Seconda traccia
I giorni passano, e la città si trasforma sotto i miei occhi. Sono sdraiato da un tempo indefinibile su questo marciapiede, e non saprei dirvi nemmeno quanto, perché ho smesso di contare il tempo molti anni fa. Sotto i miei occhi, ho visto giovani ridere e sognare, e piangere e disperarsi poco dopo. Ho visto dei ragazzini picchiare un loro amico, e quando se ne sono andati ho provato ad andare in contro al giovane per aiutarlo, ma lui non appena mi ha visto, è fuggito via. Faccio paura. Perché? La mia anima è la stessa di quando ero in giacca e cravatta alle 8.30 di fronte al mio ufficio. Perché alla gente ha paura di me? I bambini spaventati che con un sorriso timido mi mettono un soldino nella scatola vuota che ho davanti, prima di scappare via dai loro genitori. Gli uomini indaffarati che mi passano davanti ignorandomi o lanciandomi fugaci sguardi di disprezzo, come si guarderebbe un criminale, un ladro, una carogna umana.
Quest'inverno, poco prima di Natale, ha nevicato, e io mi ritrovai nel freddo su un marciapiede deserto cosparso di neve. Quel giorno, feci 2 incontri. Il primo, furono dei ragazzini sui 14-15 anni, che giocavano a palle di neve per le strade. Non appena mi videro, pensarono fosse una bella idea usare la mia faccia come bersaglio per le loro palle di neve. Io li lasciai fare. In fondo, tutti avevano diritto a un po' di divertimento, e se loro trovavano in questo divertimento, chi ero io per negarglielo? Una volta ripulito dalla neve, facendo più attenzione, sentii un bambino piangere poco lontano. Mi alzai, e andai a vedere. Dietro l'angolo, in un parco giochi, un bambino piuttosto piccolo stava piangendo a dirotto seduto sulla candida neve fresca. Io mi avvicinai lentamente e mi guardai intorno. Nessun possibile genitore in giro. Nessuno in generale, in realtà. Quel bambino era solo. Io mi accovacciai accanto a lui e lui smise di piangere per cominciare fissarmi incuriosito. Poi, quando gli chiesi perché piangeva, mi disse che non riusciva a fare un pupazzo di neve come quelli dei cartoni animati. E così, in quel freddo pomeriggio di dicembre, se passavate vicino a un parco deserto, potevate vedere un barbone fare un pupazzo di neve con un bambino, che scoprii poi chiamarsi Marco. Forse era un po' basso e a prima vista potrà sembrare brutto, ma quel pupazzo di neve è il più bel pupazzo di neve di tutta Roma. E ancora adesso, la mia sciarpa, i miei 2 bottoni strappati dalla mia vecchia giacca e due rametti, giacciono sulla ghiaia di quel parco giochi, come ricordo di quel bellissimo pomeriggio dove per la prima volta da quando vivo per strada, qualcuno mi considera un essere umano e non un mostro, un cane rabbioso che morde chi si avvicina. Volete sapere come finì la storia del bambino? Semplice: dopo circa una ventina di minuti, una madre quasi in lacrime si precipitò nel giardinetto e appena mi vide giocare con suo figlio, ovviamente, diede la colpa a me, mi diede del ladro, del criminale, del pedofilo e mi urlò di allontanarmi subito da suo figlio, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Poi, sotto l'espressione sorpresa e spaventata del bimbo, la mamma lo prese in braccio e lo portò via correndo, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo pieno di odio. Qualche settimana dopo, vidi passarmi davanti quello stesso bambino, accompagnato da sua madre. Non appena mi vide, il bambino corse via spaventato. Chissà cosa gli aveva detto quella mamma protettiva su di me. Chissà cosa pensa ora quel bambino innocente di me.
Ma adesso è passato tanto tempo, l'inverno è finito, ed è arrivata l'estate. Sempre più spesso, vedo la gente che va a correre che cambia marciapiede per non incontrarmi, oppure che da un calcio alla scatola vuota con i pochi spicci che mi danno. Io non perdo nemmeno tempo a insultarli, non servirebbe a niente. Sono ignoranti. Non sanno che i ladri, e la gente di cui aver paura sono quelli in giacca e cravatta. Quando dormo, sento la gente darmi i calci, sputano addirittura su di me. Odio, disprezzo, oltre che la fredda indifferenza che accompagna i più fieri.
