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The Watching Dead [Il Morto Che Sorveglia]

QUARTA PROVA

Prova: One Shot - FF credibile, scritta bene e con personaggi degni di nota. La storia dovrà avere un colpo di scena finale, qualcosa che stupisca, che lasci a bocca aperta. Un finale inaspettato, un particolare a cui non si farà caso durante la lettura e che magari ribalterà tutta la storia, facendo vedere sotto una nuova luce il personaggio.

Personaggio: Norman Reedus IC  - si spera -.

Min. 600 parole - Max 1700 parole: 1.686 parole - 10.027 caratteri (Dedica, Citazione e Postilla ESCLUSI) - Prima Persona Presente

Termine Prova h 23.59 del 28 Settembre 2016: pubblicato il 28 Settembre 2016, h 19.32 ca.

Note: Gli eventi narrati non sono mai accaduti. I luoghi, i dialoghi e gli oggetti presenti sono opera della fantasia dell'autrice. Alcuni personaggi sono liberamente ispirati a persone realmente esistenti. 

***

https://youtu.be/Inlac4FyhD8

- In Memory Of Bobby Sachs (1949 - 1965, NYC) - 

"If a woman is dishonest, that kills it for me. I can't even talk to her anymore.(Se una donna è disonesta, finisce tutto. Non riuscirei più nemmeno a parlare con lei.) "

Norman Reedus

New York doveva essere la mia laguna vergine e il Red Waterlily la paradossale ostrica in cui lavorare la mia perla. Invece, incomprensibilmente, si sono rivelate entrambe le bambole di una fottuta matrioska, la cui madre è la Grande Mela e il seme è...*

Chiudo il Macbook, perché i suoi occhi non capitino neanche per sbaglio tra le mie righe digitali, il che è anche peggio perché sulla scocca c'è la sua decalcomania versione Daryl e due ali ciclopiche che incorniciano la scritta "Dixon".

Sono un'entità umana immersa nella merda fino alla fronte. Con la bocca spalancata.

Gnam!

Non ha guardie del corpo. Mai. Mi tiene sotto controllo da un paio di mesi: a volte alza il mento quando se ne va, altre il pollice – marchio di fabbrica che odio -. Si veste come è solito vestirsi: male; accessoriato di cappellino, Wayfarer e quelle scarpacce con cui si ostina a girare il mondo da oltre dieci anni. La settimana scorsa ha snocciolato un "Hey", sfilandomi davanti per andare alle toilettes, e un "Buona serata" riemergendo dal privé. Oggi, tornando dal bar, si è fermato al mio tavolo, una mano in tasca e le dita dell'altra abbracciate al Tumbler. Stringendosi nelle spalle, mi ha chiesto se poteva sedersi.

Conclusione: habeo Norman Reedus!

Provengo da un mondo in cui le astrusità accadono perché puoi fare in modo che accadano, perché te le puoi "permettere". Dipende quando accadono, però: esistono stadi della vita nei quali le stravaganze assumono pesi e sapori diversi, trasformandosi in niente più che... mere coincidenze.

«E' una coincidenza» dico sottovoce, come se dovessi difendermi da un'accusa che non mi ha nemmeno veramente rivolto. Lo dico anche per una serie di scombinate ragioni che a lui non rivelerei mai.

Alla mia attenuante, ride, e il suo gaudio può vantare solo radici rudimentali: o non ha capito un cazzo, o dubita di me. La sua risata è pulita, ammaliante, eppure non mi mette in soggezione. Anzi, riesce a succhiarmi le ultime gocce di fragilità e paura.

Non mento. Vorrei aver sentito anche un piccolo brandello di panico durante i nostri ultimi quindici incontri, vorrei che lui avesse il potere di rovinare quel misero tutto che conosco e che mi fa adorare i suoi pregi difettosi. Vorrei non trovare così logico il suo sbavare sotto a culi lucidi, così giusto il suo ospitare sulle ginocchia donne in costume adamitico. Vorrei davvero sentire il cuore che mi pesta nel petto.

«Ci credo» dice, inaspettatamente, smettendo di ridere e ingollando altro bourbon. Si toglie gli occhiali da sole, posa il bicchiere sul tavolo e si insacca nell'ottomana.

«E' vero» ribadisco, e non so se la mia onestà va a segno perché inciampo nell'occhiata scettica che rifila al mio portatile.

