è solo una danza
Ciao, ho revisionato da poco questo capitolo, e se magari mi è sfuggito qualcosa, fatemelo sapere, sempre se vi va...
Quando nel cielo il nero con il bianco argento si scontrano creando una linea, una barriera.
Gli Elfi cadono, molte famiglie piangeranno e molte vedove e orfani si lamenteranno.
Il tempo sembra fermarsi, è tutto così pesante e sensibile, e lo spettacolo è spaventoso. Quei due colori completamente opposti in cielo, nascondono quello che succede sul terreno, coprono tutto quello che ci sta affliggendo con un'ombra e con un fascio di luce bianca.
Io guardo proprio lì: sto fermo, immobile e fisso, proprio mentre tutto intorno a me si muove. I miei occhi luccicano, quella luce apre il mio cuore come se fosse una spada conficcata su di esso: spero che funzioni, spero che la piromanzia ci possa dare qualche altra speranza.
Ma le urla e le lamentele dei feriti si sentono ancora.
Le file si spezzano, il muro di scudi crolla, la falange si frantuma, i morti fanno breccia tra le mura. Mi devo svegliare, devo combattere ancora.
La mia armatura è a pezzi, e in ogni mio passo sempre più frammenti si perdono sul intoccabile terreno. Intoccabile, almeno per i vivi, perché deve fungere da letto per i morti, come i morti fungono da ingombrante tappeto.
Il mio corpo si libera della pesante armatura, le contusioni e i lividi che coprono il mio corpo sono esposti alla gelida aria, la mia psiche viene completamente disturbata da questa confusione.
La mia lucidità sbiadisce e si dissolve, basta guardare a cosa mi sono ridotto per bloccarmi.
C'è troppo baccano e confusione, così tanta che non riesco a sentire nemmeno più i miei pensieri. Ma devo staccare tutto, devo lasciarmi trasportare da questa danza, gettarmi in questo ballo sfrenato, nel quale prendono parte sia migliaia di vivi e morti.
Si balla con le spade, e se non si hanno le spade si balla con i pugni e frammenti che troviamo per terra; si balla nel fango, e con le mani del proprio partner intorno al collo; si balla con un broncio sulle labbra e l'espressione contratta in un ghigno; si balla con il cuore all'aria e stomaco di fuori, bene esposti alla vista del proprio partner.
Aria... Solo con lei vorrei ballare, sotto le stelle oppure sotto il sole e con le cortecce giganti che ci fanno ombra. Ma se voglio ballare con lei lo devo fare... Non c'è via d'uscita, non c'è alternativa, c'è solo questo prezzo.
Ma perché il mio pensiero corre proprio verso di lei, adesso? Perché quando sono alla ricerca di una motivazione la mia mente si rivolge a lei? Perché quando il mio subconscio si rifiuta e distegna di pensare a qualsiasi di cosa, con lei fa un'eccezione? Proprio come adesso.
Questione di un'attimo, ho elaborato tutto questo solo nel giro di un'attimo. Il tempo è finito.
Si balla nel fango, con le mani del proprio partner strette intorno al collo... Mi avvento su di un Corrotto con un urlo, e lui non fa nemmeno in tempo per girarsi, che io lo colpisco alla nuca, con ciò che ne rimane del mio elmetto, proprio mentre stava abbracciando il collo di un mio compagno Elfo.
Continuo a colpirlo, finché dal suo cranio rotto fuoriescono decine di vermi accompagnati da una velma nera: questo è il loro sangue.
L'elfo che ho salvato si alza immediatamente, e inizia a guardarmi negli occhi: "grazie". È questo quello che dicono i suoi occhi verdi, circondati da una maschera di fango che mi impedisce di vedere il suo viso.
Ma dura soltanto mezzo secondo... D'un tratto, una lancia lo trafigge dalla schiena e fuori esce dal suo stomaco. Il sangue comincia a scorrere in maniera molto densa e lenta, sangue rosso, no nero.
Ma poi cominciano a piovere lance.
Come mi accennò prima Set, le lance spirituali sono un potente incantesimo che veniva quotidianamente sfruttato dai guerrieri del regno di provenienza di Logan.
Il cielo grigio si riempie di queste lance spirituali che assomigliano a dei fulmini. Ne cadono a centinaia sui nemici, come se fosse una pioggia.
Il colore che sembra tingere l'intero mondo sembra che si stia perdendo e scomparendo, mentre viene coperto dai fulmini che contrastano e che inghiottono l'oscurità. Fanno sì che le luce accecante sovrasti e sottomette gli esseri privi di umanità, di coscienza e ragione.
