Terzo round: mistero
Amandla correva ininterrottamente per le strade di Chicago, sotto la pioggia battente, da circa mezz'ora. Non poteva fermarsi, lui l'avrebbe raggiunta. Il suo respiro era sempre più affannoso. Rischiava di scivolare ad ogni svolta, ma il pensiero che la sua vita potesse finire da un momento all'altro la spronava a sforzarsi sempre di più. Le battevano i denti. Se Dayo non riuscirà a raggiungermi, probabilmente morirò di freddo, pensò. Ad ogni modo, se le avessero dato la possibilità di scegliere, avrebbe optato sicuramente per la seconda opzione. Del resto, che vorrebbe mai essere ucciso dalla persona che, un tempo, ha amato? Nessuno. Ma nella condizione in cui si trovava lei, se lo sarebbe dovuto aspettare, prima o poi. Era già tanto che fosse riuscita a sopravvivere fino a quel giorno. Poche ore prima, coloro che si trovavano al vertice della cupola mafiosa italo-americana avevano deciso che Amandla sapeva troppo, decretando così la sua condanna a morte. Così, mentre la giovane correva a rotta di collo, cercando di distanziarsi il più possibile da suo marito Dayo, le tornarono in mente tutti i momenti più importanti trascorsi dal giorno della morte di suo padre, fino ad arrivare a quella notte. Aveva solo quattordici anni quando assistette all'assassinio del senatore Stenberg, l'uomo che l'aveva messa al mondo. Avvenne tutto una lontana sera d'ottobre. Era il giorno del suo compleanno, e non vedeva l'ora che il padre tornasse a casa. Le aveva promesso una grossa sorpresa. Quando la ragazzina sentì il rumore dell'auto nel parcheggio davanti alla loro abitazione, spalancò la porta e si fiondò in giardino, correndo incontro al guidatore, che le sorrideva, mostrandole una grossa borsa. Ad un certo punto, un'altra macchina sbucò fuori dal nulla. Uno dei passeggeri sporse la testa fuori dal finestrino. - Senatore Stenberg! - gridò per attirare la sua attenzione. Aveva un forte accento italiano. Quando la persona chiamata in causa si voltò, con sguardo sia interrogativo sia allarmato, il capo dello sconosciuto rientrò per far sì che non fosse riconoscibile. Il suo posto venne occupato da una pistola. - Buon viaggio all'inferno! - Ed iniziò a sparare, ancora ed ancora. Sembrava non avesse la minima intenzione di fermarsi. Tutti i proiettili centrarono il bersaglio, ed il padre di Amandla stramazzò al suolo, in una pozza di sangue. La neoquattordicenne gridò fino a quando non consumò l'aria che aveva accumulato nei polmoni. Sua madre uscì di casa, vide quello scempio e la trascinò all'interno, sprangando porte e finestre. Una volta fatto ciò, si avvicinò cautamente alla cornetta del telefono e compose il numero della polizia. - Pronto, commissario? Hanno... hanno ucciso mio marito, il senatore Stenberg. - La voce all'altro capo del telefono le domandò qualcosa, costringendola ad interrompersi momentaneamente. - Davanti alla nostra casa. Venite presto, vi supplico. Ho tanta paura per mia figlia. - Detto questo, riattaccò. Le automobili della polizia non tardarono ad arrivare, seguite dall'ambulanza, che prelevò il corpo martoriato di quel senatore famoso per la lotta che conduceva contro la mafia. Amandla, sotto shock, tremava visibilmente. Lei e sua madre furono portate in caserma e da lì entrarono a far parte del Programma Protezione Testimoni. Per i successivi due anni, la ragazza si rifiutò di festeggiare il suo compleanno, ancora sconvolta da ciò che era accaduto quel giorno. Un sera, però, più precisamente quella in cui compì diciassette anni, le sue amiche la trascinarono in un fast food, ignare di ciò che la spingeva a rifiutare quella meravigliosa festa, e provarono a farla divertire. Amandla cercò di tirarsi indietro in tutti i modi, anche all'ultimo momento, ma all'improvviso i suoi occhi incrociarono quelli di un ragazzo di circa ventinove anni. Rimase talmente