Flashback - MARGOT'S POV
Fu un pianto doloroso.
Non avevo mai pianto così tanto, con così tanto vigore. Non così disperatamente.
Il motore delle lacrime bruciava, a scatti veloci e lenti, ma non potevo singhiozzare.
Non potevo fare rumore.
Un silenzio assordante riempiva le mie orecchie, la quiete prima della tempesta più terribile a cui avrei mai assistito.
Cercai di silenziare i battiti del cuore, ma sentivo un rimbombo in sottofondo.
Con l'orecchio schiacciato al cuscino l'altro sull'attenti, gli occhi socchiusi e la bocca leggermente aperta per far passare il respiro, strinsi gli occhi e versai le lacrime più dense della mia vita.
Il colpo parve sfondare il muro.
Il mio petto si alzava e si abbassava più profondamente.
E i miei occhi... i miei poveri occhi erano arrossati dal pianto e sembrava che un generatore di corrente fosse continuamente in azione dietro.
Bruciavano.
Tirai su col naso.
Inghiottii saliva e rabbrividii.
Bum. Un altro colpo.
Non riuscivo a sentire le parole, non volevo sentirle.
Involontariamente, mi misi seduta sul letto e trattenni il respiro.
Sentivo un sussurro pieno di "s".
Iniziava sempre così... sussurri lenti, che in mezzo minuto diventavano...
- PUTTANA! SEI UNA PUTTANA! TI ODIO! ZITTA PUTTANA DI MERDA!
Urla. Diventavano urla misogine.
Ogni singola onda sonora trasmetteva disprezzo, odio, irrazionalità.
Non c'era niente che io odiassi di più.
Strinsi i pugni.
"Questo mi costerà una tortura peggiore della morte" pensai.
Ma dovevo tentare.
Non potevo starmene con le mani in mano.
Mia madre credeva in me, mi ripeteva che ero una ragazza intelligente e attraente abbastanza da poter girare le cose a mio vantaggio.
Lei non voleva che finissi come lei.
Un tonfo.
"È caduta. Ha mollato." piansi.
Non sapevo più per cosa stessi piangendo...
Perché dovevo odiarlo? Perché mi aveva insegnato ad odiare, ad essere cattiva?
Non volevo.
Dio sa che non volevo.
Pressai le palpebre chiuse e capii che era il momento di prendere una decisione.
"Fai che finisca tutto per una volta. Ti prego." inspirai.
- Ma io ti amo! - la voce rotta di mia madre.
Un milione di lacrime mi salirono agli occhi.
Non sapevo cosa fare.
Lei lo amava, ma sapeva cosa fosse l'amore?
Amava se stessa? Amava me?
Un urlo disumano attraversò le pareti e scoppiai in lacrime, ancora e ancora.
Non conoscevo il motivo, sapevo solo che faceva male.
La persona più importante della mia vita, quella che mi aveva cresciuta, veniva trattata come una sacca da box.
Scuotevo la testa, raccoglievo le mie stesse lacrime in un fazzoletto e consumavo la gola a forza di piangere.
"Nessuno deve soffrire quello che sto soffrendo io. Non è giusto, non è giusto." pensai.
I respiri si sovrapponevano, il cuore nel petto bruciava.
E non c'era cosa al mondo che desiderassi di più di una vita normale.
Niente litigi, niente urla, niente colpi contro il muro, niente sangue sui pavimenti.
Volevo due genitori normali, che si amassero come facevano tutti.
Non volevo più vivere nella paura, nella violenza, nelle lacrime che inondavano la mia stanza.
Iniziava a farmi male la testa.
Mi rannicchiai contro il cuscino del letto e cominciai a dondolare, avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro...
Il movimento mi distraeva.
Slap!
Uno schiaffo potente e un insulto pesante.
Poi una porta sbattuta violentemente.
E la pace dopo la tempesta.
***
Allora avevo nove anni.
Non capivo tante cose.
Non capivo perché mia madre continuasse a dire di amare un uomo che la picchiava.
Lui era malato.
Quella sera portarono mia madre all'ospedale e vi rimase per più di una settimana. Tornò a casa con con un occhio ancora gonfio e delle cicatrici dove aveva cercato di difendersi.
Io... Io fui ospite a casa di Joyce, la famiglia più vicina che avevo, in attesa che la polizia facesse luce sulla nostra situazione.
Mi trovarono rannicchiata e piangente, che dondolavo mormorando una melodia che avevo imparato da piccolina per calmarmi.
Pensavano che fossi pazza anch'io.
Ero contenta che mia madre avesse finalmente chiamato la polizia. Io non ne avevo mai avuto il coraggio.
Qualche volta penso che nel fondo del suo cuore avrebbe voluto non chiamarla.
Sono sicura che lo amasse, in un modo che non potrò mai capire.
Di lui... beh, di lui non posso essere sicura.
Non ho voluto vederlo mai più. I suoi occhi penetranti sono sempre rimasti fissi nella mia mente, nei miei incubi, e rivederli sarebbe come avverare gli incubi. E non voglio, Dio sa che non voglio.
La settimana che passai con Joyce e la sua famiglia fu una sorta di terapia per me, ma anche un'occasione di capire cosa era sempre mancato nella mia infanzia.
Joyce aveva tante cose che io non avevo, che non avrei mai potuto avere.
Aveva due genitori che andavano d'accordo, che si preoccupavano per lei, che le compravano quello di cui aveva bisogno e le facevano capire con dolcezza le cose che non doveva fare.
La sua vita era zucchero.
In un certo senso la invidiavo. Ed ero così commossa dalla sua innocenza... Probabilmente non le avevano raccontato molto del motivo per cui mi trovavo a casa sua.
Continuava a coinvolgermi nei suoi giochi come sempre, a sorridermi come sempre.
Penso di non essermi mai comportata nel modo giusto con lei, mai.
Avrei dovuto allontanarla da subito. Ero troppo marcia per il suo mondo fatto di dolcezza.
Invece ero così avida di vedere le cose che vedeva lei... non riuscivo a piantarla in asso.
Ha sempre avuto qualcosa che non riesco ancora a spiegarmi, che attrae le persone come calamite.
Non è più bella di me, onestamente, e non penso lo sia mai stata; è più qualcosa che si avvicina al concetto di aura.
Quando entri nel suo raggio d'azione percepisci quella sensazione di essere migliore di quello che sei, di poter arrivare al suo livello ed essere felice come lei, con lei.
Invece non è reale, non arriverai mai al suo livello.
Saprà sempre essere più buona di te, più dolce, più carina, più maldestra, ma in un modo che suscita tenerezza.
E ora che siamo al liceo, si è pure circondata di ragazzi che stravedono per lei.
Ben Bowers, per esempio. È uno dei ragazzi più belli della scuola e le gira attorno come un satellite, insieme al suo amico Sean Fielding.
In allegato c'è quella rompipalle di Ruth Lawrence, che ronza intorno a Ben come un'ape che cerca di prendere il suo nettare preferito.
E sapete una cosa?
Vi fotterò tutte e due.
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Buondì 🌞
Cosa ne pensate di questo flashback?
Io sono felice perché a scuola ci sono gli open day e non dobbiamo fare lezione quindi niente compiti niente interrogazioni niente verifiche and yaaaaay🎉🎉
Buona domenica ❤
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