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CAPITOLO 25 - In Vino Veritas

Eccomi ancora qui. Di nuovo. Stesso posto, stessa ora, come se ci fossimo dati appuntamento. Come se mi fossi dato appuntamento. Nonostante sia io, sempre io, lo stesso Aiden, seduto sullo stesso tronco e lo stesso fuoco di fronte a me... nonostante tutto non sono io.
Con lei non sono io. O forse si. Forse per la prima volta lo sono davvero. Sono... conosciuto.
Come questo posto. La baita, gli alberi, il fuoco. Essere me, con il mio cognome, con il mio passato è un po' come tornare in un posto conosciuto. Riscoprire ciò che si era lasciato, riconoscere un cambiamento, sorridere e ricordare.
Nonostante tutto. Nonostante le palesi differenze. Nonostante Fran che mi guarda come guarderebbe un gigante, intimorita ancora dalla mia reazione di prima ed alla quale so dovrò dare spiegazioni, nonostante ciò che mi aspetto da questa sorta di appuntamento che non è e nonostante il fuoco che, questa volta, serve per scaldare i marshmallows oltre che noi.
Questa volta però mi sento più rilassato. Mi guardo attorno e riconosco tutto il poco che è rimasto di questa costruzione. Ho perfino dato una pulita prima di entrare, giusto una spazzata a terra per evitare di prenderci il tetano sperando basti. Ho anche riparato alla bell'e meglio la finestra rotta con della plastica rubata dal magazino del dormitorio e portato qualche comodità.
<< Posso parlare? >>
<< Fran... che domande stupide che fai. >>
<< Saranno pure stupide ma visto il tuo comportamento... >>
<< Lo so. Lo so. Hai ragione. >>
<< E quindi? >> mi chiede distogliendo lo sguardo dal fuoco e dai marshmallows su di esso.
<< E quindi... cosa? >>
<< Merito una spiegazione, cazzo! >>
<< Oh! Oh! Calmati! >>
<< Non dire a me di calmarmi! >>
<< Ok... ok... mi dispiace tanto e sono mortificato. >>
<< Non mi basta voglio sapere perchè hai avuto quella reazione quando ho toccato quella borsa in macchina. >>
<< Non ti basta sapere già tutto di me? >>
<< No, se mi aggredisci in quel modo! Cosa c'è? Droga? >>
<< Ma che dici! Ho smesso con quel gioco! >>
<< E allora cosa? Deve essere qualcosa che scotta. >>
<< Non riesci proprio eh? >>
<< A fare cosa? >>
<< Ad arrenderti e non sapere qualcosa! >>
<< Senti... >> esclama facendo per alzarsi.
<< E va bene! In quella borsa c'è... >>
Che cazzo mi invento ora? Non posso dirle la verità, per giunta in questo posto. Ruscirei solo a terrorizzarla. Pensa Aiden, pensa.
<< Allora! >>
<< Okay! In quella borsa c'è... un regalo! >>
<< Un regalo? >>
<< Si! Un regalo per... per te! >> mento.
<< Per me? >>
<< Si ma non è pronto e non voglio dartelo qui perchè devo ancora lavorarci su e poi c'è una cosa da aggiustare... >>
Ti prego credici.
<< E quando pensi di darmelo? >> incalza incrociando le braccia sul seno ed alzandolo.
Aiden non sei qui per questo. Ricorda Mair, ricorda Ej, ricorda cosa non sei, non fai più queste cose, Cristo santo non incasinare tutto!
<< Presto promesso! >>
<< Presto.... quando? >>
<< Oh! Dai Fran poi che sorpresa sarebbe! >>
<< Ok, hai ragione! >>
<< Non avrai mica intravisto qualcosa? >> cerco di mescolare le carte.
<< No! No! Giuro! Però era pesante! >>
Non sai quanto.
<< Cambiando discorso... non stai scomoda su quel tronco? >>
<< Un pochino. Non mi sento più il sedere. >>
<< E allora guarda cosa ho portato! >>
Dal borsone estraggo due cuscini gonfiabili e le due coperte che tengo sempre in macchina per ogni evenienza.
<< Sei un mito AIden! >>
<< E non è tutto! Abbiamo anche gin e vodka! >>
<< Non ci credo! >>
<< Sei pronta ad una cena a base di marshmallows e superalcolici? >>
<< Non vedo l'ora! >>
