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CAPITOLO 20 - Sangue E Passato

Ci sono dei luoghi. Luoghi intensi, luoghi che, come una valanga, portano con sè odori, colori ed infine ricordi. Luoghi dell'infanzia che sono una candela accesa su epifanie dimenticate nel buio dal tempo e dallo spazio.
Questo non è uno di quei luoghi. O perlomeno non lo è per me.
Di fronte a noi, due o tre tonnellate di legno tagliato ordinatamente ed impilato in modo da sostenersi da solo e da formare una baita si staglia contro la linea degli alberi limitati da questa radura.
Una visione strana, qualcosa di ibrido, non del tutto naturale, non del tutto artificiale. Mimetizzato quasi per nascondersi dagli esseri umani, viene aggredita da edere, muschi e licheni su ogni lato. I vetri, o quello che ne rimane, sono gli unici barlumi della vita precedente. Riflettono il sole, chiedono aiuto come segnali luminosi che nessuno vedrà oltre a noi.
Mair mi guarda interdetta. Un mio gesto della testa in direzione della baita la convince ad avvicinarsi.
Scaliamo la piccola altura sulla quale è costruita e, solo alla fine di essa, mi accorgo che stringo la sua mano nella mia.
Lei invece no. O forse sì. Forse se n'è accorta ma non sembra interessata persa com'è a sbirciare all'interno tra la vegetazione che si insinua attraverso le fessure.
<< Aiden... che ci facciamo qui? Cos'è questo posto? >>
<< Non avere fretta. Vogliamo vedere dentro? >>
Annuisce sorridente. Ad una parte di lei deve piacere questa avventura.
Avvicinandomi alla porta vengo colto dal dubbio atroce che all'interno possa esserci un qualche animale che ha preso possesso della baita per rifugiarsi. Se ciò è accaduto di sicuro quell'animale non è passato dalla porta bloccata dall'umidità di anni che ha fatto gonfiare il legno attorno ai cardini.
Uno. Due. Tre colpi. Una spallata, un calcio, ma niente.
Questa maledetta porta non ne vuol sapere di aprirsi.
« Permetti? »
Da galantuomo mi faccio da parte e faccio provare lei, anche se sappiamo già entrambi quale sarà il risultato. Mi fa cenno di farle un po' di spazio.
Karate o forse Judo. Non so quale diavolo di arte marziale.
Gira su sé stessa prima di calciare, colpendo la porta con il tallone. Un colpo che fa risuonare l'intera baita come la cassa di una chitarra ed un gruppo di uccelli si alza in volo dalla vicina foresta.
La porta non solo si apre ma precipita rovinosamente a terra con un tonfo che alza un misto di polvere e terra che per trenta secondi buoni oscura la vista dell'Interno
« E questo dove lo hai imparato? »
« Ti ricordi l'odore che sentivo in macchina da te? »
« Sì, allora? »
« Ecco, non chiedere! »
Mi sorprendo di come ancora qualcosa di questa ragazza possa sorprendermi. Mi ritrovo nuovamente a chiedermi chi sia, da dove sia sbucata e soprattutto se abbia ancora in serbo per me altre sorprese.
La coltre di polvere si attenua e trova di nuovo il suo posto a terra, lì dove si era sollevata. L'interno è come ci si aspetterebbe una baita abbandonata... o forse leggermente meglio.
In fondo, l'unico accesso verso l'esterno da dove qualcosa sarebbe potuto entrare, ovvero la finestra rotta, si era riempito di rami che più di tanto non permettono a nulla di penetrare dall'esterno. Ovviamente, ha bisogno di una sistemata perché, a prescindere dal disuso e dalle conseguenze di esso, l'interno è abbastanza spoglio: solo un giaciglio, un armadio in legno ed una bombola del gas, sicuramente evaporato ed unico superstite di un angolo cottura. Per il resto, cioè la struttura, è tutto integro e le pareti ed il tetto spiovente con le sue travi hanno retto ermeticamente l'avanzata del tempo e della natura.
Prima che potessi fare un passo verso l'interno, Mair era già al centro della stanza, con il naso all'insù, a girare su se stessa per cogliere il più possibile di quel poco che restava.
Ma a me poco importava: lei all'interno, con un filo di sole che attraversa la finestra rotta, che colpendo i frammenti come prismi filtrano la luce nei suoi colori primari e nel fulgore della figura snella che adesso mi dà le spalle io non riesco a guardare che lei ed è un ammirare, come ci si nutre della bellezza di un'opera d'arte in assoluto, rigoroso, religioso silenzio.
Devo averla fissata troppo a lungo perché quell'opera d'arte si volta e mi chiede che cosa mi prende, se mi sento bene e dove siamo ma per qualche strano motivo non riesco a proferire parola. Perso, mi nutro di lei, della luce che la colpisce e che lei riflette in modo così perfetto, in quel luogo dove mia madre e mio padre si incontravano alla nostra età, dove il passato rivive sperando in un futuro migliore.
Glielo spiego. Le racconto che mia madre era di queste parti, di come avesse conosciuto mio padre, di come avevo sentito parlare qualche volta di questo posto quando di nascosto li origliavo in quei pochi momenti della mia vita in cui erano presenti entrambi.
« Credo di essermi perso Mair. »
« E invece ti fossi ritrovato? Non si sa mai cosa si scopre quando si ci perde. »
« L'altro giorno con te mi ero un attimo perso. »
« Intendi in macchina? »
Mi stringo nelle spalle. Annuisco.
« Mi vuoi spiegare? » mi chiede stringendosi in un abbraccio a se stessa sintomo che il freddo e l'umidità di questo posto iniziavano ad avere la meglio.