Non mi manda nessuno, R., giuro.

Il suo torace si alza e si abbassa regolarmente sotto la t-shirt sbiadita dei Minor Threat. «Ti ho detto che ci credo. Le persone possono raccontare esclusivamente ciò che vedono.»

«Si vede abbastanza.» La replica mi esce viscerale e frettolosa, spruzzata di un'acidità che disgusterebbe persino uno zombie.

«Abbastanza non è tutto» rettifica, misurandomi con lo sguardo tagliente, violaceo a causa di tutto il rosso nel locale. Sa di buono, di vizi e sperimentazioni.

Striscerei la mia carta di platino per comprare il suo concetto di "non è tutto". Solo per sapere. Contemporaneamente, data la mia radicata insania, vorrei che si mostrasse più Dixon e meno Reedus, che mi regalasse una porzione di Daryl: disadattamento, diffidenza, incazzatura... quello che gli pare. Ma sono consapevole di essere con l'attore, il personaggio non è qui, manco lo fiuto. Sono con colui che, ogni lunedì e giovedì, dopo essersi sollazzato la vista, sceglie due femmine stratosferiche e scompare per un'ora e mezza.

Esamino il suo arco vitale, la sua tangibilità, e per un momento i sei anni di masturbazione sul suo involucro si annullano, cedendo il testimone a un folle desiderio di scopargli l'anima; mi domando se, almeno quella, riuscirebbe a farmi... male.

«Hai una casa in questo quartiere, ma non vivi qui. Lavori di notte - o puoi permetterti di non farlo -, il che spiega l'occhio assonnato alle tre del pomeriggio. Mi hai riconosciuto, ti sei stupita, ma nonostante questo non hai modificato abitudini, abbigliamento, atteggiamento... Bevi Gin con Hendrick's, non per emulare qualcuno: è il tuo drink; in caso contrario, non lo reggeresti a colazione. Ti piace guardare le ragazze, tuttavia non ne sei ossessionata e non sei lesbica. Rimani anche dopo che me ne sono andato. Scrivi tutto il tempo, anche se non sei una giornalista, non sei una stalker, non sei una fan.»

Wow... «La tua analisi forense è quasi macabra» dico, spuntando positivamente ogni suo azzardo. «Sull'ultima non ci conterei, però.»

«Non è la mia analisi, né tanto meno la mia curiosità» chiarisce, sincero. Troppo sincero. «E, a prescindere dall'ultimo punto, non penso tu sia pericolosa.» Tende la gamba sinistra e accanto a lui, sulla seduta, scorgo la custodia nera di un DVD e sopra di essa una busta trasparente con dentro...

...merda, è erba quella?

Le sue specifiche mi confondono. Distolgo l'attenzione dagli oggetti - dall'erba: saranno almeno dieci grammi -, restituendola al mio interlocutore d'eccezione. «Più che un pensiero, credo che tu abbia in tasca una certezza.»

Lui ammicca con indisponente complicità. «Può essere.»

Può essere?

Decisamente lo è. La sua tasca è gonfia, ed eccitazione e conigli non c'entrano un cazzo; in quella tasca ci siamo io e le mie credenziali, il mio patrimonio che decuplica il suo e una libertà che lui può giusto vaneggiare.

A parte la passione per gli stordimenti alcolici e narcotici, alcune perversioni di variabile singolarità e l'arte, io e Norman abbiamo poco in comune; lui è tante cose, io mille altre. A quelli come lui - a quelli come me - gli intrattenimenti li consegnano a domicilio, perciò non mi chiedo come mai abbia bisogno di un posto come questo. Il mio interesse ha origini più complesse.

«Perché?» Ha la voce roca e cantilenante, tipica di quando rilascia un'intervista ed è scazzato.

Ho afferrato la domanda, ma rientra nelle ragioni che non gli confesserei mai. «E' banale...», scuoto la testa, «... e al contempo distante anni luce da qualsiasi ovvietà.»

«C'è più normalità qui dentro che là fuori?»

Bravo, R. ...

«Può essere» riqualifico la sua battuta, sollevo un angolo del labbro e venero questo stadio della mia esistenza in cui anche le congiunture più assurde hanno matematicamente pesi e sapori razionali.

Annuisce, recuperando i suoi averi, si alza e sceglie due ragazze - a caso, mi pare, non le guarda bene -. Poi, torna da me: «Te la senti di rischiare il mio tutto?»

