CAPITOLO 23 - Occhi
Avevo un gatto una volta. Talmente tanto tempo fa da non ricordarmi neppure più il suo nome. Ma ricordo benissimo come era fatto. Era bianco, a pelo corto, gli occhi di un verde smeraldo tenue e le orecchie rosa per la scarsità del pelo su di esse.
Ma ciò che più di tutto ricordo è il suo carattere: fiero, assolutamente il più fiero che abbia mai visto. Non si lasciava andare spesso a gesti di affetto, a richieste di attenzioni o a momenti di gioco. Ed io, piccolo di circa cinque o sei anni, non capivo per quale motivo una creatura ancora più piccola di me non volesse giocare e, nonostante i miei tentativi di lanciargli questo o quell'oggetto, di spingerlo a rincorrerci il suo sguardo era sempre il medesimo: quello annoiato e fiero di chi sa di essere più in alto nella scala gerarchica.
Ho sempre pensato che i gatti si possano a buon grado ritenere i padroni della casa e di chi vi abita soprattutto perché, e questo è il punto importante, in quelle rare, rarissime occasioni in cui lui mi chiedeva un po' di affetto o un po' di attenzioni, per uno strano gioco mentale, io non solo ero contento ma ero altresì costretto a dargli tutte le attenzioni chiedeva.
Non si può dire certo che quella creatura che pesava in chili quanto i miei anni mi ricattasse quando mi guardava con quegli occhi smeraldo e paglierino. Certo che no. Ma io mi sentivo comunque costretto, felicemente costretto, a dargli ciò che lui chiedeva perché talmente rare erano quelle richieste e talmente annullate le sue difese che sì, quando ogni speranza era perduta, ti convinceva del contrario. Non so quanto di proposito, fatto sta che io gli davo ciò che chiedeva ed anche con gioia.
604800 secondi. 10080 minuti. 168 ore. Ovvero una settimana.
A tanto ammonta la mia fuga da simili occhi che mi hanno chiesto, mi hanno supplicato per un po' di attenzione. Gli stessi occhi che per tutta questa settimana ho ritrovato a seguirmi tra i corridoi, fuori e dentro il dormitorio, ed anche giovedì quando me la sono ritrovata in stanza con Ej.
È stato in quell'occasione che me ne sono accorto. Anche prima che fosse lo stesso Ej a raccontarlo.
Il loro rapporto è cambiato. Negli ultimi giorni gli è sembrata fredda e distaccata e non si capacita di questo cambiamento tutto un tratto.
Una confessione che attendeva un riscontro da parte mia. Ma la verità, come stramaledettamente ovvio, non potevo rivelarla. Gli ribadii ciò che odiava sentirsi dire ma che in cuor mio speravo si convincesse per fare un favore a tutti. Ovviamente rimaneva fermo sulle sue false e comode convinzioni e noi costretti a nasconderci.
Questo almeno fino ad oggi quando, una volta di troppo, ho incrociato quegli occhi sul retro della palestra.
I Riders si stanno allenando divisi in due squadre: metà con una pettorina gialla, l'altra metà semplicemente indossando le protezioni senza alcuna maglietta su di esse.
« Aiden! »
L'attacco sta provando una formazione "shotgun": il runningback si posiziona sul lato destro per correre al fischio dell'allenatore.
« È tutta la settimana che mi ignori! Possiamo parlare? »
La difesa invece si allena spingendo dei grossi cuscini montati su una struttura in ferro sulla quale sono posizionati dei dischi da bilanciere ognuno di almeno cento chili.
« Hai pensato a quello che ci siamo detti? » continua Fran per attirare la mia attenzione persa altrove ma so che questo mio comportamento infantile di ignorare i problemi non potrà durare per sempre.
Prima che possa chiedere ancora attenzione sono io a parlare. « Gli ho parlato. »
« A chi? »
« A Ej, ovvio. »
« A proposito di cosa? »
« In realtà... è stato lui a dire la maggior parte delle cose e credo inizi a sospettare qualcosa. »
« E come? Siamo stati lontani tutta la settimana! »
« Mi ha raccontato del tuo cambio di comportamento nei suoi confronti, di come sei sfuggente e di... »
« E tu cosa gli hai detto? »
« Gli ho detto la verità! »
« Non gli avrai mica... »
« Ovvio che no. Ma di certo non ho aggiunto menzogne a menzogne. »
« Quindi cosa gli hai detto? »
« Semplicemente che lui non fa per te e tu non fai per lui, sperando si potesse convincere in modo da far terminare questa "cosa" una volta per tutte. »
« E lui? »
« Secondo te? Ti ho evitata tutta la settimana e non perché gradisca farlo... »
« È stato lo stesso per me, Aiden! Non sai come è difficile starti lontano. »
« Allora perché non prendi tu l'iniziativa e non tronchi filanalmente questa relazione malata? »
« Pensi che non faccia male anche a me? E solo che... »
Il quarterback riceve la palla e la lancia sfuggendo dalle mani del ricevitore per un incompleto.
Incompleto. Come questa situazione.
Ma a me sembra di avere ogni tipo di occhio addosso, da quelli presenti a quelli passati. La stessa sensazione che ho avvertito in paese giorni fa con Mair e che ancora non mi abbandona e mi convince che sì, qualcuno ci guarda.
Forse dalla panchina, forse dagli spalti alle nostre spalle o ancora sempre lì al limitare del bosco.
« Francesca, questo non è il posto giusto per parlare! »
Un movimento sopra la spalla di Fran.
La scosto ma la mia leggera miopia mi impedisce di vedere chiaramente cosa ha provocato per movimento tra cespugli.
« Allora dimmi tu dove possiamo andare per parlare! »
Ma non mi viene niente in mente se non qualcosa di lontano da qui, quasi abbandonato e nascosto nei boschi dove sono certo nessuno potrà mai vederci.
© Giulio Cerruti (The_last_romantic)
Angolo dell'autore:
Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!
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