I Corrotti, così come sono comparsi, scompaiono, si ritirano in una enorme fitta nebbia che si retrae, si retrae verso il confine, oltre le montagne, sino a scomparire.
Il silenzio si impone bruscamente tra tutti noi, tanti pensieri e dubbi, tanta tristezza, tanta paura e tanta amarezza. Un'amarezza causata da tutto quello che ci siamo lasciati intorno, ovunque su questo terreno, le rimanenze di molte persone che conoscevamo o che, addirittura, amevamo. Una visione che ci svuota e che ci lascia così, perplessi e senza la minima idea di come reagire ad una tale situazione: cosa dire, in che modo ragionare, in che modo rimediare e rimettere le cose apposto...
Ma ci sarà un modo?
Ancora increduli iniziamo a scavare tra le carcasse, tra i corpi ammucchiati uno sopra l'altro e tra i resti delle loro armature.
Anche il cielo ci è di cordoglio e sembra condividere la nostra disperazione, ed esprime il suo dolore con la sua tintura funebre, e le sue lacrime, innumerevoli lacrime. Piange come se conoscesse ognuno di loro, come se fossero persone che contavano e a cui teneva veramente molto. Le sue lacrime, oltre a bagnare il suo stesso volto nuvoloso, bagnano anche a noi, mentre ci consumiamo le mani per continuare a scavare.
Senza sosta, sotto la pioggia e nell'umido, ignorando e respingendo ogni segnale di fatica, affanno e dolori, perché in questo momento non contano, non devono avere un peso. Le mie mani e braccia si spellano e sanguinano, lasciando persino le impronte sulle carcasse che provo a tirare fuori. Impronte sui caduti.
Ma se solo, a furia di scavare, trovassi un mio amico, uno di quelli con cui ho iniziato questo viaggio, non so come reagirei. Semplicemente mi spazzerebbe, mi annienterebbe, privo di reazioni apparenti, senza nessuna espressione faciale o lacrime, mi lascierebbe soltanto uno spillo nella mente che continuerà a pungermi ossessivamente per il resto della mia vita. Sarebbe la mia fine.
Dopo aver estratto un corpo, probabilmente una colonna portante, alcuni corpo senza vita iniziano a scivolare dalla cima di uno dei tantissimi ammassi, sino a giungere a pochi centimetri da me. Ma, mentre continuo a fissare con un volto vuoto quei corpi, da essi cominciano a strisciare dei piccolissimi e viscidi ma infiniti vermi.
Io mi allontano, mentre loro continuano a strisciare via, per la loro strada.
-Marcus...-. A malapena riesco a riconoscerlo, ma almeno è vivo, Arus è ancora vivo.
Non dico niente, il mio viso non dice niente, la mia espressione è neutra, esattamente come la sua.
-Dove sono gli altri?-. L'unica risposta che arriva da me, è il distogliere del mio sguardo nel suo.
-Torniamo a casa...-. Sento un'altra voce, proprio al mio fianco. Mi volto e mi accorgo che Lagherta è ancora viva.
Ci abbracciamo, ci stringiamo e ci accarezziamo dietro le spalle, e Arus si unisce a noi.
-Avete visto Mea?-. Chiedo.
-Sta soccorrendo i feriti. Sta facendo il più possibile, per tutti, anche se alcuni sono spacciati e incurabili-. La sua voce è soffocata.
Andando più avanti, scavando insieme per cercare superstiti, troviamo anche lui. Insieme ad altri medici, come lui, non si danno alcuna tregua.
Non ho mai visto Mea così. Non avrei mai immaginato che il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di dedicarsi alle vite degli altri.
-Farà un po' male!-. Dice ad povero elfo giovane, poco più che un ragazzo e chiamato a difendere così precocemente, gravemente ferito ad una gamba. La ferita è profonda, e incurabile. In termini medici, parole che nemmeno esistono da noi a Nord, si dice che è in cancrena.
-Marcus, mi serve che lo tieni fermo!-. Ordina, con un tono autoritario.
Le lacrime iniziano a scendere copiose dagli occhi di quel ragazzo, anche se essi sono chiusi. Mentre Mea stacca in maniera manesca la sua gamba, il ragazzo non urla, solo perché io premo una mano sulla sua bocca, ma il dolore che lui prova è più che evidente.
Quando tutto questo finisce, noi ci guardiamo tutti negli occhi: "mai più."
Ma io quanto vorrei, che fosse veramente possibile.
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