Se me la sento di...? Cristo...

Poche cose non sarei in grado di affrontare. Devo essere sincera e realista: Norman Reedus che si scopa due spogliarelliste non è tra queste. Di conseguenza, raccolgo il Mac, la Birkin e quella fetta di me che ha fiducia nello sconosciuto che la tormenta da anni. Lo seguo, perché è affrontabile, perché è una coincidenza comprensibile, un rischio che posso correre. Pedino il suo corpo vestito, tra i due corpi nudi delle ragazze, lungo il corridoio dei privé. Di fronte a una porta verde, con un automatismo che ha del magico, le due ragazze si staccano da lui e scompaiono al di là di una tenda alla nostra destra.

Ecco, ora avrei chilometri di domande per lui.

«Noi entriamo qui» m'informa, aprendo la porta.

Bene, entriamo.

Prima, vedo solo le sue spalle imponenti; dopo, percepisco che sta parlando con qualcuno e registro infiniti dettagli nella stanza, ma non riesco a metterne in ordine neanche mezzo.

«E' lei?» chiede una voce fiacca.

Tengo gli occhi incollati su Norman, che mugugna un assenso e deambula sicuro nella penombra; fa sosta ai piedi di uno strano letto di ferro e plastica, mi guarda e, per un millesimo di secondo, mi accontenta: s'infila una delle espressioni di Daryl Dixon, rabbiosa, che sfuma in un ghigno quando lancia la busta con la droga alla sua sinistra.

Come il più abietto dei segugi, ne seguo la traiettoria.

C'è un uomo sotto le coperte: calvo, spigoloso, con la pelle gialla e verde. Sorride. «Mi chiamo Ira Yarber. Reedus, all'anagrafe. Quarantadue anni, proprietario di questo locale, cancro al pancreas ultimo atto.» Con la mano scheletrica avvolge la busta, come se temesse un furto. «E' un piacere incontrarti dal vivo.» Inclina la testa verso una parete foderata di monitor per la sorveglianza e, riscontrando in me uno stato da "ho appena guardato negli occhi Medusa", si rivolge di nuovo a R.: «Chissà che si aspettava!»

Norman sbuffa, posizionandosi davanti a un grande schermo, tra le sue dita sfavilla un DVD.

Una volta, da bambina, guardando Diana Spencer in Tv, avevo espresso il mio parere: "Che bella la vita di una Principessa: ha tutto quello che vuole.". Mia nonna mi aveva freddato così: "Credimi, tesoro, ha molto meno di te.". Allora non mi era chiaro il meccanismo: popolarità uguale zero libertà, nessun segreto che sia solo tuo, voli pindarici per la privacy... Chi vorrebbe mai una vita del genere?

Ora lo so: nessuno.

Non ho più domande perché, dentro di me, ho già risposto a tutte. In fin dei conti - forse -, una vita del genere sta barbaramente stretta anche a Norman Reedus e, prendendone atto, il suo "tutto" trasfigura nel "meno di me" che la mia puerilità non sapeva cogliere.

Retrocedo, girando il pollice alle mie spalle. «Magari è meglio se...»

«Io non ci arrivo al 23 di Ottobre, dolcezza. Vuoi scoprire, o no, se Lucille si schianta sulla testa di mio fratello?»

Ho poco tempo, un margine minuscolo, e il potere del mio stadio leggero e insapore fallisce. Mi concentro sul Reedus segreto, avverto il peso della sua scadenza, gusto un misto di metallo e zucchero che mi scivola giù, molto in profondità, innescando un qualcosa mi ero quasi scordata di volere... e il cuore prende a pestarmi nel petto.

«Rollo a bandiera: prendere o lasciare.» scaglio il mio compromesso, estraendo le cartine dalla borsetta.

E' Daryl a rispondere, mordace, sguardo e telecomando puntati allo schermo: «Prendiamo, ragazzina!»

*Una matrioska è un caratteristico insieme di bambole, tipico della tradizione russa, che si compone di pezzi di diverse dimensioni realizzati in legno, ognuno dei quali è inseribile in uno di formato più grande. Ogni pezzo si divide in due parti ed è vuoto al suo interno, salvo il più piccolo che si chiama "seme". La bambolina più grande si chiama invece "madre".

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