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Capitolo 55 - Sensi

Giorno. Notte. Giorno. Notte.
Ancora e ancora. Come sempre.
Luce come sabbia nella clessidra della mia vita.
Il soffitto come la superficie di un rullino fotografico.
Disegna ombre, colora luci. Il positivo di una vita in negativo.
E poi viceversa. La notte scambia i ruoli. E i pensieri si fanno più cupi.
Dovrei fingere. Dovrei fingere di fregarmene. Dovrei comportarmi come se nulla fosse davvero accaduto. Camminare a testa alta per il campus, con un bel sorriso incollato in faccia, sorridendo a tutti quelli che incontro anche a chi non conosco.
Ma quale sarebbe la differenza?
Nessuna su ciò che provo, nessuna differenza tra me e chi ha giocato con me per tutto questo tempo.
E allora?
E allora rimango qui.
La mia casa. Il mio rifugio. La mia prigione.
Qual'è la differenza?
Mi guardo dentro. Quella clessidra gira su sé stessa ad ogni mezzanotte, sette volte ho contate.
La mia lista giace accartocciata in un angolo polveroso del soggiorno. Tantissimi punti ancora da spuntare che rimarranno tali: punti.
In fondo quanto può essere importante un punto?
Ripercorro la mia vita fatta di punti. L'infanzia, l'adolescenza... un ammasso indistinto di punti. Senza forma, senza identità, senza senso.
Nessuna importanza. Elucubrazioni mentali fini a sé stesse in questa spirale vorticosa che trangugia tutti, me compreso.
Fergus è passato ieri preoccupato di non vedermi in giro. Stessa cosa Karl. A entrambi ho risposto di stare bene e di non aver bisogno di nulla se non di un po' di tempo con me stesso.
Me stesso. Stesso me.
E se non fossi cambiato cosi tanto? Se non fossi riuscito a spuntare neppure il punto zero che davo per scontato?
Lo stesso me. Stesso di sempre, stesso da sempre.
In balia delle onde e capace unicamente di annaspare.
Forse sto impazzendo. Non fa bene rinchiudersi in se stessi, rinchiudersi a casa.
La sento respirare con me, sento le assi del pavimento come le mie certezze schicchiolare sotto il mio peso, sento l'acqua della pioggia lavare via i pochi rimasugli di vernice dal tetto che sono le mie speranze.
Sento... ma non sento davvero.
Guardo, ma non osservo.
Mangio senza gusto.
I miei sensi atrofizzati dal non senso della vita.
E cosi mi rimangono solo i pensieri.
Loro non profumano, non sanno di nulla, non li percepisci, non li vedi.
Ma Dio che casino che fanno.
Urlano nella mia testa peggio di una tempesta perfetta che si abbatte sulla costa.
Tutto attorno a me mi sferza con furia in cima al mio faro ridotto ad un lumicino, ultimo baluardo alla fine del mondo...
Si, decisamente impazzito.
Mi concedo una vista dalla finestra sul retro.
Solo foresta. A perdita d'occhio licheni, arbusti e alberi. Intricati come quel gioco in cui se togli un pezzo cade tutto.
Un dito sul vetro. Lascia un segno che scompare subito.
Qualcuno mi guarda.
Osservo meglio. Solo il mio riflesso.
Scompare anche lui. Subito.
Come tutto nella mia vita. Come tutti.
Mi dico di non essere solo. Mi guardo attorno e... cazzo se lo sono.
Tutti soli. Ma è un male comune che non mi porta alcuna gioia.
Ma guardo.
E ascolto.
Non posso fare altrimenti. C'è un limite a quanto un essere umano può dormire.
L'udito deve essersi affinato. Mi smarrisco nei grilli, negli uccelli, nelle macchine in lontananza.
Mi ritrovo nei passi leggeri. Eppure.
Eppure non mi muovo. La cucina attorno a me è ferma e immobile come sempre, con i suoi piatti sporchi e i suoi pensili sbilenchi.
Rimango concentrato. Il mio respiro dalla bocca fa meno rumore.
Passi vicini. Legno che cigola.
Nulla.
I muscoli irriggiditi. La paura di far rumore muovendomi.
Ancora nulla.
Un fruscio.
Dove?
Passi che si allontanano, legno che diventa terriccio.
Seguo la memoria. Il rumore dal soggiorno. Si proveniva da lì.
Lì dove ora un foglio sotto la porta mi osserva.

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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