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L'ultima carezza concessa

Tutti quegli occhi colmi e di rancore, così pieni da non poterci mettere nient'altro ancora, tutti puntati e colpevolizzanti su un solo e innocente uomo distrutto.

Lo sguardo degli anziani che sono sopravvissuti ai loro giovani, esprimono una miriade di tristezza e lacrime di odio le quali scendono copiose l'una dell'altra su di un volto di fango. Quest'ultimi occhi, a differenza di quelli pieni di rabbia, sono come un pozzo oscuro senza fondo, in cui Marcus viene gettato e lasciato lì, a cadere sempre più in fondo nei glaciali sensi di colpa.

Armus è dinanzi a lui, e freme di fargli del male, del male a colui che prima considerava quasi come un figlio, ma che ora sente il bisogno di farlo soffrire nella maniera più disumana possibile. E da già come fare.

-Non ho niente da dire-, dice Marcus a denti stretti, mentre è in ginocchio e con il volto rivolto verso il basso terreno bruciato.- Non devo discolparmi di niente, e per cosa dovrei scusarmi? Non vi sarà alcuna scusa da parte mia, perché dovrai essere te. Sì, proprio te! Uomo, Elfo, malato, e supplicare il mio perdono che non avrai mai!-.

Il fiato di chiunque altro si trovi lì, si sospende, e l'odio esplode come se esplodesse l'intero mondo. Armus è rimasto scioccato, ma capisce, mentre le sue mani prudono per strangolare Marcus, a cosa si riferisce il povero uomo poco più di un ragazzo.

-Hai tradito l'amore di mia figlia. Se solo tu fossi stato la brava persona che credevo, avrei anche accettato il primo bastardo mezzo umano ed Elfo, ma...-, Armus si blocca per cercare le parole più loquendi, mentre guarda ancora negli occhi persi di Marcus.-... ma sapere che in lui scorrerà il tuo sangue, più la ingenuità di mia figlia, mi farebbe  proprio schifo e vergogna allo stesso tempo. Mio fratello Manus ti avrebbe già ucciso, ma io sono molto più cattivo di lui...-. Conclude così.

D'un tratto si innalza un altro Elfo, decorato da un'armatura gialla dorata, e sputando veleno su Marcus comunica a tutti il piano del suo re: -Il Nord, verrà punito!-. Sputa nuovamente sull'ultima parola.

-Si partirà domani all'alba, con i nostri Mitri scampati dalle fiamme e con tutto il nostro esercito. O almeno con quel che ce ne rimane-.

***

Quelle parole, quelle parole che pungono e ossessionano la mente di Marcus. Non ha chiuso occhio per tutta la notte, è rimasto lì, nel suo angolo della cella, con le catene ai polsi e un volto neutro e sveglio ma distaccato dalla realtà, con gli occhi aperti ma senza alcuna immagine che arrivava al suo cervello. Vedeva tutto nero come un uomo ceco.

Mea lo stesso. Gambe divaricate e incatenate, e ha fatto freddo per tutta la notte, ma a loro non né importato niente e né hanno sentito niente. Per tutta la notte non hanno mosso un muscolo perché il trauma e quelle parole li hanno messi completamente a tacere, sia nella voce e nei pensieri.

Ma una cosa riesce sempre a riportarli alla realtà, alla percezione. Essa è lo scalpitare, in anticipo, dei Mitri che si svegliati e iniziano a scalpitare ancor prima del sole rosso.

Dalla prigionia, da quella stanza piena di fango e gocce di umido che attraversano le spesse fessure, per poi cadere su di loro e fargli gemere, sentono che i guerrieri Elfi dal cuore infuocato e dal cuore nei pori, sono già caldi e pronti e vendicarsi contro le persone sbagliate.

Non è stato né Marcus, e tantomeno gli uomini della Barriera o i guerrieri del fidato amico di Marcus, Nelus. Ma nonostante ciò, gli Elfi nel dubbio è ingenuità, probabilmente sarà proprio su di loro che si abbatteranno.

Ma non saranno coloro che vengono colpevolizzati a bugia a perire, perché la Barriera può contare su un'arma da poco inventata: le titaniti che derivano dalla dura pelle dei giganti, maneggiati da Arus, e la piromanzia di Logan e Set.

Almeno che, queste armi non siano già state utilizzate per respingere un attacco, che da quel poco che ne può sapere Marcus, potrebbe essere avvenuto sia prima che dopo l'attacco e il fuoco sulle terre elfiche, sempre da parte degli stessi è ingordi uomini che volevano quel territorio tutto per sé, anche se sono stati proprio loro stessi a bruciarlo con le loro mai.

In ogni caso, se solo si potesse giungere ad esporre la verità sul tavolo o sul campo da battaglia, Armus non perdonerebbe lo stesso Marcus, colui che mostrò il sentiero alle cattive persone, per il paradiso.