affascinata che decise di andarlo a conoscere, senza sapere se era una mossa saggia oppure no. - Ciao - disse una volta trovatasi al suo cospetto. - Ehi! Non credo di conoscerti. Comunque, io sono Dayo. - Le tese la mano, e lei gliela strinse immediatamente. - Ann - replicò lei, presentandosi col nome falso datole dagli agenti che si erano occupati del suo caso. I due parlarono per tutta la serata, decidendo alla fine di darsi appuntamento il giorno seguente. Si innamorarono dopo poco tempo e, trascorso un anno, si sposarono. La prima notte di nozze, lei si armò di coraggio e gli rivelò la sua vera identità. Non era passato giorno in cui non si fosse pentita di averlo fatto. Subito dopo che Amandla ebbe confessato a Dayo chi era realmente, lui le svelò che la sua famiglia, gli Okeniyi, faceva parte della cupola da generazioni, e che fu proprio suo zio ad uccidere il senatore Stenberg. Inorridita, la giovane cercò di scappare, ma il marito la bloccò, sbattendola contro il muro. - Adesso appartieni a me - le sussurrò all'orecchio. Dopodiché, le lasciò i polsi, facendola crollare a terra, dolorante e disperata. Passarono altri due anni terribili in cui lei meditò più volte il suicidio, non solo per il fatto che fosse sposata col nipote dell'omicida di suo padre, ma anche per il disgusto che provava verso sé stessa, visto che, nel profondo del suo cuore, continuava ad amarlo. Alla fine, giunse quella fatidica sera. La riunione dei boss malavitosi più pericolosi di Chicago si tenne a casa Okeniyi. Lei, come sempre, origliò i loro discorsi senza essere vista. Ad un certo punto, il padrino, dal suo posto a capotavola, parlò. - Tua moglie, Dayo, sa troppe cose su di noi. Il suo spirito di vendetta verso il padre potrebbe prevalere sull'amore che prova per te. Dobbiamo liberarcene il prima possibile. - A quelle parole, le si gelò il sangue, ma fu la risposta a provocarle quasi un infarto. - Sarà fatto. - Era stato suo marito a parlare. Amandla sgattaiolò silenziosamente verso la porta secondaria della cucina, che dava sul giardino, uscì fuori e cominciò a correre all'impazzata. Dayo e gli altri si accorsero quasi immediatamente della sua fuga, e l'uomo che forse continuava ad amare nonostante fosse un mostro si era messo sulle sue tracce come un mastino. Le stava alle costole. Non avrebbe retto per molto. Se lo sentiva, Amandla, che quella sarebbe stata l'ultima notte della sua breve vita. Morire a vent'anni non era così insolito da quelle parti, considerate le acque in cui versava la città. Lei continuava a correre, con le lacrime che le scendevano copiosamente sul volto. Ad un certo punto, svoltò in un vicolo cieco, e si sentì perduta. Infatti, Dayo la raggiunse poco dopo. Si fissarono per un attimo, sotto la pioggia battente. - Mi dispiace - sussurrò alla fine lui, con voce roca. - Non volevo che finisse così. - Tirò fuori la pistola. - Puoi ancora cambiare le cose, Dayo - disse lei con voce strozzata, in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi. - Anche tu sai che non è possibile. - Si avvicinò a lei e le diede un bacio a fior di labbra. - Ti amo - bisbigliò, puntandole poi l'arma alla tempia. - Ti prego... - mormorò lei, tra le lacrime. Un colpo di pistola. Un corpo che cadde nella polvere. Il potere ha vinto sull'amore.
A/N: Eh, sì, gente, "L'onore e il rispetto" ti fa immaginare certe cose. Tralasciando il fatto che stavolta mi fanno fuori (spero non letteralmente) dal concorso, che ne pensate? Mi riferisco soprattutto a @Clatoforever2002 e @SariMack. Ringrazio mille milioni (?) di volte @Laila_Love_Write e @AccioHermioneWatson per leggere anche questi aborti. Volevo farvi una domanda: trovate che quest'idea sia abbastanza originale? Ad ogni modo, alla prossima (che so già che non ci sarà). A presto! Baci! *-* :* <3
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