« Sì, ma non così! »
Mi allontano due minuti, giusto il tempo di raccogliere un po' di rami secchi e l'accendisigari dalla mia macchina visto che l'accendino mi ha abbandonato definitivamente.
A circa venti metri dalla porta, un cerchio formato da grandi pietre doveva aver ospitato in passato un falò che adesso andava riacceso. Ci riesco con l'aiuto di un po' di erba secca strappata nelle vicinanze e ci sendiamo lì, aspettando il silenzio che lentamente il sole scenda sotto la linea degli alberi a fino alle loro radici.
« Meglio? »
Fa solo un gesto della testa che significa sì, guardando a terra e lanciando un altro paio di rami secchi all'interno del fuoco.
« Non avrei mai voluto... l'altro giorno intendo. » prova a scusarsi.
La fermo subito.
« No Mair. Assolutamente non è nulla di cui scusarsi. La colpa è solo mia. Di questo e di molto altro. Perché di cazzate nella vita ne ho fatte tante... l'altro giorno in macchina sono solo ricaduto in un flashback che non vedevo da un po' di tempo. Sicuramente il mio peggiore è che, senza troppo drammatizzare una vicenda già drammatica, andrò al punto della questione. Perché c'è un motivo se sono qui e non a New York, un motivo che mi ha spinto forzatamente a lasciare tutto ciò che avevo per venire qui. E ripensare che gli alti che ho avuto lì, e che potevano sembrare altissimi per chi vedeva la mia vita da fuori, erano solamente i prodromi dei bassi che avrei avuto in questo abisso in cui sono caduto. Ciò che sto per dirti è solo la tessera finale di un domino che ho raccontato a poche persone. È stato tutto un causa, effetto, causa ed effetto, senza fine, senza che avessi la forza di fare nulla. Mi sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato qualcuno che mi avesse detto: "Fermati! Guarda indietro! Guarda cosa hai fatto ed immagina cosa succederà!". Sì. Sarebbe stato un facile sforzo di immaginazione capire che i soldi portavano ai vestiti, che portavano alle feste, che portavano a compagnie sbagliate e poi ad amicizie sbagliate. Le stesse che ti spingono una sera fare qualcosa di diverso, per rompere la nostra noia che per chiunque altro sarebbe stata una vita da sogno. E allora il gioco diventa gioco d'azzardo che presto diventa soltanto l'azzardo, trasformato in debiti con le persone sbagliate, con i clan sbagliati che non si fanno scrupoli a servirsi di te per fare questo o quel lavoro per ripagarli, per recuperare questo o quel debito da persone ancora più sbagliate e con ancora meno scrupoli dei tuoi mandanti. E succede così che un giorno, anzi una notte, un piccolo spacciatore di anfetamine si era "dimenticato" di consegnare l'incasso. Dimenticanza che era durata tre mesi consecutivi. Il nostro compito era semplice: andare a parlare, tornare con il malloppo o con una scusa plausibile. Eravamo in due, io ed un ragazzo come me che si era perso in quel vortice e che all'inizio c'era anche piaciuto, ci faceva sentire potenti, potevamo sentirci padroni a caccia per tutta New York di gente che appena sentiva il nome dei nostri mandanti se la faceva addosso. Ma quella notte non andò così. Quella notte sotto quel ponte lo trovammo e lo circondammo. Ma questo non era come gli altri. O meglio era esattamente come gli altri, solo più disperato e soprattutto armato. Fece fuoco sul mio amico. Cadde. In realtà non lo vidi neppure cadere. Il mio cervello riusciva solo a fissare la pistola che si muoveva verso di me e pensare : "Ora sei il prossimo, ora sei il prossimo!". »
Inizio a tremare. Le lacrime a deformare la vista. Mair mi ferma le mani con le sue. Mi trasmette un po' della sua forza come se nulla di ciò che dirò potrà scalfirla.
« Mi avvento sulla pistola. Lottiamo e cadiamo. La pistola scivola via, lontana nel buio. Un'istante prima di capire che la lotta non è finita. Sopra di me. Stringe le mani sul mio collo, istanti infiniti di adrenalina che pulsa a nella mia testa alla ricerca di una soluzione. Con le mani cerco di allontanarlo, di alzarmi, di colpirlo. Sento qualcosa con la punta delle dita. Non so bene cosa. La afferro, forse vetro o qualcosa di simile. Un fendente e...»
Non ci riesco. Sono di nuovo lì, come se stesse accadendo ora.
« Era solo legittima difesa, Aiden. » mi risveglia portandomi nuovamente al momento presente.
« Forse si. All'inizio quando gliela piantai nella giugulare. Ma dopo l'unica cosa che riuscii a pensare era colpire, colpire e colpire ancora. Anche quando le parti si invertirono, io non smettevo di fender e tagliare mentre gli schizzi di sangue e lacrime mi offuscavano la vista. Solo gli occhi vitrei del mio amico disteso a terra mi destarono. Cazzo era morto e cazzo continuava a guardarmi! Ed io cosa ho fatto? Sono fuggito. Ho corso. Non ricordo neppure dove, con le lacrime agli occhi come adesso, senza vedere la minima via d'uscita. Ho corso nascondendomi dalla polizia prima e da coloro che vogliono farmela pagare adesso. Per questo sono qui. E sto ancora correndo. » concludo secco asciugandomi il viso con il dorso della mano.
E non avrei voluto farmi vedere in queste condizioni da lei.
Glielo dico. Mi abbraccia. Mi bacia una guancia. Poi l'altra, lì dove è più salato e dove le mie lacrime hanno creato rivoli dolorosi.
Poi il passato sparisce. Le sue labbra tra le mie.

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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