-Fratello...-. "Fratello" lo sono sempre stati, anche se la fiducia e sintonia che c'è sempre stata tra i due va ben oltre a due fratelli che non hanno avuto l'opportunità di scegliersi, questa è la prima volta che Mea si rivolge così a sul suo vero fratello.-... non aver paura, in un modo o nell'altro saremo superiori a tutta questa faccenda!-. La voce di Mea è così lussata e a tratti decadente a causa della tosse causata dalle malvagie condizioni a cui sono sottoposti, la quale strozza ogni sua parola uscita con usurante sforzo.

-Sei mio fratello!-. Finalmente le pupille di Marcus riprendono di nuovo spessore, e attraverso quelle occhiaie e quel viso scheggiato e deformato come un masso, da tutto quel che ha subito, i due si guardano profondamente negli occhi.

Marcus, subito dopo, inizia a ripensare alle parole dette con ambiguità ed esaltazione da Alexander.

Qualsiasi cosa stia per arrivare come una tempesta su di noi, io non volevo questo. Voglio starne fuori e vivere solo ed esclusivamente per assicurarmi il bene per la mia gente, e, soprattutto, esplorare ciò che ne rimane delle vecchie civiltà ormai estinte, le loro rovine.

Ma forse è proprio questo il significato di "guerra Delle Ceneri", tutto ciò che ne rimane di ogni cosa, le ceneri, combatte contro ciò che spazzò via tutte le ere di prosperità in così poco tempo: i demoni.

Intanto, la grande armata degli Elfi è già in marcia. Marcus se ne accordo non appena smise di sentire la corsa assordante di migliaia di Mitri che scappavano via, si smise di udire.

***

Migliaia di sagome e ombre che lasciano una scia nella profonda neve, e i loro animi sciogliono il ghiaccio, ma i loro cuori ghiaccierebbero addirittura l'inferno.

Il terreno è senza forma, indefinibile, pieno di buche e precipizi, rocce e deformità, ma il Nord non tarda a mandare contro agli Elfi senza ragione, una delle sue più spaventose carte a disposizione.

Armus già le scorge a distanza, visto che è sulle dieci falcate di Mitri in avanti rispetto ai suo seguaci, e l'adrenalina inizia a fluire in lui. Stringe i denti, si indurisce, e incalza il suo Mitri a pulsare più forte per avere un'ancora maggiore carica.

I suoi uomini, tutti dietro di lui, lo imitano perfettamente.

Gli Elfi seguono la loro rabbia, ma non più il buon senso, visto che avrebbero fatto meglio a indietreggiare, piuttosto che lanciarsi contro un qualcosa che non potranno mai opprimere.

Corrono verso la disfatta.

I Giganti delle Rocce di Ghiaccio sono irremovibili e saldi e con le loro robuste gambe bloccate sul terreno roccioso, dalla loro falange.

La loro pelle ha le stesse fatture di una roccia.

Ma quando il domatore sbaglia, è proprio il destriero a correggerlo: i Mitri frenano in meno di un battito di ciglia, e la frenata quasi distrutte le costole dei montatori.

Armus stringe denti e pugni e tenta di assorbire il dolore provocato dall'improvviso urto, il quale è servito per evitare un altro urto che sarebbe stato inevitabilmente fatale per chiunque, e rialza il capo fra respiri irregolari  brevi e veloci, per guardare e rendersi meglio conto di cosa ha davanti.

Centinaia di massi a forma di uomini giganti. Ma questi massi hanno bocca e occhi.

Pochi metri separano Armus da questo, pochi metri, perciò può sentire la loro pressione e imponenza che lo schiaccia senza nemmeno che essi lo tocchino.

Il suo cuore si è fermato ma il suo sguardo prosciugato non si distoglie e la sua bocca non si chiude.

È il Mitri, senza scalpitare o fare versi di panico e terrore, a voltarsi lentamente e a andarsene.

Armus volge le spalle a quelle barricate vive, e solo in questo momento riesce a riprendersi e ricominciare a sentire i suoi stessi battiti e respiri.

Dopodiché gli Elfi si allontanano il più possibile, ma senza uscire dal Nord.

***

Il soffio della burrasca per gli Elfi è come la mano della morte che resta perennemente a accarezzare le pelli dolenti e picchiate dal freddo assassino.

Per molti uomini spetta solo questa carezza, questa agghiacciante e divoratrice di amore e calore, carezza, visto che non nessun'altra fonte da cui trarne altre, non più ormai. Dal maligno destino, solo questo li è riservato, oramai anche perché questo tocco svuota e ti impedisce di rivivere quei giorni, quei giorni in cui erano tanto felici e che avevano tutto il calore trasmesso dalle più rilassanti e amanti carezze.