Mi pento subito di aver portato questi maledetti cuscini che contengono una quantità d'aria assurda e che il mio maledetto fumare sembra aver raddoppiato lo sforzo di gonfiarli. Ma alla fine, tra giramenti di testa e nausee, ce la faccio e posti uno accanto all'altro formano quasi la grandezza di un piccolo materasso.
Uno, due, tre sorsi.
Sarà per lo sforzo o per i primi sentori della sbronza ma i miei pensieri sembrano addensarsi come quei cavolo di budini pronti che ci vendono al campus. Mi accorgo solo ora di quanto questo posto abbia la capacità di rallentare il tempo, non solo quello presente ma anche quello passato.
Cinque, sei, sette.
Sarà forse anche il silenzio mai provato a New York che ha smesso di coprire la voce di quello strano personaggio che si ricorda com'è essere umano, di com'è assaporare ogni istante, vivere il momento presente. Come ora, come la legna che scricchiola logorata dal fuoco che oscilla e respira ad ogni ciocco bruciato. Come la patina ambrata che si forma lentamente sul lato del marshmallow esposto al calore.
Otto, dieci...
Il ramo che lo tiene, la mano che a sua volta lo sorregge, il polso nudo poco prima della coperta che le ho suggerito di indossare, le prime ciocche bionde che cadono su di essa e che si muovono seguendo i movimenti che imprime loro con i movimenti del capo, gli occhi.
Tredici... no forse dovrei...
E non è più lei. È diversa, incredibilmente diversa. Come due foto sovrapposte. Sai che sono due e che solo la prima è reale. Ma la seconda modifica i connotati, le sensazioni, le emozioni. Modifica tutto e per un istante dai contorni infiniti non è più lei.
Si lo riconosco. La seconda foto è solo un ricordo. Sfuocato ed usurato. Una di quelle foto che il portafoglio ha graffiato portandola con sé. Sempre.
Cazzo è finita la bottiglia.
Vedo Cassie. La vedo nel mio riflesso dei suoi occhi. Un me molto più giovane ed ingenuo. Riconosco il suo profilo trabballante alla luce fioca del fuoco. Un'immagine che va e viene. Come se mancasse il segnale. Come se fosse questo il segnale. Il segnale che non posso continuare cosi. Che l'alcol non può fare altro che annebbiarmi la vista, sicuramente distruggermi il fegato, forse avere effetti sul cervello ma di sicuro non sul mio cuore. Per quel bastardo "chiodo scaccia chiodo" non vale. Per lui non esistono disinfettanti, cerotti o punti che possano chiudere una ferita. Ed infrangere altri suoi simili, altri cuori la cui colpa è soltanto avermi incontrato, di sicuro è soltanto sale gettato sulle cicatrici.
Continua a guardarmi. Non Fran. Forse Cassie, forse chissà dove, chissà perchè. Già. Perchè dovrebbe ricordarsi di me o pensarmi figuriamoci cercarmi. Averla persa non è colpa della persona che ho di fronte, non di Fran, non di Mair e, forse, neppure di Cassie.
Mi chiede se va tutto bene.
La domanda più giusta è dove sono. Quando sono.
E mi rendo conto che per troppo tempo non sono stato. Non sono stato nulla. Non un figlio, non un fidanzato, non un amico. Per nessuno, neppure per me stesso.
Ma il mondo gira comunque. Cazzo se gira. Gira a morire. Le palpebre pesanti.
Perchè sto camminando? Perchè Fran mi sorregge? Entriamo nella baita. O sono io a aiutarla ad entrare? La domanda è quanto cazzo ho bevuto? Fran ride crollando a terra sul cuscino che si era portata da fuori. Mi tira giù anche a me.
Penso di essere atterrato sul suo corpo. O forse è il cuscino? Non riesco ad aprire gli occhi.
Dei rumori. Credo di averla chiamata Cassie. Mi chiede chi cazzo sia Cassie. Poi scoppia a ridere. La risata attutita dal suo viso affondato nei cuscini.
Poi tutto si spegne ed io inizio a sognarla.

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

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