Mai nessuno che si chieda perché sono lì. Se anch'io ho una storia, una vita da raccontare. Chi ero prima di ridurmi così, se c'è un motivo per cui sono qui. Nessuno se lo chiede mai. Per Loro, sono solo un corpo vuoto e senza storia, un inutile ammasso di ciccia e ossa che spreca il suo tempo su un marciapiede sporco. Ma io sono di più. Sono nato benestante, amato dai miei genitori, ho studiato nelle migliori università, ho fatto un viaggio di studi in America per diventare dottore. Mi sono sposato con una bellissima donna, un'attrice anche abbastanza conosciuta. Ero felice, allora. Abbiamo avuto una figlia, Chiara. Ma poi.. a soli 3 anni si è ammalata di tumore. Io ero ancora giovane, avevo appena finito gli studi, e mi credevo in grado di curarla. E così, facendole un intervento sbagliato, io stesso ho condannato mia figlia, e l'ho vista morire tra le mie braccia. Mia moglie, disperata, ha voluto il divorzio, e mi ha dedicato il silenzio più totale. Io, dal mio canto, accecato dal dolore, dopo un tentativo di suicidio fallito, ho abbandonato tutto quello che avevo, la famiglia, gli amici, gli studi, i soldi, la casa, e tutto quello che di materiale c'è. Una punizione troppo piccola per un assassino come me. Un fottuto assassino che, presuntuoso e fiero, ha ucciso la sua stessa figlia. Un mostro. Ma ormai sono passati anni, e il disprezzo della gente mi ha raffreddato l'animo. Avevo sogni, progetti, speranze. Ora, non ho più neanche quelli. Vivo per strada, tra le bugie della gente, e con le poche monete che mi vengono date per compassione. Ma agli occhi dei passanti io non sono un dottore. Non sono né un mostro né un assassino. Io sono solo un barbone, un senzatetto sanguisuga che pretende soldi dagli sconosciuti. Vedo facce disgustate quando mi guardano il volto sporco e barbuto, quando mi vedono dormire di notte nella strada, tra i mozziconi di sigarette che loro stessi mi lanciano accanto. Vivo nello sporco, ma la sporcizia che mi circonda rispecchia solo l'animo di chi la butta per questa strada, non serve avere una maschera pulita fuori, se poi dentro sei sporco di bugie e crudeltà. Cinque lunghi inverni e altrettante estati sono passate da quando ho cambiato vita, e ormai le ho viste tutte. Ho visto ragazzi sporcare di insulti un muro, con delle bombolette spray. Ho visto uomini abbandonare cani, dopo averli maltrattati. Ho visto donne picchiare ed essere picchiate. Ho visto ragazze camminare silenziose con le cuffiette nelle orecchie, pensando a chissà chi o chissà cosa. Si, le ho viste tutte, ma nessuno vede me. Un "poveraccio" come tanti, guardato attraverso il velo opaco del pregiudizio e della paura. Un mendicante, un barbone. Ecco quello che sono diventato. Me lo merito? Essere trattato come un cane, ma neanche, perché i cani vengono accolti e coccolati da tutti. Un sacco della spazzatura. Una merda. Ecco cosa sono diventato. Ed è già tanto se non mi calpestano.
Ma in fondo questa vita, questa eterna punizione me la sono scelta, e me la merito. In fondo, lo so che io sono tale e quale a chi mi giudica dall'aspetto, e mi disprezza. Dentro di me so che io al loro posto farei le stesse cose. Anch'io ho sempre giudicato dall'aspetto fisico, chi non lo fa? Anch'io credo a molte di quelle storielle che di verità non hanno neanche una briciola. Anch'io spesso penso cose cattive, brutte, pettegolezzi che non si dovrebbero mai fare. Però l'uomo è instabile, orgoglioso, convinto di essere superiore, e ogni essere umano, anche se spesso mente e dice il contrario, nutre pregiudizi e giudica dall'apparenza. Tutti noi siamo così, ma mentiamo perfino a noi stessi e alla nostra stessa coscienza. Accetto gli sguardi di odio che mi rivolge la gente passando, sono umani. Ingiusti, cattivi, ma umani.
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