Ora ecco cosa li bacerà e coccolerà per il resto della tua vita: non più il bacio della propria moglie, la luce negli occhi delle madri che riscalda quando vedono i loro figli divenuti uomini buoni e onesti etc... Loro non ci sono più, e il gelo è l'unica cosa che può loro consolare.

Gli Elfi hanno costruito un accampamento proprio in mezzo alle montagne appuntite e nere.

Armus, nel frattempo, rimane impassibile nella sua tenda frustata continuamente dai sibili di bufera.

Il rancore la prosciugato: odia la sua bambina, rimpiange di aver perso buona parte della sua gente, si vergogna e auto ripudia per aver così amato un uomo che si è preso solo gioco di lui, preso gioco di quegli occhi che li brillavano ogni volta che vedeva quel ragazzo il quale ne andava tanto fiero, come se fosse un figlio.

Non distoglie lo sguardo da un punto preciso, dalla tenda che non smette di sbattere, ma non guarda niente perché è immerso solo ed esclusivamente nei suoi pensieri raggelanti.

Nemmeno si accorge di quella sagome nera incappucciata che subentra nel tenero tessuto che potrebbe volare tra un momento all'altro.

Si rende conto della sua presenza poco dopo che esso compare. Una sagome dalle fattezze di un uomo, completamente coperto dalla sua veste che ricorda quella di un monaco.

Armus non si muove, non si spaventa, e a malapena si pone la domanda di chi lui sia.

Se è armato o meno... Ecco cos'è la molla che fa scattare Armus: è qui per pugnalarmi, se sì, chi è?

Armus indirizza la sua spada al collo della figura.

Ma questa figura si inchina lentamente, e inizia a baciare i piedi dell'Elfo capo degli Elfi.

Armus depone la sua lama proprio nel dubbio, fregandosene altamente del probabile errore che sta appena commettendo.

Le labbra di costui sono fredde sui piedi di Armus.

-Mio buon Re, mio buon Re-. La figura ancora mascherata dal cappuccio comincia a proferire docili parole,- Siamo stati "uccisi" dalla stessa persona. Aiutiamoci, mio buon Re, mio buon Re-.

È Armus a rivelare il volto di questo sconosciuto, abbassando il suo cappuccio con un semplice tocco. L'uomo infine alza la sua testa proprio quando il copricapo tocca la sua spalla, rivelando il suo volto tarchiato e sfigurato da torture non poco recenti ma ancora evidenti.

-Ero Re, un tempo-, parla sempre lui,- Dopodiché Marcus, ossessionato dai suoi disumani scopi, convinse la mia gente a seguirlo nei suoi piani e progetti malati. Oh, mio buon Re, guarda cos'ha spinto a fare al mio popolo, a me, uomo umile e protettore della propria gente-.

-Mio buon Re-, prende parola Armus,- La morte è una punizione troppo poco severa, per un uomo minuto di tanta malvagità. Ora è mio prigioniero, e gliela faremo pagare. Alzati, brava persona, qual'è il tuo nome?-.

-Il mio nome è Muro-. *Vedi capitolo sette*

-Alziamoci, insieme, grazie alla mano dell'uno e dell'altro!-, sussurra Armus dopo una breve pausa. Dopodiché le loro mani dure come il ghiaccio si stringono, passandosi ancor più freddo tra di loro.

-Non credevo che la mia gente fosse capace di tale propensa nella malvagità. Ma non posso fare a meno di credere nella forza di volontà del tuo popolo, la loro forza di volontà e tale resistenza per rialzarsi nuovamente in piedi. Elfi, siete gli esseri più forti su questo mondo-.

-E' questo ciò che Manus ci trasmise, ed è questo e quello che ci ha insegnato, che mai dimenticheremo!-. Dice Armus, ormai in piedi.

-Se Marcus è tuo prigioniero, perché non l'hai ucciso?-. Cambia completamente discorso Muro, cambiando radicalmente espressione, ormai non più umile ma infuocata. Anche se ha avuto già una risposta prima a proposito di questo argomento, domanda nuovamente ma con nuovo volto.

-Perché ho avuto pietà per lui. Pietà, perché lo amavo come se fosse mio figlio-.

-Pietà per lui?... E lui ce l'ha avuta per le tue persone!?-.

So già che ci sarà qualche errore, poiché ho pubblicato senza revisionare, ma vabbè😅 comunque, re Muro sta solo mettendo, ma è stato ripudiato dalla sua gente per altri motivi, poiché veniva considerato un vigliacco etc... Anche perché forse ho specificato poco nel capitolo sette. Ma ovviamente Marcus è completamente diverso da come è stato descritto da lui. Almeno per ora.

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