscì ad affondare la pietra nell'Orco. La bestia si voltò di lato e alzò lo scudo, ma Urwen colpì per tre volte la sua testa protetta dall'elmo, fino a far cadere l'Orco a terra in ginocchio. Urwen usò lo scudo per colpirgli la testa con una botta di lato, e gli assestò un colpo tra il collo e la spalla con l'ascia e la bestia stramazzò a terra.
Questo passaggio contiene una certa quantità di raccontato, che si presenta tramite espressioni filtro, azioni che sembrano andare a buon fine ma vengono smentite poco dopo o che sono un semplice resoconto di cosa sta succedendo (il coltello che sparisce il lontananza non sembra avere alcuna importanza), e osservazioni che non hanno concretezza ("la presa sul manico fu debole").
L'Orco alzò la sua lama e [Urwen] parò il colpo con lo scudo e, con un movimento dal basso, mirò al ginocchio.
L'Orco fece un passo indietro, il muso distorto da un sorriso, e con lo scudo la colpì sulla mano che impugnava l'ascia. Urwen strinse le dita, ma aveva la mano intorpidita dalla botta e le cadde l'ascia a terra.
No!
Alzò lo scudo e il legno gemette ancora sotto un altro colpo. Urwen estrasse il coltello di selce dalla cintura e lo lanciò contro la testa della bestia. Quando l'Orco si abbassò e si girò per guardare il coltello che spariva in lontananza, lei recuperò l'ascia da terra e la punta di pietra affondò nella carne del gomito dell'Orco. La bestia urlò e alzò lo scudo.
Muori!
Urwen gli colpì la testa protetta dall'elmo una, due, tre volte, fino a che l'Orco non cadde a terra in ginocchio. Lei gli assestò un colpo tra il collo e la spalla con l'ascia e la bestia stramazzò a terra. (2)
Direi che così, oltre a essere più fluida la scena, è anche più visiva di prima... e senza aumentare i dettagli descritti. Semplicemente andando dritta al punto di ogni azione e inserendo qualche introspezione che trasmette lo stato d'animo del personaggio (oltre al suo carattere), abbiamo una sequenza d'azione quasi cinematografica.
Per le conclusioni, procediamo alla prossima parte!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro